L’Astro Club di Fontanafredda nella periferia occidentale della città di Pordenone, tra campagna e capannoni, è un luogo incredibile dove passa la musica più alternativa della Regione e dove può capitare di trovarsi faccia a faccia con un’autentica leggenda vivente del rock mondiale: Nick Oliveri, deus ex machina dello Stoner Rock.
Il locale è ricavato proprio in un ex stabile artigianale, per metà ancora adibito a deposito, un luogo completamente diverso dallo stereotipo del club metropolitano filiazione nell’immaginario contemporaneo del mitico CBGB di New York.
La destra Tagliamento ha una tradizione di locali davvero “alternativi”, con una propria fisionomia ben definita e niente male e una storia musicale che comprende il primo vero movimento musicale e artistico d’ispirazione punk del paese: The Great Complotto.
Proprio in mezzo a quello che qualcuno definisce “niente”, nei luoghi più insospettabili è passata la storia della musica crescendo generazioni di appassionati che a loro volta stanno trasmettendo il “verbo”.
A Gaio di Spilimbergo, per esempio, è nato il germe del Sunsplash, il più grande festival europeo del Reggae che la pretestuosa legge Fini-Giovanardi (309/9.10.1990) ha in seguito cacciato dall’Italia; a Giais di Aviano esisteva il Velvet Rock club dove suonarono i grandi gruppi dell’alternative a livello mondiale negli anni ’90; nel Palasport della stessa Fontanafredda suonarono i Ramones il 14/03/1992 come testimonia per altro un pessimo audio reperibile su You Tube, senza parlare dell’inarrivabile Piper club che ha fatto epoca per tutt’altri motivi e che ormai fa notizia solamente in cronaca scandalistica (Dagospia 06/02/2023).
La pur frammentaria e discontinua scena musicale pordenonese, fatta anche di miti di provincia e di stelle cadenti di varia natura, ha creato negli ultimi decenni autentici fenomeni musicali di grande rilevanza e di livello europeo. I quattro cavalieri dell’Apocalisse sono Teho Teardo, Davide Toffolo, Gian Maria Accusani, Francesco Bearzatti, artisti autentici che nei rispettivi generi costruiscono un panorama eccezionale di suoni e di cultura radicalmente alternativa.
L’Astro Club è degno portabandiera di questa lunga tradizione che ha fatto della musica la propria libertà.
La Go Down Records giustamente spinge sul pedale del genere che dimostra di essere autentico e in piena salute nonostante i 30 anni dal suo primo apparire. Non si è trattato per nulla di un fenomeno generazionale come ormai si può dire del suo parente di Seattle il Grunge. Quello dello Stoner non è per nulla un revival asservito alle logiche del mercato, è sorgivo e sulfureo com’è sempre stato, inesauribile nei suoi rif martellanti sempre uguali e sempre diversi, che continuano a colpire quasi a caso dovunque capiti con varia furia. Musica diretta senza fronzoli né compromessi, aspra e distorta che non smette di divertire e stupire.
The Magogas: Fabio Cester (basso) Jacopo Nava (chitarra) Lisa Cappellazzo (batteria)
Stoner pestatissimo con alla batteria una valchiria bionda slavata con una muscolatura scolpita e definita da scontro dei Titani.
Un power trio classico dalle sonorità granitiche, sporche e sudate, a volte sul filo del Doom tutto strumentale e di ottima qualità ed efficacia. Un pugno di brani “brutti, sporchi e cattivi” sparati con il piglio giusto di chi non ha niente da perdere.
Sanno essere anche veloci e il loro sound è compatto e solido come il loro set che non si perde in chiacchere e che sa convincere già ai primi accordi. Niente che non si sia già sentito mille volte, ma i tre sanno suonare davvero e divertire. A pensarci bene è anche l’8 marzo e una batterista come questa lotta a colpi di maglio ed è un gran piacere starla a sentire,
Suona duro e pesante con i capelli sulla faccia da rocker scafata e selvaggia e anche i suoi compagni non la mandano a dire in un massiccio interplay tra chitarra e basso slabbrato e aggressivo con suoni brucia budella proprio come devono essere.
Non mancano bei riff chitarristici sparati alla velocità della luce, mentre la dea della guerra dietro alle pelli, procede inarrestabile come una schiacciasassi.
Gran parte del set è violentemente strumentale, ma il bassista malauguratamente vuole anche urlare a squarciagola qualcosa che dovrebbe avvicinarsi ad una forma cantata e che non è nemmeno un grugnito. Per fortuna, sono solo pochi momenti poi il flusso di lava sonora riprende senz’altri ostacoli.
“E con questo pezzo che si chiama “Chiusura”, secondo voi cosa facciamo?” – urla il bassista rivolgendosi al pubblico e rispondendosi da vero veneziano: “Femo come Baglioni e se a dai c…..!”
