Look up here, I’m in heaven
I’ve got scars that can’t be seen I’ve got drama, can’t be stolen Everybody knows me now |
Guarda qui su, sono in paradiso
Ho cicatrici che non possono essere viste Ho il mio dramma che non può essere rubato Tutti mi conoscono adesso |
Eccezionale, travolgente successo per la data zero della ripresa dello spettacolo Lazarus, versione italiana dell’ultima meraviglia del percorso terrestre di David Bowie. Inevitabile e immediato sold out del teatro Zancanaro di Sacile da parte di un pubblico attento e appassionato. L’intera compagnia ha provato in “residenza” per una settimana il nuovo allestimento nel teatro della città sul Livenza e lo spettacolo è stato una restituzione-data zero alle istituzioni culturali regionali che hanno sostenuto l’iniziativa.
I fan di Bowie sono ancora tanti e sembrerà incredibile, a distanza di otto anni dal decollo della sua astronave, sono in crescita, moltissimi sono i giovani che si stanno avvicinando al suo genio. E’ davvero il tempo che anche nel nostro paese si cominci a ragionare su David Bowie al di là del fenomeno da classifica, delle solite coverband e dei vari sosia vestiti da pupazzi.
Il lavoro di Agnelli e compagni è in questo senso magistrale, rispettoso del testo originale e assolutamente godibile anche da chi non è così esperto delle meraviglie del cantante. Lo spettacolo è stato fortemente voluto da Bowie per fornire una chiave ulteriore d’interpretazione della propria opera.
Coloro che, invece, considerano Lazarus e Blackstar come lavori conclusivi e finali della sua lunga carriera compiono un grave errore di prospettiva. Lazarus non è un testamento o una ricapitolazione, come si è spesso ripetuto da più parti, è un’energia vitale che si trasmette.
E’ un atto di rinascita, non è un occaso ma un momento aurorale; non è la resa alla malattia di un artista morente, è l’inizio di un volo astrale. Bowie con la sua musica ha aperto a tutti noi un portale per una nuova dimensione e lo spettacolo Lazarus segna il percorso che ci permette di raggiungerla dopo averla per anni inseguita.
Nelle prime righe di questa recensione abbiamo citato Lazarus la canzone d’apertura dello spettacolo da cui il titolo. Uno dei versi più significativi recita: “You Know, I’ll be free. Just like that Bluebird”, Lo sai che sarò libero, proprio come quell’uccellino blu. Il riferimento è alla Sialia (Sialia mexicana) che, oltre ad essere il simbolo di New York, è auspicio di rinascita molto rappresentato in letteratura dalla celebre opera di Maurice Maeterlinck (L’oiseau bleu, 1908) all’altrettanto nota poesia di Charles Bukowski (Bluebird 1992) “There’s a Bluebird in my heart that wants to get out”.
In un’intervista Enda Walsh, il drammaturgo con il quale Bowie scrisse a quattro mani la pièce, riflette:
“Sì, la fine di qualcosa è sempre l’inizio di qualcosa. Esattamente. E penso: se fossi Bowie, e ogni parte di te fosse nata per creare, se tutta la tua vita fosse basata sul fare qualcosa di nuovo, che non è mai esistito prima, vorresti pensare che la tua fine come persona ha potenziale per fare qualcos’altro. Giusto? E’ molto romantico ma allo stesso tempo è qualcosa di così profondo e spirituale”.
Sul palco Manuel Agnelli veste i panni di Thomas Gerome Newton, personaggio trasversale nella carriera del Duca Bianco. Nel 1970 il film “L’uomo che cadde sulla terra” di Nicolas Roeg segnò una tappa fondamentale del percorso artistico di Bowie. Il cantante si identificò con l’alieno costretto a lasciare il proprio pianeta morente per trovare un modo per salvarlo dal disastro climatico.
La missione terrestre fallisce miseramente e lui rimane bloccato sulla terra a milioni di chilometri da casa, consapevole che la sua negligenza ha estinto un intero pianeta. Il film ha avuto recentemente anche un sequel in una prestigiosa omonima serie tv creata da Jenny Lumet e Alex Kurtzman (Showtime 2022).
L’azione del musical Lazarus, inizia trent’anni dopo i fatti narrati nella pellicola. Newton si è isolato nel suo fallimento, chiuso in un appartamento pieno di ricordi, nostalgie e occasioni perdute. Lo stratagemma narrativo utilizzato per questa messa in scena è la rimemorazione dei fatti passati da parte del protagonista che ormai non ha più molto da vivere in questa nostra dimensione.
A sottolineare il momento di transizione, sugli schermi che fanno da quinte e da fondale appare l’immagine “disturbata” di Elvis Presley mentre canta:
Every man has a black star A black star over his shoulder And when a man sees his black star He knows his time, his time has come |
Ogni uomo ha una Stella nera Una Stella nera sulla sua spalla E quando un uomo vede la sua Stella nera Conosce il suo tempo, il suo tempo è venuto |
La solitudine “troppo rumorosa” di Newton è abitata da allucinazioni che si fanno carne e con le quali interagisce e si confonde. Nelle intenzioni di Bowie ognuno dei personaggi e delle situazioni doveva simboleggiava un momento preciso della propria vita d’artista compresa di tanti cambiamenti e svolte creative (Changes).
Gli attori, vere e proprie maschere, insieme anche in modo apparentemente caotico e quasi in un vortice di emozioni, formano la “depressione ciclonica” nella quale va in scena l’esistenza dell’ennesimo alter ego di Bowie che lo sappiamo bene aveva mille volti e mille maschere.
Newton, stravaccato sulla sua poltrona, rimugina e riflette mentre beve gin e mangia merendine in continuazione, suo unico nutrimento, come lo stesso David Bowie nel 1976 in uno dei momenti più drammatici della sua vita si sosteneva solamente con latte intero, peperoni rossi e montagne di cocaina in uno stato di alienazione molto simile a quello del protagonista di Lazarus.
Straordinariamente efficace la scenografia che su gradoni laterali ospita gli ottimi musicisti che eseguono magistralmente impeccabili arrangiamenti dei brani storici voluti da Bowie per lo spettacolo. Tra gli enormi schermi che sovrastano la scena, quello centrale, in realtà, è anche un soppalco nel quale si agitano in alcuni momenti i “doppi” dei protagonisti della scena principale che poi non sono altro che la personificazione delle allucinazioni dell’alieno Newton.
Su tutte spicca decisamente Marley, la ragazza interpretata da Casadilego che interpreta in modo toccante e straordinario l’epocale Life on Mars? Si sottolineano anche le ottime coreografie a cura di Michela Lucenti, anche brillante interprete del complesso personaggio di Elly. Si distingue l’interpretazione di Dario Battaglia nei panni luciferini di Valentine.
Unico momento di flessione di uno spettacolo assolutamente emozionante e coinvolgente, la canzone “The Man Who Sold the World” che meriterebbe d’essere cantata meglio da Attilio Caffarena/Michael, niente di così drammatico in verità, ma nell’economia di uno spettacolo dai toni superlativi si nota. Su tutto giganteggia l’interpretazione dell’ottimo Manuel Agnelli e la mano ferma del regista Valter Malosti.
Lo spettacolo si chiude con Heroes, canzone simbolo di Bowie:
We’re nothing, and nothing will help us
Maybe we’re lying, then you better not stay But we could be safer, just for one day |
Siamo niente, e niente ci aiuterà
Forse stiamo mentendo, è meglio che tu non rimanga. Ma potremmo essere al sicuro, giusto per un giorno. |
Applausi, oceano di mani!
Flaviano Bosco / instArt 2025 ©