Il Comune di Gorizia nell’ambito delle iniziative di GO! 2025 – Nova Gorica e Gorizia Capitale Europea della Cultura ha presentato  nel corso di una conferenza stampa la mostra organizzata e curata dall’associazione culturale per le arti contemporanee Prologo “I LUOGHI DELL’INCERTEZZA E LE EMOZIONI DELLA LIBERTÀ”, esposizione delle opere di 39 artisti in omaggio a Franco Basaglia (Auditorium della Cultura Friulana, 1^ febbraio – 2 marzo 2025)

Trentanove artisti italiani e sloveni, in prevalenza goriziani, rendono idealmente omaggio alla figura e al lavoro di Franco Basaglia nella mostra voluta dall’amministrazione comunale in occasione di GO! 2025 – Nova Gorica e Gorizia Capitale Europea della Cultura dal titolo, “I luoghi dell’incertezza e le emozioni della libertà”, che sarà allestita dal 1^ febbraio al 2 marzo prossimi all’Auditorium della Cultura Friulana con l’organizzazione dell’Associazione per le Arti Contemporanee Prologo, la curatela del critico d’Arte Giancarlo Pauletto e la collaborazione di Franco Dugo, anche presente in mostra con una sua opera.

Presentata  nel corso di una conferenza stampa al Municipio di Gorizia alla presenza del Sindaco di Gorizia Rodolfo Ziberna, dell’Assessore alla Capitale Europea della Cultura Go!2025 Patrizia Artico, del Direttore dell’Associazione Prologo FRANCO SPANÒ e del critico d’arte Giancarlo Pauletto, curatore della mostra, si è evidenziato come quella di Basaglia, oltre che una figura iconica della storia della città di Gorizia e massimo innovatore nell’ambito della psichiatria mondiale, ben rappresenti e incarni quel superamento dei confini e delle barriere che è al centro dell’evento borderless della Capitale.

A partire dal 1^ febbraio fino al 2 marzo prossimi, in mostra all’Auditorium della Cultura Friulana di Gorizia le opere di Sergio Altieri, Massimiliano Busan, Roberto Cantarutti, Stefano Comelli, Luciano De Gironcoli, Alfred De Locatelli, Armando Depetris, Mario Di Iorio, Nico Di Stasio, Ignazio Doliach, Franco Dugo, Michele Fenzl Menardi, Paolo Figar, Maurizio Gerini, Laura Grusovin, Francesco Imbimbo, Giacinto Iussa, Silvia Klainscek, Damjan Komel, Andrej Kosič, Stelio Kovic, Anja Kranjc, Roberto Kusterle, Alessandra Lazzaris, Marina Legovini, Cesare Mochiutti, Claudio Mrakic, Dilka Nassyrova, Stefano Ornella, Giovanni Pacor, Aleksander Peca, Maria Grazia Persolja, Jasmina Rojc, Ignazio Romeo, Alessio Russo, Nika Šimac, Angelo Simonetti, Franco Spanò, Giorgio Valvassori.

Come spiegato dall’associazione Prologo, organizzatrice e co-curatrice della mostra (diretta da Franco Spanò, che figura anche tra gli artisti esposti), il pensiero di Franco Basaglia e la sua lotta per la riforma psichiatrica hanno cambiato radicalmente il modo di rapportarsi della società con le malattie mentali. Basaglia propose una nuova concezione della cura psichiatrica, dove era il paziente al centro dell’attenzione, e non la malattia. Il suo pensiero e la sua azione rivoluzionaria partirono dall’ospedale psichiatrico di Gorizia e lo resero pioniere della lotta per i diritti delle persone con disabilità mentale e non solo. La sua eredità rimane un punto di riferimento per tutti coloro che credono nella possibilità di costruire una società più inclusiva, solidale e libera. I lavori presenti nell’esposizione non si limitano a illustrare Franco Basaglia, la sua ricerca e il suo impegno per migliorare la psichiatria, ma raccontano anche lo stato d’animo di una raggiunta libertà espressiva ed emotiva. Con questa esposizione, non solo si vuole ricordare la figura di Basaglia, ma è l’occasione per continuare a riflettere sul suo pensiero. Per molti artisti questa è stata un’occasione per riascoltare le voci e le testimonianze di chi l’ha conosciuto, arrivate a noi grazie agli scritti, alle interviste, alle opere di quanti hanno voluto rendergli omaggio fino a qui.

