L’unica data italiana per Alice Cooper ha garantito ancora grande spettacolo e grandi numeri per la storica rassegna pordenonese che taglia il traguardo della 33° edizione sempre più aperta alle contaminazioni e alla divulgazione del verbo del blues nella sua accezione più larga.

La filologia dei generi è naturalmente solo un esercizio retorico e stilistico del tutto superato e per di più del tutto inutile e obsoleto per definire che cos’è oggi l’esperienza musicale nell’epoca della società liquida. Cosa dire ancora di un artista come Alice Cooper che ha letteralmente segnato un’epoca e che negli anni ’70 dell’altro secolo cantava: “I’m eighteen and I don’t Know what I want” e che oggi, a metà degli anni ’20 del nuovo millennio, ancora intona quei versi ribelli dicendo ironicamente: “I’m Eighty and I still don’t Know what I want but I like it”.

Nato Vincent Damon Furnier nel 1948, è in attività ininterrottamente dal 1964; l’artista di Detroit, che può vantare anche una discreta carriera cinematografica e radiofonica, lo scorso anno ha pubblicato “Road”, il suo 29° album di studio, un concept “stradaiolo”, salutato con grande interesse da critica e pubblico e celebrato con un ennesimo tour mondiale (Freaks on Parade 2024) che per l’appunto ha fatto tappa al parco San Valentino di Pordenone. Tanto per capirci, l’artista, solo due giorni prima, aveva suonato al Montreux Jazz Festival: “We all came out to Montreux, on the lake Geneva shoreline” come quest’anno hanno cantato ancora, proprio lì, i Deep Purple per fortuna senza fumo, né incendio.

Non si può tacere che i Main events del festival (Rival Sons, Placebo, Alice Cooper) che, come abbiamo detto, si svolgono nello splendido parco cittadino, si sono giovati anche delle ottime proposte culinarie della carovana dello street food che vi si era accampata dove i più golosi hanno potuto gustare le bombette della braceria pugliese, bisteccone irlandesi, deliziosi arrosticini, paninazzi emiliani, leccornie thai e poi naturalmente fiumi di birra e ottimi coktails per un’atmosfera ancora più torrida e succosa.

Da ricordare anche che il concerto della star americana è stato preceduto dal “Nightmare Party”, una festa presieduta dal team Horror Movie Mania Italia con comparse dai costumi orrorifici impressionanti che si aggiravano tra il pubblico che, a propria volta, con modica spesa poteva usufruire di un servizio trucco e parrucco a tema. Non mancava nemmeno un vecchio modello Fiat 130 allestito a carro funebre con tanto di bara “usufruibile” per selfie e macabri scatti in hora mortis.

Perfettamente in orario, alle 21.30 spaccate, i musicisti sono saliti sul palco ed è stato subito spettacolo. Chiamati dalla batteria di Glen Sobel sono saliti sul palco Chuck Garric (basso), Tommy Henriksen (chitarra), Ryan Roxie (chitarra), la biondissima “vichinga” Nita Strauss (chitarra) e naturalmente Alice Cooper, per un impatto sonoro e scenico di assoluto livello. Sul fondale campeggiava un’enorme finta prima pagina denuncia a titoli cubitari per i “crimini contro l’umanità” del leader e del processo che gli è stato intentato in Italia.

Il primo brano è una decisa dichiarazione d’intenti in classic hard rock:

Don’t want to be clean, don’t want to be nice, the whip’s gonna crack, my leather is black and so are my eyes, I’m gonna be rough, I’m gonna be mean, I’m here ‘til the end, my sick little friend, I’m back in your dreams”. Niente di più aggressivo e deciso, un vero e proprio pugno in faccia al pubblico che si trasforma nell’altrettanto programmatico “Welcome to the show, are you ready to ride to the other side?”

E’ stato davvero l’inizio di uno spettacolo che ha condotto il pubblico nella parte oscura delle ossessioni e degli incubi peggiori, anche grazie all’incredibile sontuosa scenografia che da sempre caratterizza le esibizioni del signore delle tenebre e Godfather of Shock Rock, un vero Rocky Horror Show.

Alice Cooper è apparso inossidabile e in piena forma, a 76 anni suonati, ha di certo fatto un patto con il diavolo e non si è per niente risparmiato aggirandosi tra i suoi musicisti come un vero animale da palcoscenico con tutti gli occhi del pubblico puntati su di lui.

Anche se non è più possibile distinguere tra i due, di certo, sul palco, l’alter ego Alice Cooper ha decisamente preso il sopravvento su Vincent Damon Furnier; il terribile Mr. Edward Hyde ha preso il posto del Dottor Henry Jekyll, in uno strano caso, la spaventosa figura del ritratto si è sostituita al bel Dorian Gray e tutto questo grazie alla magia stregonesca della musica. Certo, in definitiva, è solo Rock’n’Roll ma ci piace un sacco, come cantano le Pietre Rotolanti: I Know it’s only Rock’n’Roll but I’Like it.

