Presso la Biblioteca dell’Africa in via Battistig, 48 a Udine, tutti i martedì di giugno, sul calar della sera, si sono tenuti una serie di incontri molto informali con i migliori giovani pianisti jazz del nostro territorio. Simone Serafini, Maestro di contrabbasso, ha concepito e realizzato una serie di piccole preziose jam sessions in duo del tutto libere e improvvisate con il preciso scopo di esprimere al meglio il significato profondo della musica Jazz.
Il Maestro si è esibito con il suo strumento direttamente sul marciapiede prospiciente i locali della biblioteca, così come tutti i pianisti hanno utilizzato il pianoforte verticale lì presente accostandolo all’entrata. Un minimo d’amplificazione, quello che bastava a diffondere lungo la via quelle note gentili e una via tutto sommato anonima di Udine si è trasformata per alcuni attimi in Burbon Street o meglio Frenchmen st., New Orleans.
Sempre morbido ed elegante, Serafini ha saputo essere all’occorrenza anche tetragono e assolutamente equilibrato, capace di trovare sempre soluzioni ritmiche adeguate e piacevoli all’ascolto.
Ogni tanto passava qualche giovinastro con il motorino a “scorreggetta” il cui frastuono copriva gli accordi; poco male, anche il rumore dei motori rientra da un pezzo tra le sonorità della musica d’avanguardia e la crasi, in fondo, non era del tutto spiacevole.
Una ragazza che assisteva per la prima volta dal vivo ad un concerto di musica “degenerata” si chiedeva: “Che cos’è il Jazz?” E’ la domanda a cui tutti compresi i musicisti vorrebbero dare una risposta precisa, inequivocabile ma non ci riescono mai.
La musica di derivazione americana ormai da decenni patrimonio dell’umanità intera, è sempre sfuggente e ribelle ad ogni etichetta e classificazione, è in perenne mutazione, si contamina, de-costruisce, trasforma in continuazione. Quando dopo lunghi ascolti, tanti concerti e letture crediamo di averci capito qualcosa il jazz, che è fatto della stessa materia di cui sono fatti i sogni, ha già mutato direzione, forma, contenuti proseguendo il proprio misterioso percorso, sorpassandoci e facendoci rimanere indietro.
Forse, in via Battistig, in queste ultime settimane qualcuno è riuscito a farsene un po’ un’idea sul marciapiede, in mezzo alle auto parcheggiate, con il traffico aperto, con le vecchiette astiose che maledicono dai balconi, i sacchi dell’immondizia, i rondoni garruli che volano felici, l’odore di fritto, di spezie esotiche e d’incensi.
In mezzo a tutto questo una luce brillava negli occhi dei musicisti e degli spettatori che li ascoltavano, accomodati numerosi su sedie improvvisate direttamente sull’asfalto della strada. Era una gioia che nasceva spontaneamente dai cuori solo per il fatto di essere in un luogo tanto insolito.
Cosa può esserci di meglio della musica dal vivo per riappropriarci dei luoghi e degli spazi sociali della nostra città che l’epidemia e il pregiudizio ci hanno fatto disertare per lunghi mesi? Questa serie di incontri con il meglio della scena musicale d’ispirazione afroamericana che può vantare la nostra Regione, ha l’intento di curare le ferite della nostra anima e farci riflettere sui veri valori della socialità, della condivisione, della solidarietà e della libertà.
Come raccontava il grande pianista americano Pinetop Perkins agli inizi del secolo in Louisiana nella città di New Orleans, patria del Jazz, tutte le famiglie bianche benestanti che abitavano i quartieri eleganti della Upper-Town possedevano un pianoforte. Era un oggetto talmente comune ed economico per le loro tasche che, quando se ne guastava uno, ne compravano direttamente uno nuovo. Quello vecchio, scassato con magari qualche tasto rotto finiva per strada vicino a qualche cassonetto, nell’attesa che qualche carro dei rifiuti se lo portasse via.
I neri dei quartieri poveri di Down-Town, che vivevano nelle baracche lungo il fiume, negli slums malfamati dei bordelli e dei locali equivoci di Storyville, predavano i preziosi rottami; a volte li rivendevano, altre, quando i pianoforti erano talmente malconci che nessuno voleva riscattarli, finivano nei bar e nelle case chiuse ad allietare le serate dei clienti e delle “signorine”.