«Un omaggio di artisti a Franco Basaglia, e specie di artisti goriziani, ha evidenti ragioni di congruenza con la figura di questo grande riformatore dell’istituzione psichiatrica, e la prima appare legata anzitutto al luogo dove egli lavorò e dove oggi si allestisce l’esposizione», ha raccontato il curatore Giancarlo Pauletto. «È a Gorizia, infatti, che egli comincia a modificare le abituali gerarchie verticali dell’ospedale, ad impostare laboratori di pittura e di teatro, a creare una cooperativa di lavoro, insomma a mettere in relazione interno ed esterno. È a Gorizia e da Gorizia che parte la grande spinta riformatrice e anche gli artisti sono implicati in questo, cioè indicare il nuovo approccio con la sofferenza psichica. L’artista è una persona che spesso con più facilità può mettersi in sintonia col disagio mentale, con il dolore, con il senso di esclusione che è forse la sofferenza più grande che il malato psichico deve sopportare. E quindi un omaggio di artisti a Franco Basaglia appare veramente un atto pressoché naturale», ha proseguito Pauletto. «Alcuni artisti si sono ispirati all’icona di Marco Cavallo, la più popolare dell’intera vicenda basagliana, e da qui si può partire per brevissimi cenni alle opere in esposizione. I più espliciti sono Francesco Imbimbo e Laura Grusovin, il primo che rappresenta un Basaglia che cavalca un cavallo a rovescio, avendo nella mano sinistra un cannocchiale, con il quale vede il futuro; la seconda – una costruzione pacata e un po’ surreale – inscena un rinchiuso davanti al quale, in un’ampia piazza, sta il cavallo, con ai piedi un nastro rosso che forse significa la possibilità della libertà. Il cavallo alato di Paolo Figar, anch’esso un po’ surreale, sembra avere la capacità di portare con sé anche il peso dell’edificio con le sue chiusure, una sorta di protezione e di promessa. Diversa la scelta di Jasmina Rojc. Anche qui c’è il cavallo, dal quale sembra uscire – a differenza che a Troia – uno stuolo di colombe, ma tutta la composizione è affollata di corpi femminili e di fiori, non senza un segno di contraddizione: la colomba in alto col segno del bersaglio. Sintetica l’allusione di Alessio Russo, il «Cavallo pazzo» che galoppa al centro di un vortice rosso, intuibile simbolo, ci pare, di una ricerca di libertà. Altri artisti, per esprimersi, si sono affidati al segno, trovato all’interno della vasta costellazione dell’informale, che può non essere puramente astratta, che può adibire anche la figura, o almeno tracce di figura, ai suoi scopi. Ci pare il caso di Max Busan, che ci mette davanti un volto leggibile a fatica, ma proprio per questo più significante; nell’opera di Mario Di Iorio c’è una trama di segni che è come una rete, una faticosa barriera che impedisce lo sguardo; più aperta, ma non rassicurante, l’immagine creata da Cesare Mocchiutti con la sua maschera ghignante; esplicito Maurizio Gerini, con la sua gabbia di segni e il volto identificato dal “pianto che non si vede”; segni sono anche le parole di Silvia Klainschek, qui disposte, secondo il titolo, a formare una gabbia: lieve, ma forse più resistente di altre; anche nella pittura di Stelio Kovic ci sono segni che, assieme a zone di colore, creano una sorta di barriera da cui emergono, obliqui, gli occhi che guardano, con effetto subito drammatico. Questa idea di barriera, di chiusura invalicabile è presente in parecchie altre opere, anche notevolmente diverse tra loro e tuttavia implicate, almeno per la mia sensibilità, con questa impressione. Così è per i “tagli” specchianti di Ignazio Romeo, così per la “finestra” di Giorgio Valvassori, sottilmente precisata, così per la secca immagine di Luciano De Gironcoli, appena mossa dai bianchi, così per le “sbarre” di Alessandra Lazzaris, anche matericamente evocanti, credo, uno stato di emarginazione, così per le bande incrociate di Franco Spanò, simmetriche ed escludenti. E mi pare che anche due sculture si possano includere in questa ipotesi, quella di Stefano Comelli e quella di Damjan Komel, la prima per una perfezione di profilo che non prevede “uscite”, interazioni, la seconda perché si propone come una perfetta “gabbia” di pastiglie. Altri artisti lavorano su atmosfere allusive, simboliche. Questo certamente si può dire per Anja Kranjc, che ha una tela costruita sul rispecchiamento, e dove due mani custodiscono una bolla d’oro; si può dire anche per Stefano Ornella, con la sua figura che quasi si confonde in un’atmosfera un po’ preziosa e un po’ misteriosa; così per Marina Legovini, il cui bianco centrale è un’apparizione, così per Maria Grazia Persolja, che affonda la tela in una sequenza di rosa e di azzurri; così per Roberto Cantarutti, nel cui «Traum» alcune figure si dissolvono, tono su tono, in un’atmosfera sospesa; così per Andrej Kosič, con allusive mani, sbarre e catene. Poi c’è un ampio gruppo di opere che si fondano sulla figura, che può essere talvolta allusiva e simbolica, ma sempre presente e precisata. È il caso della stilizzata, ma espressiva donna di Armando De Petris, dello spalancato volto in scultura di Angelo Simonetti, della stravolta fisionomia della terracotta di Giovanni Pacor, della toccante sofferenza messa in scena da Aleksander Peca, dell’ambiente di Franco Dugo, con le inequivocabili figure degli internati, del racconto nitido, tra incubo e sogno, di Dika Nassyrova. E poi di Nico Di Stasio con la dolente, abbuiata donna alla finestra, dell’immagine di Roberto Kusterle, direttamente esemplare, del volto di Claudio Mrakic, il cui occhio spalancato è subito domanda. Nel contesto porrei anche l’opera di Alfred De Locatelli, che riceve il suo senso ultimo soprattutto dalle due figurine umane. Pure la foglia tarpata, verso la dissoluzione, di Nika Šimac è figura allusiva ad un “naturale” non si sa se amico o nemico, mentre il “sogno” di Michele Fenzl Menardi pare voler dissolvere il confine tra vivente “umano” e vivente, appunto, “naturale”. Più consuete, per così dire, altre presenze. Giacinto Iussa omaggia Basaglia facendogli un ritratto, accennando alla sua vicenda di psichiatra, Sergio Altieri e Ignazio Doliach sono presenti con opere tipicamente loro, il primo con una pittura che arieggia la notissima sequenza “Come una musica distante”, il secondo con un “Uomo-donna” dal tono più sospeso e miticheggiante. Ma sarà soprattutto il visitatore a dare il loro senso alle opere, in un’interazione necessaria e feconda che, se ci pensiamo bene, non è tanto lontana da quella che Franco Basaglia e i suoi collaboratori cercarono di instaurare con i loro pazienti», conclude il critico d’arte curatore dell’esposizione.

