Previsto, inevitabile successo sold out al Palamostre di Udine per uno spettacolo che furoreggia sui palcoscenici italiani da alcuni mesi. A folgorare il pubblico l’accoppiata lisergica Elio Germano/Teho Teardo, un binomio attorial-musicale di assoluto rilievo.

Nel cartellone del teatro Contatto tra i titoli più attesi della stagione in corso c’era senza dubbio la lettura scenica con musiche originali eseguite dal vivo di un fin troppo libero adattamento da “Il sogno di una cosa” di Pier Paolo Pasolini.

Non è quasi il caso di spiegare l’importanza di quel testo per la storia della letteratura italiana e per la cultura friulana in genere. Soprattutto nell’anno di Nova Gorica/Gorizia 2025 riflettere sulla storia della frontiera e sugli intrecci storici che riguardano i rapporti tra il nostro paese e quelli che storicamente si trovavano “oltrecortina” è essenziale e necessario.

Nella realtà però l’aspettativa da questo punto di vista è andata delusa dalla lettura dei due splendidi artisti che sono sembrati concentrarsi maggiormente sugli aspetti esornativi del testo di Pasolini, prediligendo l’elemento estetizzante della sua poetica, rispetto alla drammatica situazione politica e al suo contesto che viene evocato solamente come sfondo narrativo e ornamentale e non come protagonista e comprimario.

Senza il suo contesto di lotta, speranze e ideali più o meno infranti, la storia del Nini, Milio ed Eligio che se ne scappano in Jugoslavia per tornarsene a piedi e con le pive nel sacco non ha alcun senso.

Per quanto riguarda l’elegia pastorale pasoliniana rivolta alle pascoliane atmosfere di un Friuli d’antan è più una supposizione di certi interpreti della sua opera che un vero e proprio stilema poetico. E’ certo che Pasolini ha sempre guardato a quel mondo con una certa fascinazione e rimpianto scorgendovi le tracce di un edenico arcaismo, ma è anche vero che ne ha sottolineato sempre la recondita, ferale crudeltà e la sanguinosa innocenza.

Non è proprio possibile riconoscergli alcun nostalgismo o forma di regressiva nostomania, semmai un senso di rammarico per i valori di solidarietà e fratellanza che la protervia capitalistica ha voluto cancellare. Lo sguardo di Pasolini nei confronti degli “ultimi”, siano essi del Friuli contadino o sottoproletari di tutte le periferie del mondo, è sempre stato venato di un senso del tragico per il quale il sogno di una cosa inevitabilmente si trasforma in un incubo.

Sul palcoscenico solo i due interpreti seduti dietro agli strumenti elettronici, nessun elemento di scenografia, niente costumi di scena, nessuna coreografia o movimento, schiena dritta e sguardo in avanti come due attori beckettiani che aspettano il loro Godot che naturalmente non arriverà mai. Tutto è lasciato alla voce, ai suoni e alle visioni generate dalla loro unione simbiotica.

Un potenziale enorme per due artisti dal talento altrettanto eccezionale che forse poteva essere orientato e diretto in modo più efficace. Anche lo spettacolo però vuole la propria parte e la messa in scena di un testo letterario a volte richiede delle scelte, delle riduzioni, delle forzature, dei tagli arbitrari e molto dolorosi, come in questo caso.

La dedica del romanzo cita un passo espunto da una lettera che nel settembre 1843 il giovane Karl Marx da Kreuznach scriveva all’amico Arnold Ruge a Parigi:

Il nostro motto dev’essere dunque: riforma della coscienza non per mezzo di dogmi, ma mediante l’analisi della coscienza non chiara a sé stessa, o si presenti sotto forma religiosa o politica. Apparirà allora che il mondo ha da lungo tempo il sogno di una cosa…”

Il tumulto del dopoguerra pieno di speranze e di inganni, visto dalla provincia, era questa coscienza non chiara a se stessa che si presentava sotto varie forme che rivelavano un’energia sopita e nascosta pronta a sgorgare, era il riaffiorare, il riemergere di una forza del passato che nemmeno il fascismo e la guerra avevano potuto prosciugare e che rappresentava una straordinaria occasione di futuro tutta da comprendere e analizzare. Questa una delle possibili interpretazioni del testo pasoliniano che però lo spettacolo non è sembrato voler cogliere concentrandosi maggiormente sull’evocazione di un Friuli nostalgico e cartolinesco del tutto estetizzante che, pur presente nel testo e nelle opere del poeta di Casarsa, assume ben altri significati profondi.

Elio Germano è da decenni uno dei volti del cinema italiano contemporaneo, almeno da quando interpretò il pazzo omicida Quattro formaggi nel film di Salvatores (Come Dio comanda, 2008). Da alcuni anni è decisamente sovraesposto e, come molti altri celebri attori del cinema italiano, tende a ricoprire tutti i personaggi e tutti i luoghi cinematografici con un effetto a volte straniante perché i suoi personaggi finiscono per confondersi l’uno nell’altro così come i caratteri e le fisionomie annullandone le differenze.

La sua lettura così personale e vigorosa non è al servizio del testo ma semmai il contrario, risaltano in primo piano le sue funamboliche capacità d’interprete, ma il senso svanisce sotto i suoi timbri esageratamente marcati. Garantiscono un certo equilibrio all’esibizione gli interventi musicali di Teardo cui per altro contribuisce anche l’attore suonando l’organetto e varie percussioni. Il duo è decisamente affiatato e abituato alle letture sceniche, li si può vedere sui palcoscenici italiani anche con una loro interpretazione di “Viaggio al termine della notte” di Celine.

