La scorsa estate abbiamo assistito nella nostra regione ad un fenomeno piuttosto nuovo: il ritorno sui nostri palcoscenici della musica estrema e del metal più aggressivo.

Da alcuni anni è in atto anche in Italia, buona ultima in Europa, un fenomeno di riflusso per quanto riguarda l’heavy metal che fino a qualche anno fa era dato per morto e sepolto. Alcuni promoter hanno cominciato ad assicurare date, soprattutto nel nord Italia, per band che nel dopo covid se ne tenevano ben alla larga.

Il pubblico di appassionati non ha fatto mancare il proprio sostegno e chi prima si trovava costretto a recarsi oltre le Alpi o verso la pianura pannonica per soddisfare la propria passione, è stato ben felice di trovare i propri idoli sotto casa.

L’afflusso e relativo botteghino hanno premiato l’azzardo di quegli organizzatori che hanno saputo osare, scommettendo su queste proposte musicali così bizzarre e per certi versi originali e inedite.

Chi avrebbe mai pensato che sarebbe stato possibile mettere in scena a Lignano Sabbiadoro in piena stagione estiva con 30° all’ombra, una rassegna di Black Metal con band di assoluto rilievo a livello internazionale. Eppure nella disadorna Arena Alpe-Adria sono stati giorni di fuoco e la scommessa dei promoter è stata vinta a mani basse. L’antipasto della torrida estate metal friulana l’avevamo avuto con una scatenata band tra Stoner e power metal che aveva infiammato il festival di Majano deliziando i palati dei metal-gourmet.

04/08 Wolfmother

Andrew Stockdale (Chitarra, voce) Christian Condon (batteria) James Wassenaar (basso)

Il Festival di Majano è abituato ai grandi numeri e da sempre accompagna con concerti evento la propria poderosa proposta gastronomica; inarrivabile la Wiener Schnitzel dei chioschi.

Spesso il palcoscenico di quella grande sagra paesana ha ospitato artisti di fama internazionale e il metal non ha mai fatto mancare la propria artiglieria. Nel corso degli anni gli appassionati hanno potuto assistere ai concerti di Alice Cooper, Iron Maiden, Deep Purple, Arch Enemy, Amon Amarth, Motorhead e molti altri dai suoni parecchio robusti.

Tanta era quindi l’attesa per la band australiana che qualche anno fa “surfava” sulla cresta dell’onda e che oggi continua a proporre in straordinari live una musica lisergica, granitica e godibilissima che ha preferito non cedere niente alle perversioni dello show business, perdendo forse una parte del pubblico, ma guadagnando in prestigio e in chiara fama oltre che in qualità musicale.

Ad aprire la serata i friulani “Broken Wings”, eterno gruppo spalla con un hard rock stradaiolo sparato e scalcagnato non troppo originale ma di un qualche effetto. Sabrina Coianiz, alla voce, ragazza di un tempo che fu, ha lanciato dal palco un accorato appello al pubblico da vera rocker: “Siamo rimasti a piedi con il furgone, comprate il nostro merchandising e il nostro cd così possiamo ripararlo”. L’esortazione non è sembrata sortire nessun effetto, ma loro almeno ci hanno provato.

Il cuore pulsante del gruppo è il chitarrista Massimo Zanuttini, tanto fumo e poco arrosto bruciacchiato, nonostante tanta buona volontà e un certo mestiere. La sua grande gloria è aver suonato nei tempi che furono, per alcune date, con la band di Chris Slade, ex batterista degli AC/DC; in memoriam la band udinese ha eseguito una cover di “Riff Raff” a motore quasi spento in un finale di set che potevano risparmiarsi.

Nella breve pausa, prima che la band australiana salisse finalmente sul palco, gli altoparlanti mandavano musica per intrattenere il pubblico. Quasi come una premonizione, tra i brani, c’era anche la meravigliosa e tellurica “Green Machine” dei Kyuss, sulle note della quale prese il volo lo Stoner più classico e lisergico.

Dopo aver preso posizione, il power trio dei Wolfmother ha esordito con “Dimension” dal loro album del 2005, suonato quasi per intero durante l’esibizione. Il ritmo è quello di una sorta di danza indiana lanciata nel cielo come un pescecane in acido che nuota nell’aria, proprio alla Sharknado.

Il leader Andrew Stockdale, chitarrista e cantante, oltre a sfoggiare una tecnica virtuosistica stellare, possiede una voce straordinaria e graffiante con dei gran sovra acuti che ricordano il migliore Ozzy dei Black Sabbath.