Il suo è uno spettacolo rodatissimo, un greatest hits che funziona anche coreograficamente come un orologio, un vero e proprio “Clockwork Orange”, quintessenza del Rock’n’Roll da quando Alice Cooper non era ancora diventato un personaggio villain, ma era ancora semplicemente una band.

E’ uno show a pacchetto completo dove niente è lasciato al caso, i brani uno dopo l’altro vengono non solo eseguiti ma anche recitati in “Snake Bite”; fa la sua comparsa anche il grande stupendo pitone che il cantante tiene sul collo.

Da “Babe if you wanna be my lover” una legione di musicisti ha rubato più di un riff, Vasco Rossi compreso.

Il brano “Lost in America I’aint got a job because I aint got a car I can’t go to school because I ain’t got a gun” è un puro non-sense divertente e caustico contro il sistema americano che si conclude sulle note dell’anthem Usa con un sonoro “Fuck Off”!

Alice Cooper regala sempre al suo pubblico esattamente cosa si aspetta da lui, c’è persino la gag del finto paparazzo che finisce infilzato dal suo fioretto.

Durante uno dei tanti cambio-scena il batterista è esploso in un canonico assolo, tonante e sinfonico, con tanto di tastiere e campane a morto in sottofondo che ha fatto spellare le mani agli spettatori per gli applausi.

Ci sono stati ancora pioggia, lampi e tuoni sul palcoscenico per un’autentica delirante notte di tregenda durante la quale è risuonata la leggendaria “Welcome to my Nightmare” cantata tra i vapori dell’inferno dall’alto di una gotica scalinata, dalla quale poi come in un “Sunset Boulevard Horror movie” Alice ha fatto precipitare una bambolona sexy trascinandola e sbattendola a terra “she’s cool in bed”.

In “You can go to hell” è apparsa una virago sadomaso con tanto di frusta che vuole portarlo all’inferno, ma che viene scacciata a propria volta a colpi di sferza.

Alice Cooper è un’autentico villain dell’immaginario horrorifico pop del nostro tempo che sta vicino a Leather face, Chaki la bambola assassina, Jason e Michael, Freddy Kruger. Infatti, il brano che immediatamente segue è  Feed my Frankenstein” con l’elettricità del Van der Graaf Generator sullo schermo.

Un enorme pupazzo con le sembianze del cantante si aggira minaccioso sul palco, anche l’impianto luci contribuisce a renderlo terrificante, sullo schermo Vincent Price e il giovane Alice che conversano in un frammento dal film “Alice Cooper: The Nightmare” (1975) il tema è quello della vedova nera che divora in un “fiero pasto” il proprio compagno dopo l’accoppiamento.

La lugubre squisitezza ha preceduto e introdotto la disturbante e manicomiale “Ballad of Dwight Fry” con Alice in camicia di forza in balia di un sadico carceriere, tutto inquietante e claustrofobico. Il nostro eroe, dopo essersi liberato, pugnala il bruto, ma viene condannato alla ghigliottina. La sentenza è immediatamente eseguita e il capo mozzo è mostrato al pubblico da una crudele Maria Antonietta sotto i quali abiti settecenteschi si cela nientemeno che Sheryl Goddard Cooper, moglie di Alice. Le immagini sullo sfondo sono tratte dal film muto The Hunchback of Notre Dame con Lon Chaney.

E’ stata la volta di un assolo iper aggressivo della valkiria Nita Strauss che può vantare tra i propri avi quel Johann Strauss inventore del valzer viennese; è molto scenografica e ipertecnica con il suo vertiginoso tapping e virtuosismi tutt’altro che scontati. E’ toccato anche a tutti gli altri chitarristi in un brano strumentale (I love the Dead) carico e veloce.

Si cambia di nuovo scenario con un boia che sventola le bandiere americane dall’alto di un palco elettorale. Torna Alice con la testa ben piantata sulle spalle, ma sempre in camicia di forza, a cantare “Elected: Alice for President…I want to be elected, why not me” e con i ceffi che girano nell’attuale campagna per le presidenziali americane, non c’è alcun dubbio che lui sarebbe di gran lunga il migliore.

Non poteva mancare in chiusura di tanta meraviglia l’immortale “School’s out” che finisce per citare magistralmente Another brik in the wall.

Nell’apoteosi finale Alice Cooper si rivolge direttamente al pubblico presentando la band e tutte le comparse per poi augurare a tutti: “May your Nightmares be orrendous, Good Night”.

Alle 23.00 precise tutto è finito. Cosa volere di più? Beh, naturalmente, una birretta ai chioschi mentre il pubblico sfolla felice, ci sta e poi buonanotte ai suonatori e alla prossima!

Flaviano Bosco / instArt 2024 ©