24/01/2025 “L’amministrazione Trump ha arrestato 538 immigrati criminali illegali, ha dichiarato Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca, attraverso un messaggio su X. La Lewitt ha aggiunto che centinaia di migranti sono stati deportati su voli militari, sottolineando l’impegno del presidente nel mantenere le promesse elettorali. La Casa Bianca ha amplificato l’effetto mediatico dell’azione pubblicando una foto che mostra una fila di migranti ammanettati e in catene mentre vengono scortati su un aereo cargo militare. Il post, accompagnato dalla scritta “I voli di deportazione sono iniziati. Promessa fatta, promessa mantenuta”, ha sollevato un acceso dibattito sui social media.” (www.italia-informa.com)
Davanti a queste parole Nina Simone, da strenua militante per i diritti civili, vicina a movimenti di liberazione anche violenti come le Black Panthers, sul palcoscenico avrebbe sputato in terra la propria gomma da masticare con disprezzo e poi, seduta al piano, avrebbe intonato una furiosa versione di “Mississippi Godamm”.
“Hound dogs on my trail
School children sitting in jail
Black cat cross my path
I think every day’s gonna be my last
Lord have mercy on this land of mine
We all gonna get it in due time
I don’t belong here
I don’t belong there
I’ve even stopped believing in prayer
Picket lines
School boycotts
They try to say it’s a communist plot
All I want is equality
For my sister, my brother, my people, and me”
La trista mietitrice, il 21 aprile 2003, ha risparmiato alla grandissima artista le porcherie e le umiliazioni dell’era Trump e, anche se aveva fatto a tempo a vedere ed esperire i momenti più atroci della politica americana del secolo breve, forse nemmeno lei avrebbe potuto immaginare lo squallore che stiamo vivendo.
Il suo esempio e la sua musica ci possono davvero aiutare a capire l’origine della crisi valoriale che ci attanaglia minando alle fondamenta quel sistema di principi alla base delle democrazie d’occidente.
Nella propria autobiografia Nina Simone scriveva: “La società moderna isola gli esseri umani, non c’è abbastanza amore nel mondo, troppo razzismo, troppa fame, troppa povertà, troppi separatismi. Quando si è impegnati a mettere qualcosa nello stomaco non si ha sicuramente la forza nè il tempo di pensare all’amore. La società moderna è marcia, non ci propone altro che macchine, ingorghi, televisione e lavaggio del cervello. Il denaro rimpiazza l’amore, si parla di inflazione, svalutazione, spostamento di capitali. Un linguaggio becero e barbaro che la dice lunga sullo stato del sistema”.
Un agile, denso volumetto a cura di Valerio Marchi edito dall’udinese Kappa Vu contiene Il testo dal quale è stato tratto un interessante spettacolo su una delle autentiche regine della musica afro-americana, definita The High Pristess of Soul: Nina Simone.
Dell’alta sacerdotessa del soul racconta, tra letture, musica e suggestioni visive, “My Name is Nina, a Portrait of Nina Simone” che ha visto, per molte repliche insieme sui palcoscenici, l’ottimo autore nelle doppie vesti di narratore e illustratore e l’espressiva, intensa vocalità di Graziella Vendramin efficacemente accompagnata da un trio di straordinari musicisti quali Alessandro Scolz (pianoforte, tastiere), Romano Todesco (contrabbasso) e Emanuel Donadelli (batteria).
Sul palcoscenico del gremito Teatro Pasolini di Cervignano lo scorso 21 gennaio si è potuto assistere ad una delle repliche, sempre sold out, dello spettacolo che sa coinvolgere, commuovere e rapire.
Sia chiaro e non me ne vogliano gli ottimi autori, tutto si regge e scaturisce dalla fantastica arte della cantante Eunice Kathleen Waymon aka Nina Simone. Il suo genio era talmente enorme che eccede ancora oggi ogni definizione e ogni possibile interpretazione.