Lo spettacolo di Germano/Teardo su Pasolini si apre con la voce dei grilli e il buio della sala, lo scorrere dell’acqua, tra suoni liquidi di sorgente e di percussioni (l’aghe frescie dal me pais) su parole lontane di salmodiate villotte: “Lin a bevi torn’à bevi di chel vin c’al’è tan bon”. Germano, voce e organetto e Teardo, con le sue diavolerie elettroniche SciFi Folk per un sound visionario e acido con i canti da osteria come base.

Da Ligugnana, Rosa, San Giovanni, che erano i loro paesi, senza sapere l’uno dell’altro, Nini Infant, Milio Bortolus e Eligio Pereisson, si erano mossi fin dalle prime ore del pomeriggio con le loro compagnie alla volta della festa. Essi si conoscevano è vero ormai da molto tempo, di vista, perché si erano incontrati in molte altre sagre e tutti e tre facevano parte della migliore gioventù sulla riva destra”.

Inizia così il romanzo e lo spettacolo che ne è stato tratto. La storia riguarda tre ragazzi friulani e le loro avventure e speranze nell’immediato dopoguerra. I tre vengono descritti mentre si stanno recando ad una delle tante sagre paesane nelle quali tutti urlano e ridono rintronati dal vino, le ragazze sono belle e felici, ma la realtà è ben diversa da quella che quei giovani cuori vorrebbero. Ad un certo punto al gruppetto s’avvicina un vecchio con un bicchiere in mano che gli dice di andar via dalla “porca Italia, per andare in Jugoslavia dove almeno c’è il comunismo”.

I ragazzi si convincono perché sanno quale futuro gli sta preparando quella “porca Italia” che solo qualche anno prima aveva sacrificato generazioni intere e già si preparava a rinnegare la lotta di Liberazione antifascista.

Il 14/07/1948 partirono da Ligugnana per andare in Jugoslavia. Quelli erano i giorni della speranza, la guerra sembrava lontana, la Jugoslavia stessa addormentata nel sole sembrava il futuro più luminoso.

Trovano un passeur, uno sloveno ubriaco che volle sei mila lire e che li portò di là, camminarono tutta la notte. Esattamente come fanno adesso, in senso inverso, migliaia di disperati alla fine della famigerata “Rotta balcanica”. Il confine era una fila di paletti bianchi.

Naturalmente il sogno finisce presto e i tre finiscono nella “Casa dei clandestini” per essere rimpatriati così come ora i nostri fratelli migranti finiscono nei vari “Campi di concentramento” nell’attesa di essere espulsi.

I friulani di Pasolini “Sarebbero tornati a casa loro solo alla fine di settembre 1948”.

Germano suona una campana, dialoghi registrati, splendida la chitarra di Teardo, bassi molto profondi e suoni gravi.

La lettura in musica, bisogna riconoscerlo, a tratti è davvero ipnotica e affascinante anche se in alcuni momenti sembra girare a vuoto, compiacendosi delle elegie agresti di Pasolini, dei balli campestri, delle fisarmoniche e dei bicchieri di vino.

Anche nella seconda parte dell’esibizione quando si tratta dei moti del lodo de Gasperi, la parte politica del romanzo viene scientemente ridotta all’osso, favorendo una lettura scenica coinvolgente, ma del tutto innocua dal punto di vista politico fino a banalizzarne il significato profondo.

Ne risulta un Pasolini godibile, ma per nulla abrasivo, allo spettatore medio finiscono per sfuggire completamente presupposti, contesto e significati dell’opera.

La meravigliosa musica contribuisce a confezionare uno spettacolo nel complesso affascinante ma del tutto privo di tensione drammatica. Non si capiscono per niente le motivazioni che sostengono la vicenda che risulta confusa e perfino caotica nei suoi quadri che appaiono quasi scollegati tra loro.

Elio Germano, da grande istrione qual è, sovra-interpreta la lettura, gigioneggia e carica di espressività sopra le righe ogni frase del testo, in un accumulo di forzata emotività, a tratti insostenibile, che ne snatura la poetica, fino a trasformare il Sogno in un agitato Sonno.

Nelle ultime pagine del romanzo i ragazzi si ritrovano al capezzale di Eligio morente:

Ti devi guarire, sai Eligio” gli disse il Nini, chinandosi su di lui fino quasi a sfiorarlo con una mano sulla fronte; egli fece di sì col capo. “Ehi, compagno, non ti ricordi di me?” chiese il Nini. Egli voltò quasi di colpo la testa verso di lui, e mormorò svelto una frase incomprensibile, con uno sforzo così acuto che lo lasciò senza respiro, con gli occhi chiusi, e continuò ad accennare di no col capo, come per far capire che comprendeva bene chi lui fosse; poi stette a guardarlo per qualche tempo fissamente: pareva che qualcosa come un sorriso nascesse in fondo ai suoi occhi spenti. Puntò ad un tratto un dito verso il Nini, ma il braccio gli ricadde subito, mentre nuovamente diceva, gemendo delle parole senza senso. “Una cosa” pareva dicesse, “Una cosa!”

Flaviano Bosco / instArt 2025 ©