Scaletta: Troia, 5, Too High, Lost, Foca, Veleno, Kataclisma, Chiusura.
Underdogs: Simone Vian (basso, voce) Michele Fontanarosa (chitarra) Alberto Trevisan (batteria)
Sempre di un power trio si è trattato perchè giustamente questo lo Stoner richiede e ci mancherebbe.
Appena meno distorti e più metallici del gruppo d’apertura, ma la sostanza non cambia. Il suono sembra più arrotondato e definito e la tecnica è decisamente migliore, così come la voce, ma l’attitudine è la medesima: punkeggiante e stradaiola.
Il gruppo di San Donà di Piave (VE) ha un carriera di vent’anni alle spalle e sta lavorando ad un nuovo album di una discreta serie.
Irrompono nel vociare del pubblico con un primo brano strumentale, come di prammatica, con una maschera nera indossata sul volto, è un bell’impatto metallico-cinematografico. Il cantante è decisamente adeguato anche se utilizza un delay per la voce che regala profondità al sound complessivo, ma toglie ruvidezza. Le canzoni sono levigate e rifinite, roba da professionisti anche se per fortuna conservano quel tanto di primitiva rozzezza, assolutamente irrinunciabile, che li rende aggressivi e rabbiosi.
Non perdono in spontaneità anche quando dimostrano la superiorità della loro tecnica; a far la differenza è anche la presenza scenica del chitarrista che a tratti sembra indemoniato e posseduto.
Alla fine dell’esibizione Nick Oliveri in persona sale sul palco con loro per cantare una sulfurea versione di Millionaire che scrisse per gli allora suoi Queens of the Stone Age.
Un vero delirio di fuoco e di fiamme con i motori lanciati a palla. Segue un pezzo nuovo nuovo appena registrato in camerino, dall’emblematico titolo di “Knocking on Hell’s door”. E’ la prima volta che lo suonano insieme dal vivo.
Ecco che cos’è lo spirito del rock più autentico con il quale tutto s’incendia in un attimo: accendete i motori e poi scatenate l’inferno, Hey ho let’s go!
Nick Oliveri sa davvero come divertirsi e non si atteggia minimamente alla super star che è davvero, è un rocker vero fatto e finito a cui interessa solamente la foga del palco ed esprimere il terremoto che lo abita. Non poteva mancare come ultimo pezzo “Green Machine” che scrisse per i Kyuss, secondo brano del monolitico “Blues for the Red Sun”, pubblicato il 30 giugno 1992 dalla Dali records, a far data da quel giorno si può parlare di Stoner rock e del suo profeta Nick Oliveri.
“I’ve got a war inside my head, it’s got to set your soul free, I’ve got a wheel inside my head, A Wheel of Understanding”
Scaletta: Matrirx Redux instrumental, Locked doors, Optional girl, Die or dance, You don’t, A grass saga, Crawl and burn, Forbidden sand, Stonerland, Millionaire with Nick Oliveri, Knockin on Hell’s door.
Nick Oliveri’s Death Acoustic. Finalmente, dopo tanto sudore e qualche birretta tra un gruppo e l’altro, arrivava il momento dell’esibizione solista di uno dei musicisti più rivoluzionari e ispirati del rock contemporaneo nelle ultime tre decadi almeno, e non era come tutti se l’aspettavano ma addirittura meglio.
Lo Stoner nasce da una distorsione del basso proprio di Nick Oliveri, il suo marchio di fabbrica sono gli amplificatori che “friggono” e la batteria che tuona ipnotica e ossessiva; non sembrerebbe possibile che quella furia iconoclasta adatta per le desolazioni del deserto californiano con il sole a picco, l’asfalto e le allucinazioni da sostanze psicotrope, possa avere un senso in un’esibizione basata solo su una sei corde acustica e tanta rabbia; infatti, non ne ha alcuno, ma Oliveri è stato capace di far scaturire la lava dalla roccia in pieno deserto come un vero profeta della musica, dopo aver incendiato anche il roveto ardente.
Si è presentato sul palco in perfetta forma, rasato di fresco e con la t-shirt vintage dell’Ep “Wop Hour” dei Raw Power, “la band più longeva e conosciuta nella storia del punk hardcore italiano” che ha collaborato con lui e dei quali il chitarrista conserva anche rari vinili nella sua sterminata collezione.
Il primo brano Green Machine che aveva concluso tra cupe vampe il concerto degli Underdogs ha aperto quello di Oliveri e non poteva essere diversamente. Le sue pennate durissime sulle corde, il suo perfetto controllo della voce rasposa come la carta vetrata e la sua grinta da istrione, vera e propria belva da palcoscenico, hanno trasformato in un attimo l’Astro club in una fornace del più autentico Rock’n’Roll del deserto.
