Visibilmente soddisfatto e raggiante dal palco dell’ultimo concerto della 34 edizione, Giancarlo Velliscig, patron della storica rassegna udinese, ha ringraziato ricapitolando uno tra i più memorabili festival degli ultimi anni per proposte, location , ritorno di pubblico e naturalmente per l’altissima qualità della musica.

Tra le cose da ricordare sicuramente la collaborazione con alcune scuole superiori udinesi che ha portato un folto gruppo di studenti a partecipare direttamente alle attività e alla vita del festival. Il PCTO è l’acronimo, che sembra uno starnuto, di Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, ex alternanza scuola -lavoro, come dicono i siti ministeriali, sono percorsi formativi di alternanza utili ad orientare gli studenti dell’ultimo triennio delle scuole superiori al mondo del lavoro, al proseguimento degli studi e sviluppare competenze trasversali. Ecco che il mondo dello spettacolo dal vivo, della musica e soprattutto del jazz possono garantire agli studenti valide e spendibili esperienze concrete e fattive

E’ meraviglioso constatare che, al di là dei generi, i ragazzi tornano in massa agli spettacoli dal vivo, i numeri delle vendite al botteghino parlano chiaro. Fino ad ora sembrava che l’unica alternativa per le giovani generazioni fosse spesso solo quella dell’eremitismo di massa con una perdita graduale della socialità sempre più mediata dagli strumenti digitali. E’ sicuramente necessario impegnarsi per creare socialità e nuove forme di comunità cooperanti, ma anche avere la lucidità di comprendere che nuove forme di relazione interpersonale sono già in atto secondo regole che scardinano ogni tipo di pregiudizio. In questo senso, il fenomeno montante della nuova musica elettronica dal vivo con migliaia di persone, spesso giovanissime, che si radunano per ballare e condividere gioia e ritmi contraddice per fortuna tutto quello che fin ora si è detto delle nuove generazioni.

Tutto questo era evidente anche osservando il comportamento degli studenti coinvolti da Udin&Jazz che hanno manifestato grande curiosità e apertura verso un genere che in realtà non appartiene al loro quotidiano e che i social media guardano con distacco e a volte con disprezzo.

Bisogna ricordare che ciò che viene imposto e calato dall’alto produce sempre un primo effetto di ripulsa soprattutto nelle sensibilità più giovani. Il jazz è soprattutto passione e condivisione di emozioni e in questo modo deve essere trasmesso, non deve mai diventare un dovere “scolastico”. I ragazzi molto spesso non hanno alcun bisogno di essere guidati o eterodiretti ma semplicemente ascoltati: “We don’t need no education. We don’t need no thought control. No dark sarcasm in the classroom. Teachers leave them kids alone. Hey! Teachers! Leave them kids alone! All in all it’s just another brick in the wall. All in all you’re just another brick in the wall”.

Tra i molti eventi che hanno visto la collaborazione attiva degli studenti Pcto, quello più significativo è stata l’esibizione di Aeham Ahmad che ha fatto parte del focus che la rassegna ha voluto dedicare ai tragici fatti di Palestina.

Nella gremita sala dello Spazio 35 di via Percoto a Udine, in uno dei quartieri che la città stigmatizza come malfamato, si è tenuto uno dei concerti più toccanti e partecipati dell’intera rassegna Udin&Jazz. Aeham Ahmad, classe 1988, è un pianista dal talento eclettico e fuori dall’ordinario con una particolare formazione classica unita alla tradizione musicale mediorientale virata nei suoni e nei ritmi del jazz.

Potrebbero sembrare ambiti inconciliabili, ma gli “orecchi circoncisi” sanno bene che è tutta farina dello medesimo sacco. Come ha spiegato lo stesso pianista, in dialogo con il pubblico, in un divertente escursus divulgativo durante il concerto, la musica d’Occidente ha profondi legami con la cultura araba.

La musica antica e medievale sono difficilmente scindibili dall’influsso della musica arabo-andalusa sviluppata nella Spagna islamica fiorita tra il IX e il XV sec. Il progetto Hespèrion XXI di Jordi Savall ce lo insegna da almeno cinque decenni. Lo stesso discorso vale per l’età barocca, le cui espressioni artistiche sono incomprensibili senza un riferimento ai vari “orientalismi”.

Il jazz pianistico è un’evoluzione del Ragtime originario di New Orleans ma modellato su antiche danze europee a ritmo ternario come la Giga, filiazione più o meno diretta della Moresca, danza che secondo alcuni studiosi sarebbe arrivata in Europa addirittura ai tempi delle crociate per sovrapporsi a quelle popolari arcaiche autoctone legate ai rituali agrari apotropaici. La famiglia Bach ben conosceva la Sarabanda, Mozart la Furlana e Rossini la Tarantella.

In modo alquanto estroso ed eclettico Ahmad fa confluire tutte queste suggestioni nella sua musica che però non suona mai come un’accademica ricapitolazione di generi o di stili, ma ha sempre la magia della semplicità armonica che coinvolge e delizia l’ascoltatore anche più distratto.

L’orizzonte della straordinaria, toccante esibizione del pianista palestinese, nato e cresciuto nel campo profughi di Yarmouk, a Damasco in Siria è stato segnato da due punti cardinali: da una parte un’interpretazione molto personale dell’Inno alla gioia dalla corale della Nona sinfonia di Beethoven, dall’altra l’universalmente nota canzone partigiana “Bella Ciao” tutto in salsa rigorosamente “Arab Jazz” come ha definito il genere lo stesso musicista.