Nina pagò salatissimo il proprio estroso ed eccentrico carisma tanto che, soprattutto negli Stati Uniti, la sua terra d’origine, fu trattata quasi come un nemico pubblico e come una minaccia per il decoro della nazione a causa della sua indomita militanza come attivista per i diritti civili.
La sua storia, che Valerio Marchi ha saputo tratteggiare così bene anche attraverso proiezioni e affascinanti disegni a carboncino da lui stesso realizzati, è davvero paradigmatica e racconta di un destino tragicamente afroamericano.
La musicista compì severissimi studi classici di pianoforte grazie al suo straordinario, precoce talento, ma la carriera concertistica le fu negata per il colore della sua pelle.
Scrive Marchi: “Rifiutata dal mondo della musica classica, iniziò salendo sul palco di una lurida bettola una carriera favolosa che l’avrebbe portata agli apici del music business aggiungendo al virtuosismo al pianoforte una voce così straordinaria che neppure lei immaginava di avere. E portò a livelli altissimi quella che per sua madre era – la musica del diavolo”. (Marchi, Kappa Vu, pag 17)
Niente di più difficile che riproporre quella inimitabile voce, è stata davvero coraggiosa la nostra Graziella Vendramin a calarsi nei panni della grandissima Nina Simone.
Delle note doti interpretative della cantante di Tryon (Carolina – USA) è inutile parlare il suo status universale di icona della musica contemporaneo lo racconta a sufficienza. Per quanto riguarda Vendramin la sua lunga carriera, le incisioni e i tanti concerti in varie formazioni dimostrano il suo talento e la sua grande preparazione così come la sua straordinaria attività di docente di storia dell’arte, tutti elementi che fanno parte della sua preziosa creatività e delle sue preziose doti di interprete.
Si dirà a ragione che nemmeno questo è da considerarsi sufficiente per avvicinarsi alla genialità di Nina, ma Vendramin ha una caratteristica rara anche nelle professioniste più preparate, possiede il rarissimo dono dell’emotività. Sa trasmettere con la voce autentica commozione e un’irresistibile nostalgia e rimpianto che porta facilmente alle lacrime di compunzione sia lei che il pubblico che l’ascolta.
Non sembri una battuta, ma Vendramin come cantante sa far piangere chi l’ascolta. In alcuni momenti perfino il voluto tremolio di certi suoi passaggi provoca emozioni del tutto particolari. Durante la serata di Cervignano, grazie alla sua esperienza e alla sua grande professionalità, ha anche saputo approfittare di un malaugurato calo di voce dovuto ai malanni di stagione per rendere ancora più espressiva e scura la sua voce.
Nina Simone era una maestra ineguagliabile a sfruttare la sua modesta estensione vocale trasformando ogni suo sospiro in uno straziante, meraviglioso prodigio incastonato nella storia della musica; perfino durante le sue ultime esibizioni con il fisico e la psiche piagati da decenni di abusi e disperazione sapeva regalare al pubblico l’insuperabile bellezza della sua anima.
La voce di Nina Simone non era per nulla bella in senso classico, era del tutto anticonvenzionale se la paragoniamo a quella di Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan, Mahalia Jackson o a quella di altri grandi interpreti della storia del jazz; fa assolutamente parte a se stessa.
La sua estensione era solamente di due ottave scarse e in alcuni momenti era perfino sgradevole, baritonale, trascinata, grave e non perfettamente controllata; istintiva e sorgiva, sulfurea e vetrosa.
Quella che ancora possiamo sentire nelle sue, non tutte fortunate, incisioni è la voce di una profetessa che grida nel deserto, è quella che urla la grande sofferenza di una donna che ha pianto tutte le lacrime che aveva e continua a lacrimare anche quando sembra che rida beffarda.