Il genere Stoner, che conta tre decenni tra eccessi e metamorfosi, non è mai stato tanto vivo come adesso con tutte le sue diramazioni e sottogeneri e i tre australiani con la “mamma lupa” lo dimostrano ampiamente, anche se avrebbero meritato una carriera musicale più all’altezza del loro innegabile talento.

“Rock Out”, il secondo brano in scaletta, ha evidenti rimandi a “Strutter” dei Kiss. Lo sappiamo bene quanto la band di Simmons e Stanley sia stata e sia, uno dei punti di riferimento per la nascita del rock del deserto.

La canzone “Woman” sembra, ma non è, una cover stupenda e non banale, dei Deep Purple; e di certo ormai nemmeno la band di Gillan, ridotta ad una stanca copia di se stessa, riesce a suonare pezzi di tale e tanta energia, per di più il trio australiano tra gli accordi trova anche la forza di dissacrare gli Who con un’iperbolica cripto-citazione punkeggiante passando direttamente al brano successivo “White Unicorn”.

Da buoni australiani non potevano non dedicare almeno una citazione agli AC/DC: “Whole Lotta Rosie” è sembrata la scelta più adeguata, almeno a guardare l’entusiasmo del pubblico che salta e suda. Non si è trattato per niente di una banale cover, è stata una vera e propria rilettura, una nuova interpretazione come solo ad una grande band può riuscire.

Il chitarrista rivolgendosi al pubblico ha raccontato che la prima volta che lo pagarono per suonare di fronte al vasto pubblico di un concerto. Anche se si trattava di miseri 20$ era così contento che non si accorse di essersi tagliato i polpastrelli con le corde della chitarra, continuando a sprizzare sangue ovunque durante l’esibizione. Dice anche che per la prima volta in Italia ha potuto mangiare del vero cibo e bere del vero vino, fino ad ora ha sempre mangiato Junk food.

I Wolfmother sono vulcanici e tellurici, ti scuotono dalle fondamenta. Suonano “Rock’n’Roll” dei Led Zeppelin con una forza incredibile rendendo il doveroso tributo a quelli che sono i sovrani incontrastati del Rock propriamente detto di ieri, oggi, domani e posdomani. Nel finale, per ringraziare la loro assistente di palco, la band ha intonato “Lucy in the sky with Diamonds”; il cantante non si è mai calato un acido, non ne ha mai avuto bisogno, gli basta la musica, la birra e il vino: one scotch, one burbon e one beer come si diceva una volta. Suonano anche la loro spettacolare “Love train”. Il power trio di Sydney si prende un sacco di applausi meritatissimi e poi se ne va com’era venuto, lasciando dietro di se un pubblico entusiasta, sudato e appagato pronto per ancora tante birrette ai fornitissimi chioschi della sagra.

05/08 Black Over Festival Summer Edition:Abbath Doom Occulta, Deicide, Aborted, Nocturnal Depression.

L’azzardo più grosso è stato proprio pensare ad un’intera giornata di Black/Death Metal a Lignano Sabbiadoro in piena stagione turistica a pochi giorni dal Ferragosto. Una concentrazione di gruppi così non si era mai vista nell’estate friulana e qualcuno, all’annuncio, continuava a malignare sui social che sarebbe stato addirittura insensato organizzare un festival di musica estrema in piena luce in una città balneare tra ciabatte e creme solari, ma aveva torto marcio.

Per indovinarlo, bastava rendersi conto che i festival metal estivi sono una realtà ovunque in Europa e anche se, purtroppo, nella nostra regione latitano, sono un enorme volano per l’economia locale e per la diffusione della cultura musicale, per bizzarro che possa sembrare.

Lo ha dimostrato l’afflusso di pubblico e il livello tecnico e spettacolare della proposta con gruppi che hanno fatto la storia del genere e che da grandi professionisti hanno saputo proporsi al meglio anche in una situazione climatica piuttosto estrema per temperatura, umidità e quant’altro una giornata al mare può offrire.

L’unico vero inconveniente di questi concerti estivi vicino ai canali della laguna sono i milioni di insetti attirati già al primo imbrunire dalle luci del palco dell’Arena Alpeadria, gli artisti si trovano costretti ad esibirsi letteralmente avvolti in una nuvola di organismi viventi, un vero e proprio incubo per loro, e paradossalmente, qualcosa di stranamente scenografico per il pubblico.