Proprio i loro difetti dovuti alla vetustà e alla consunzione contribuirono a far sviluppare quei particolari meravigliosi accordi e quelle sonorità che scaturivano dalla fantasia di musicisti spesso autodidatti e che hanno reso unico lo stile del pianoforte Jazz da Baton Rouge-New Orleans fino agli spazi interstellari.
Per qualche mal pensante Borgo stazione è il quartiere malfamato di Udine; quale luogo migliore perciò per cominciare ad abbattere quel muro di pregiudizi e di diffidenza che non permette a molti di guardare i nostri fratelli dritto negli occhi e, con un sorriso sulle labbra, tendere una mano in segno di pace.
In questo quartiere multiculturale l’associazione Time For Africa onlus di Umberto Marin ha voluto fortemente la propria Biblioteca con moltissimo materiale multimediale riguardante la storia, le letterature, la musica, l’arte e in genere le culture del continente africano così da cogliere tutti quei fermenti ed energie che in quella parte di città non vengono per niente valorizzate da un’amministrazione comunale miope e spesso ostile nei riguardi di tutto ciò che gli appare sedizioso e pericoloso perché non riesce a comprenderlo o non rispondente agli imperativi dell’utile e del profitto ad ogni costo.
Gli incontri, con cadenza settimanale, sono stati introdotti da brevi conversazioni sulla storia sociale del jazz, dalle sue origini fino ad alcuni frammenti di futuro. Si è parlato di Amiri Baraka e del suo “Blues People”, di Jack Kerouac e della nascita del Be Bop; della Kora e della musica degli schiavi di Congo Square; del magnetofono di Alan Lomax e infine di Lazarus Chigwandali, il bluesman albino del Malawi.
Sempre accompagnato dal funambolico Serafini, nel primo incontro, per pochi intimi in forma privata, si è esibito Dario Carnovale, uno dei pianisti di punta della scena jazz italiana ed europea capace di far scaturire dalle sue note un’autentica sorgente sonora avvalendosi di una tecnica cristallina, zampillante, fresca e luminosa.
La settimana seguente è stata la volta delle dita nervose di Emanuele Filippi, un musicista di rara intensità; notturno e meditabondo nelle sue esecuzioni ma anche impetuoso ed energico alla bisogna. Splendido negli standard e assolutamente incisivo anche nelle composizioni originali.
Inventivo, frizzante, incalzante e divertente è stato Mauro Costantini, un artista con una verve e una flemma davvero straordinaria, memorabile la sua interpretazione in jazz creolo di “Sul puint di Braulins” classico della traduzione friulana.
Il pubblico ha potuto godere appieno della grazia di Gianpaolo Rinaldi, dalle espressioni musicali dolcissime, di un pianismo languido e liquido, perfino tenero. Perfettamente adatto ad interpretare la musica ieratica e mistica di Thelonious Monk.
Delicato e rilassato, quasi appoggiato mollemente alla tastiera è apparso Giulio Scaramella che, al contrario, possiede una tecnica invidiabile e una capacità di spaziare dagli standard più tradizionali alle rivisitazioni della musica di Ravi Shankar.
Lontanissimo, in un piccolo brandello di cielo sopra via Battistig, anche un aereo se ne andava lasciando la sua visibile scia, inconsapevole della musica di Cuck Israel e di tutto il resto che saliva verso di lui.
Francesco De Luisa è stato lirico, inventivo, virtuoso senza accademismi esagerati, dall’incedere ostinato e vigile, inseguiva Serafini e si faceva inseguire su e giù per le pianure distese delle reciproche tastiere. Senza affanni apparenti, con straordinaria naturalezza i due volavano più in alto del traffico automobilistico, della vecchia signora del piano di sopra e delle sue paturnie, più in alto perfino di quell’aereo di prima che ormai sarà arrivato in Africa o giù di lì.
I rumori di strada e d’ambiente continuavano a far sembrare il tutto musica concreta: il vociare degli avventori del vicino bar, lo sfrecciare di qualche bicicletta a sfioro del contrabbasso, la sirena di un’ambulanza in lontananza, il ronzio dei condizionatori, ecc.
E intanto si preparava la pioggia e il temporale mugugnava ma non importava più, la rassegna era ormai finita, arrivederci alla prossima, sempre nel meraviglioso Borgo stazione di Udine, alla Biblioteca dell’Africa per sognare con la musica.
© Flaviano Bosco per instArt