Hai visto Jack in The Green? Ha una lunga coda che penzola, e siede tranquillo sotto ogni albero. Nelle pieghe della sua veste di velluto. Beve da una coppa di una ghianda vuota. La rugiada donata graziosamente dall’alba. Batte il bastone sul terreno e segnala al bucaneve che è ora di spuntare.

Nella mitologia celtica, Jack della foresta verde presiede al sonno invernale della natura e ne prepara il risveglio primaverile, conserva in se il potere germinativo del verde per tutto il tempo necessario per poi rilasciarlo ai primi calori del sole. A pochi giorni dal solstizio d’inverno (Ring Out Solstice Bells), proprio di questo e di altri misteri del Natale ha cantato a Pordenone, Ian Anderson nel suo Christmas with Jethro Tull, il primo di tre concerti a scopo benefico e caritatevole di questo suo breve tour italiano. Quello di Pordenone è stato organizzato dall’Associazione Via di Natale onlus che dal 1977 si occupa, a supporto e in sinergia con il CRO di Aviano, di pazienti oncologici e che, in sintesi, com’è stato ricordato dalla presidente Carmen Rosset Gallini prende le mosse dallo slogan del fondatore Franco Gallini: “Tante luci che durano soltanto il breve spazio di un Natale e poi più nulla. Vogliamo che qualcosa rimanga e, se possibile, si moltiplichi”. (www.viadinatale.org). E’ un’evidenza che, in tutti questi anni, l’impegno e l’abnegazione dell’associazione ha sortito molti benefici effetti e molti si vedranno ancora in futuro.

Nei paesi anglosassoni è ben diffusa la tradizione che i gruppi o i cantanti più o meno famosi compongano ed interpretino il loro disco di canzoni natalizie. Lo hanno fatto tutti, dai fantastici pionieri del jazz moderno come Louis Armstrong e Duke Ellington, ai crooner come Frank Sinatra e Dean Martin fino ai padrini del Rock’n’roll come Elvis Presley, Beatles, Jimi Hendrix, addirittura i Kiss, fino ai poeti della musica in senso assoluto come Bob Dylan o le starlettes ultrapop, senza arte nè parte, ma con un enorme conto in banca come Mariah Karey e compagnia cantante. E’ naturale poi che, al lavoro discografico seguano una serie di concerti a tema.

Da alcuni anni, fiutando il business, anche gli artisti nostrani si sono adeguati, soprattutto quelli di caratura internazionale. Lo stesso Ian Anderson ha interpretato magistralmente al flauto traverso una sua versione di “Tu scendi dalle stelle” affermando che, se pur per le tradizioni anglosassoni le dolci armonie di quel brano siano del tutto insignificanti, dopo averla sentita nel concerto natalizio di Andrea Boccelli, ha pensato che era buono anche per il suo repertorio. Speriamo non assista mai ad un’esibizione del genere di Laura Pausini o di Eros Ramazzotti, il cuore dei vecchi fan del prog. potrebbe non reggerne le conseguenze anche tenuto conto dell’età non più da “fanciulle in fiore”.

Dopo la divertente ma poco convincente apparizione al Festival di Majano della scorsa estate, il gruppo del pifferaio magico Ian Anderson, torna a calcare i palcoscenici della regione. Negli ultimi anni non è stata certo cosa rara.

La band che si ispira all’agronomo e inventore inglese Jethro Tull (1674-1741) nelle sue varie incarnazioni, si è vista spesso nel nord est d’Italia e non è certo mancata l’occasione per assaporare il gusto delle portate ammannite dalla band, come si diceva un tempo: “Come Taste the Band”; si è avuto tutto l’agio di apprezzarne la spezia, le delicate pietanze musicali fino a sazietà e anzi fino a quella non gradevolissima sensazione di “Trop-plein” che negli ultimi anni s’avverte durante le loro esibizioni per così dire, postreme.

Dopo il grave problema alle corde vocali del leader e l’abbandono, o meglio, il licenziamento, dei membri storici del gruppo, la parabola artistica dell’ensemble non sembra aver molto di più da aggiungere a quello che ha già musicalmente detto negli ultimi cinquant’anni e anche piuttosto bene. Non c’è nemmeno più bisogno di ripeterlo, è stato scritto e discusso migliaia di volte su qualunque media. Perfino i fan più accaniti e intransigenti ormai lo ammettono senza alcuna difficoltà.

La vera sorpresa allora per gli appassionati ma anche per i semplici spettatori di questo concerto natalizio è stata la sua piacevolezza. Anderson ha scelto un repertorio tutto virato alle composizioni folk della band, languide ballad e nuovi arrangiamenti semi-acustici di storici brani, il tutto inframezzato da canzoni della più pura tradizione europea di Natale, tipo: Adestes Fideles, Silent Night; mancavano solo Jingles Bells e Petit Papa Noël per ricreare la perfetta atmosfera dell’oratorio di provincia strapaesana.