«Quando si parla di assenza di confini, di ostacoli, di barriere e di restrizioni, oggi, per noi, è inevitabile pensare a GO! 2025, la Capitale Europea della Cultura condivisa tra Gorizia e Nova Gorica, il cui leit motiv è, per l’appunto, borderless» – spiega il Sindaco di Gorizia Rodolfo Ziberna. «Ma altrettanto naturalmente la memoria ci riporta anche ad una figura iconica della storia di questa città e della psichiatria a livello mondiale, Franco Basaglia. Direttore del manicomio goriziano a partire dal 1961: grazie alla sua profonda sensibilità, alle sue conoscenze all’avanguardia e alle sue intuizioni particolarmente perspicaci, egli ha reso la nostra città la fucina di una rivoluzione epocale che ha portato al superamento definitivo del concetto di “manicomio” inteso come strumento di mantenimento dell’ordine pubblico e della moralità per il tramite della segregazione e dell’alienazione delle persone ritenute pericolose o semplicemente diverse. A Franco Basaglia, simbolo borderless per eccellenza, abbiamo voluto dedicare, in un anno speciale in cui si celebrano la pace, la tolleranza, la fratellanza, l’incontro e il confronto, una mostra d’arte contemporanea incentrata sull’analisi del concetto di psiche».

«Sentire un territorio, sentire la sua storia e trasformarla in un messaggio universale. È questo che sanno fare gli artisti e se il territorio è quello del Goriziano, inteso in un ampio senso transfrontaliero, questo messaggio diventa unico e straordinario. È ciò che hanno fatto gli artisti di questo luogo così particolare, che ha ospitato i germogli di quella eccezionale rivoluzione che ha permesso la chiusura dei manicomi lager restituendo dignità di persone ai pazienti psichiatrici. Ai matti», racconta l’Assessore alla Capitale Europea della Cultura GO!2025 Patrizia Artico. «Sono sicura che la mostra I luoghi dell’incertezza e le emozioni della libertà riuscirà a trasmettere l’idea del superamento dei confini, soprattutto mentali, che sta alla base della rivoluzione basagliana. Rincorrendo l’utopia di un mondo senza frontiere e senza nazionalità».

comunicato stampa