Il suo è un canto attraverso il quale si esprime il dolore, la sofferenza e la tragedia di tutto un popolo nella diaspora e nella schiavitù passate e presenti. Non è mai una voce pacificata o vinta, al contrario pretende e rivendica vendetta e la grida maledicendo e bestemmiando: Goddam!
Non è proprio possibile ascoltarla senza tremare, senza indignarsi per le discriminazioni e i soprusi, per le ingiustizie e per la violenza. E’ una voce che vuole scuoterci dal nostro torpore di ignavi e indifferenti, piegati al sistema. E’ la voce di chi, proprio come lei, è stata picchiata e abusata mentre chiedeva solo amore, comprensione e un abbraccio sincero.
Nina Simone è stata tutto questo e molto altro. Graziella Vendramin, con la sua forza e la sua determinazione, è riuscita ad avvicinarsi a quel tipo di espressività che, in ogni caso, rimane, al di là di ogni possibile riproposta.
Esistono il canto di gola, di testa, di pancia e altro; al di là della grande professionalità artistica, quello della Vendramin rimane un canto di cuore. Naturalmente non si tratta solamente di un talento innato ma anche di lunghi anni di studi e di preparazione. Vendramin ha studiato a fondo sia la biografia della cantante americana, sia il suo stile e le sue composizioni. Lo dimostra l’accuratezza con cui ha stilato e interpretato i brani in scaletta nello spettacolo che tracciano un vero e proprio percorso esistenziale e artistico.
Scaletta: My Baby Just Cares for Me, See-Line Woman, I put a Spell on You, Four Women, Blackbird, Pirate Jenny, Strange Fruit, Be My Husband, Blacklash Blues, Mississippi Goddam, Sinnerman, Ne me Quitte Pas.
Se lo spettacolo è riuscito così bene è anche perché Vendramin ha potuto contare su un trio di eccezionali musicisti che non si sono limitati per nulla al semplice accompagnamento diventando brillanti comprimari.
All’efficace Alessandro Scolz è stata assegnata l’impossibile impresa di evocare le straordinarie doti pianistiche di Nina Simone che, dopo che le fu impedito di diventare la prima e la più grande concertista classica afroamericana a causa della discriminazione razziale, si costrinse a sviluppare uno stile del tutto innovativo, con caratteristiche proprie che appartenevano solo a lei. Già dalle sue prime esibizioni interpolava la musica classica, al blues più scuro e disperato per un effetto davvero straniante, in realtà non unico nella storia del jazz i cui musicisti soprattutto afroamericani hanno a lungo sofferto dello stereotipo a sfondo razzistico che li voleva istintivi e quasi animaleschi nell’affrontare la musica, mentre molto spesso si erano formati nelle migliori scuole e conservatori del mondo prima di finire a suonare il piano nelle più malfamate bettole esattamente come Nina Simone.
Romano Todesco e Emanuel Donadelli hanno garantito una ritmica discreta e mai troppo invasiva per un ordito sonoro tradizionalmente raffinato e mai troppo invasivo, fornendo la base sulla quale durante la serata sono andate costruendosi raffinate e a volte spericolate emozioni.
Concludiamo questa breve recensione prima esortando gli attenti lettori a non perdersi le prossime repliche dello spettacolo ancora sui palcoscenici regionali e poi attirando la loro cortese attenzione sul testo di una delle più belle canzoni di Nina Simone, “I Like the Sunrise”, che ci regala speranza e gioia per un futuro che oggi non riusciamo ancora a vedere con chiarezza:
“Mi piace l’alba perché porta un nuovo giorno. Mi piace un nuovo giorno che, dicono, porta nuova speranza. Mi piace l’alba che splende nel nuovo cielo. La notte è così stanca e oh, lo sono anch’io. Ogni sera su una stella desidero che il mio domani non sia troppo lontano. Quando la pesante cortina blu della notte è alta nel cielo, lontana dalla vista. Mi piace l’alba così paradisiaca da vedere. Mi piace l’alba e spero di piacergli…”
Fotografie di Ingrid Wight
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