A parte i soliti problemi alla voce del leader, la dimensione raccolta, meditativa e luccicante del concerto in un luogo chiuso che non ha bisogno dei fragorosi volumi del rock giova parecchio al sound della band e alla gradevolezza dell’esibizione nel suo complesso. E’ vero che il cuore dei fan di lunga data aumenta le sue pulsazione alle prime note dei classici come Life is a long song, Bouree, Locomitive Breath, Aqualung ma è anche vero che i nuovi arrangiamenti dolci e acustici anche dei brani meno noti o dei tradizionali inglesi (Pastime in Good Company, A new simple Christmas song) convincono e ispirano i migliori sentimenti ed emozioni.

Non è divertente essere Jack in the Green. Non c’è tempo di ballare né di cantare. Indossa i colori del soldato al servizio dell’estate. Porta il vessillo verde per tutto l’inverno.

Il concerto si è tenuto nel nuovo spazio a pochi passi dalla stazione ferroviaria in pieno centro a Pordenone denominato: Sala con musica live che ha sfruttato e ristrutturato l’edificio del vecchio cinema Capitol. E’ stata un’idea geniale che ha dato alla nostra regione un luogo perfetto deputato alla musica dal vivo del tutto inedito. Un luogo dall’atmosfera unica dove al posto del grande schermo per le proiezioni è stato allestito un palcoscenico per esibizioni musicali di tutto rispetto. La platea digradante permette anche agli spettatori delle ultime file di vedere e sentire benissimo senza il solito martirio dei posti a scarsa visibilità, degli strapuntini, delle terze gallerie o dei Loggioni. La parte nobile della platea è caratterizzata da una serie di divani sui quali gli spettatori si accomodano liberi di sorseggiare qualcosa durante lo spettacolo magari una coppa di Chardonnay come ha suggerito lo stesso Anderson servendosi dal fornitissimo bar del locale.

Jack, ma tu non dormi mai? E il verde è sempre nel tuo cuore? Oppure in questi tempi di cambiamenti, le autostrade e i fili dell’alta tensione ci separeranno?Ma, credo di no. Ho visto dell’erba spuntare sul marciapiede, oggi.

Tra i tanti brani tutti sapientemente introdotti dalla verve del band leader che ha deliziato il pubblico con aneddoti e calembour riguardanti il passato della band, le sue prospettive, frizzi, lazzi e amenità varie, è stato memorabile quello che ricordava la collaborazione tra i Jethro Tull ed un’altra grande band del rock progressivo, Emerson, Lake & Palmer in una lontana tournée. Con il grande Greg Lake il sodalizio portò anche ad alcuni concerti natalizi anche in luoghi di culto. Anderson, ogni anno in memoria dello scomparso Lake intona una sua struggente composizione: “I believe in Father Christmas”.

Altro lascito di quell’avventura musicale è il valido chitarrista Joe Parrish che militò nella band di Greg Lake, il quale personalmente gli regalò la sei corde Gibson Les Paul Cassic che ancora imbraccia. Con la stessa ha intonato una propria versione ipervirtuosistica e distorta della Toccata e fuga in re minore di J.S.Bach, ricordando ai presenti, come se fosse stato necessario, l’origine della musica progressiva come commistione tra la ruvidezza del rock’n’roll e la solennità della musica classica.

Al sound complessivo della band ha giovato molto anche la fisarmonica del tastierista John O’Hara, che ha intessuto con i suoi accordi un’atmosfera romantica e sognante perfetta per evocare le storie raccontate davanti al focolare domestico in queste sere d’avvento.

Dignitoso anche il lavoro della sezione ritmica di David Goodier (basso) e Scott Hammond (batteria), entrambi al completo servizio del loro band leader che effettivamente non ha dato loro nemmeno il tempo materiale di esibirsi al di fuori del rigidissimo schema prefissato e a lungo “rodato”. Come sempre i Jethro Tull hanno dimostrato di essere una band di assoluti professionisti che si prepara in modo rigoroso e scientifico ad eseguire una scaletta dai tempi assoluti e cronometrici. La band ha cominciato a suonare alle 21 e due minuti precisi, ha fatto una pausa di un quarto d’ora ed esattamente dopo quarantotto minuti è tornata sul palco per concludere il concerto alle 23.06 spaccate, con una precisione da metronomo svizzero. Diciotto canzoni più un bis in due set perfettamente speculari

Il sorbo, la quercia e l’agrifoglio sono tuoi da risvegliare. Ogni stelo d’erba mormora Jack in the Green. Oh Jack ti prego, aiutami a superare questa notte d’inverno e ci trasformeremo in bacche sull’agrifoglio. Oh, la tordella fa il suo ritorno. Jack spegni la luce.

All’uscita dal concerto, gli spettatori sono stati accolti da una pioggia battente gelida e maligna, davvero sgradevole e poco consona all’atmosfera natalizia che i Jethro Tull avevano suggerito ed evocato. E’ stato come un brusco risveglio dopo uno splendido sognare che faceva rieccheggiare ancora i versi di Aqualung: Do you still remember december’s foggy freeze, when the ice that clings on to your beard was screaming agony? (Ti ricordi ancora la nebbia gelata di dicembre quando la tua barba ghiacciata gridava agonia?)

Flaviano Bosco © instArt