La sua chitarra sferragliante e il vetro aguzzo della sua ruvida e spiritata voce, il suo mood da vero “Bad boy for love” funzionano in acustico esattamente come la dinamo di una centrale elettrica dalla carica infinita. Il selvaggio rocker sa trasformarsi così in cantastorie acido e abrasivo.
Tra un brano e l’altro ricorda di quando nel 1998 venne in provincia Pordenone per la prima volta e dedica una canzone ai bei tempi della “torrida” serata al glorioso Velvet club a Giais di Aviano con i Queens of the Stone Age.
Quella di Oliveri è una vera e propria performance di rara intensità e bellezza straordinaria, con il cantante a stretto contatto anche fisico con il suo pubblico. E’ stata un’esibizione scarnificata assoluta, pura forza cruda, come dicevano gli Stoogees di Iggy Pop che nel bene e nel male sono all’origine di tutto: “Raw power got a magic touch, raw power is a much too much…”
I brani si sono susseguiti con brevi pause nelle quali Oliveri, anche per riprendere fiato, dialogava con il pubblico e, in realtà, anche con se stesso inseguendo i pensieri e le emozioni che le canzoni via via gli suscitavano.
Tra questi Auto Pilot il brano che scrisse per i Queens of the stone age di “Rated R” con Mark Lanegan che per l’occasione ha dedicato a Chris Cornell: “I wanna fly, wanna ride with you. Is this the best that you can do? I wanna fly, wanna ride with you?”; speriamo non sia proprio vero perchè gli ultimi due ora suonano lassù per quegli angeli con la sigaretta di Black Sabbath “Heaven and Hell” e chi vuol intender intenda.
Al verso della canzone dove si dice: “Will we arrive in the middle of nowere” ha aggiunto scherzosamente “Pordenone” e per uno abituato a girare il mondo in lungo e in largo non gli si può certo dare torto. Sia chiaro la sua non era supponenza, “Da nessuna parte” è proprio il luogo dove vogliono andare tutti gli autentici pirati come lui, ribelli dei sette mari che issano bandiera nera.
Altro brano piuttosto intrigante “Another Love Song” quello dedicato alla sua “First ex wife” nel quale si avvertono le tensioni che portarono il bassista ad un passo da una lunga detenzione per reati gravissimi:
“Il musicista fu arrestato il 20 luglio del 2011 dopo una chiamata alla polizia della sua ex compagna, con le accuse di violenza domestica, sequestro di persona e resistenza a pubblico ufficiale. In seguito ad una perquisizione dell’abitazione fu successivamente accusato anche di possesso di cocaina, metanfetamina e di arma da fuoco carica. Il rischio per Oliveri era quello di vedersi comminare ben quindici anni di carcere. Il musicista ha quindi deciso per il patteggiamento, evitando così la gattabuia ma ricevendo comunque tre anni di condanna alla libertà vigilata, 200 ore di servizi sociali e 52 settimane di terapia presso un centro per la gestione della rabbia.” Rock’n’Roll! (www.rockol.it 04/08/2012).
La cura deve avere funzionato davvero e, pur cantando con furia selvaggia, distribuendo rasoiate a destra e a manca con la sua chitarra, sul palco e fuori si comporta da persona squisita dimostrandosi davvero grato al pubblico che ha aspettato fino a tardi per ascoltare “Acustic shit”, ringraziando l’organizzazione dell’Astro club, la Go Down records e le band che lo hanno preceduto “con le quali sarà un piacere collaborare in futuro”.
Alla fine chiama tutti sul palco a cantare la famosa “My favorite things” però in versione Queens of the Stone Age: “Nicotine, Valium, Vicodin, Marijuana, ecstasy, and alcohol”, un menu piuttosto impegnativo, non c’è che dire.
Salti, grida e tanta gioia, Oliveri preso dall’entusiasmo cade battendo forte la schiena, inciampando in una cassa spia e restando immobile. Per un attimo qualcuno ha pensato al peggio, ma poi l’indistruttibile eroe si è rialzato come niente fosse ed ha continuato con lo show.
I saluti finali il generosissimo Oliveri li ha fatti in ginocchio urlando la sua rabbia repressa nel microfono a pieni polmoni come un ossesso: “Everybody hates me but I don’t fucking care!”
Non è vero caro Nick noi ti amiamo e anche parecchio…Arrivederci a Trieste con i Mondo Generator allo Heavy Psych Sounds Fest al Teatro Miela di Trieste.
Hasta luego, Amigo!
Scaletta approssimativa: Truth is Stranger, Bad boy for love, Infected, Wont let go, Bloody Hammer, Smashed a part, TTT/Surf & Destroy, Autopilot, Ode to Clarissa, Anthem, Another Love song, She wanted to leave, Like the Sky
Flaviano Bosco / instArt 2024 ©