Di certo anche questa potrebbe sembrare una totale stravaganza ad un primo ascolto, ma se si sanno unire i puntini del percorso artistico di Ahmad tutto acquista immediatamente un significato di assoluto rilievo.

L’Inno alla Gioia è stato scelto dall’Unione Europea come proprio inno perchè ne riassume i valori espressi non solo dalla musica, ma anche dall’originario testo poetico di Schiller. Suonarlo in concerto vuol dire richiamarsi a quegli ideali che dovrebbero essere condivisi da tutti e che invece in molti cuori restano lettera morta.

Che a farlo, proprio di questi tempi, sia un profugo palestinese mentre è in corso il genocidio del suo popolo, moltiplica le istanze di fratellanza, di giustizia e di solidarietà che provengono da quelle note.

Stimolato dal pianista il pubblico ha vocalizzato a mezza voce la melodia commuovendosi e forse rendendosi solo parzialmente conto del grande, simbolico gesto che stava compiendo trasportato dalle emozioni della musica. Non a caso Ahmad nel 2015 ha ricevuto il premio internazionale Beethoven per i diritti civili dell’Accademia Beethoven di Bonn.

Riportiamo la traduzione dell’inno composta dal filosofo Frederick Schiller, con le aggiunte di Beethoven, che ci aiuta a riflettere su quella che dovrebbe essere la vera vocazione dell’Unione Europea, lo spirito di fratellanza, che stiamo metodicamente tradendo:

“O amici, non questi suoni! Ma intoniamone altri più piacevoli, e più gioiosi. Gioia, bella scintilla divina, figlia degli Elisei, noi entriamo ebbri e frementi, celeste, nel tuo tempio. La tua magia ricongiunge ciò che la moda ha rigidamente diviso, tutti gli uomini diventano fratelli, dove la tua ala soave freme.

L’uomo a cui la sorte benevola concesse di essere amico di un amico, chi ha ottenuto una donna leggiadra, unisca il suo giubilo al nostro! Sì, – chi anche una sola anima possa dir sua nel mondo! Chi invece non c’è riuscito, lasci piangente e furtivo questa compagnia!

Gioia bevono tutti i viventi dai seni della natura; tutti i buoni, tutti i malvagi seguono la sua traccia di rose! Baci ci ha dato e uva , un amico, provato fino alla morte! La voluttà fu concessa al verme, e il cherubino sta davanti a Dio! Lieti, come i suoi astri volano attraverso la volta splendida del cielo, percorrete, fratelli, la vostra strada, gioiosi, come un eroe verso la vittoria. Abbracciatevi, moltitudini! Questo bacio (vada) al mondo intero.

Fratelli, sopra il cielo stellato deve abitare un padre affettuoso. Vi inginocchiate, moltitudini? Intuisci il tuo creatore, mondo? Cercalo sopra il cielo stellato! Sopra le stelle deve abitare!”

Il concerto è stato preceduto da un breve dialogo con l’artista impreziosito dagli interventi di Farah Moati, una studentessa PCTO che, oltre a fare da interprete, ha letto alcune struggenti poesie di Mahmoud Darwish, massimo interprete dello spirito palestinese e autore della Dichiarazione d’Indipendenza del 1988.

Visto che il pianista Ahmad è anche un ottimo scrittore non si è voluta perdere l’occasione di presentare la sua ultima fatica letteraria scritta a quattro mani con il giornalista Andreas Lukas: “Taxi Damasco. Storie, incontri, speranze di un popolo in guerra” (La Nave di Teseo 2024).

Nel suo precedente e autobiografico “Il pianista di Yarmouk”, dall’incredibile successo, vero e proprio caso letterario, raccontava della tragedia della propria doppia “profuganza” da rifugiato palestinese nella Siria in guerra, alla fuga attraverso la rotta balcanica fino a Wiesbaden dove ha potuto coronare il suo sogno di concertista.

In “Taxi Damasco” idealmente l’autore ritorna nella sua città distrutta per raccontare le storie degli “ultimi”, tutti coloro che essendo talmente miseri non sono riusciti nemmeno a fuggire dalle macerie in cui sono ridotte le loro case e sono costretti a sopravvivere in quello scenario di desolazione. Sono tutti ritratti di persone in punta di matita altamente drammatici e realistici, ma allo stesso tempo pieni di speranza e voglia di vivere. Proprio come con la sua musica, Ahmad scrittore riesce a comporre un’armonia corale nella quale le voci ben distinte tra loro concorrono ad un’armonia generale. Così nel libro a farla da padrone, anche se è molto presente, non è la “voce del cannone”, ma quella di un popolo che soffre e crede nel proprio futuro di giustizia e libertà.

Il concerto di Aeham Ahmad si è chiuso con l’immancabile bis nel quale ha intonato la canzone partigiana e resistente per eccellenza in tutta Europa. “Bella ciao”, cantata da tutto il pubblico mentre lui improvvisava al pianoforte, ha creato un’atmosfera di commozione autentica, nella quale sembrava aleggiare un vero spirito di fratellanza. E’ stato un attimo d’eternità sospesa come solo la musica sa creare. Spentasi l’ultima nota, in un fragore di applausi e sorrisi, ognuno è tornato con i piedi per terra, ma le buone vibrazione delle corde del cuore di quanti hanno assistito a quel prodigio non tacciono ancora.

Flaviano Bosco / instArt 2024 ©