Il festival è stato aperto poco dopo le 17,00 dalla band di Cesena dei Sedna, sacrificati al torrido pomeriggio. Sono comunque riusciti a dimostrare d’avere un qualche talento per le atmosfere tetre e disturbanti prima di sciogliersi come ghiaccio al sole.

I Nocturnal Depression. La band francese non tradisce la propria fama, suonando un black metal depressivo, gotico e in qualche modo perfino romantico e cimiteriale. Sono in netto, surreale contrasto con l’ambiente balneare circostante; il loro sound non è assolutamente adatto al sole alto e all’odore salmastro che viene dalla laguna con i gabbiani sullo sfondo. Comunque sono stati coraggiosi a provarci e a portare fino alla fine un set senza grandi pretese davanti ad un pubblico generoso che comunque ha dimostrato di apprezzare lo sforzo.

Aborted: dopo una breve pausa con cambio di palcoscenico, tra manichini obitoriali sanguinolenti e varie fasulle frattaglie horror, si è fatto il momento di una delle band di Brutal death metal più interessanti dell’attuale complicato, vitale panorama della musica estrema, dal desolante Belgio con furore.

Quando tutto è quasi pronto, il cantante Sven de Caluwé, unico membro fondatore della band in line up (due chitarre, batteria, voce e basso), con la maschera di Saw, cavalcando un ridicolo triciclo, in un bizzarro disclaimer, esorta il pubblico a godersi lo spettacolo da Grand Guignol senza farsi spaventare troppo da quello che è solo uno show, la realtà della vita quotidiana è ben più spaventosa e crudele.

La band belga, raggiunto il palco, fa esplodere una violentissima, brutale aggressività, non c’è proprio da sbagliarsi è il loro marchio di fabbrica. Sotto il palco tra il pubblico qualcosa comincia decisamente a muoversi e, infatti, si vede il primo mosh-pit della serata. L’impatto è devastante ma il cantante trova comunque il tempo di scherzare con il pubblico tra una rasoiata sonora e l’altra.

Come racconta divertito lo stesso Sven de Caluwé, la mamma gli dice sempre che durante i tour ingrassa troppo, è quindi il caso di bruciare un po’ di calorie mettendo ancora più energia nell’esibizione.

A volte il canto del leader si trasforma in veri e propri versi da porcilaia con un effetto decisamente straniante che ben si concilia con il sound devastante della band. Il pubblico si scatena anche nel Wall of Death e non poteva essere diversamente. Gli Aborted, anche se in formazione completamente rimaneggiata, continuano a stupire e a divertire con la loro brutalità ed energia che dal vivo regala più di un brivido anche se la temperatura ambientale è quella di una sauna finlandese.

Deicide: Attesissimi gli apertamente blasfemi “assassini di dio” capitanati dal maligno Glen Benton “Diabolus in musica”; s’impongono grazie ad un tellurico blast di batteria e al spaventoso growl del leader-chitarrista che è, in definitiva, un grugnito da bestia feroce, un digrignar di denti, un osceno mugugno.

Cupi e distruttivi nel loro death spaccaossa, inizialmente non lasciano nemmeno il tempo per il mosh-pit, sono un evento sismico imprevedibile di quelli che ti paralizzano dalla paura e fanno guaire e latrare i cani del vicino. Sono una ferocissima, insensata bestia salita dal profondo dell’abisso per masticare ossa e calpestare crani.

Il loro è un regno di brutalità assoluta; poche chiacchiere, nella loro discografia da “Deicide” (1990) al più recente “Banished by Sin” (2024), a parlare è soprattutto il dio del massacro e anche se in studio l’eccellenza degli esordi è ormai solo un ricordo, la band dal vivo funziona eccome.

Nell’esibizione, gli unici momenti in cui è permesso respirare è durante alcune intro atmosferiche e cimiteriali, per il resto è come ascoltare urla strazianti durante un uragano. I Deicide sono “semplicemente” oltraggiosi, senza fronzoli o compromessi.

Probabilmente Dante si riferiva a qualcosa di molto simile e altrettanto maligno quando nel III canto dell’Inferno (22-38) diceva:

“Quivi sospiri, pianti e alti guai/risonavan per l’aere sanza stelle/per ch’io al cominciar ne lagrimai/ Diverse lingue, orribili favelle,/parole di dolore, accenti d’ira,/voci alte e fioche, e suon di man con elle facevano un tumulto…”

Anche il circle pit che furioso girava sotto il palco in cui i corpi sudati si scontrano tra spintoni e spallate aveva qualcosa di infero e luciferino.

Se l’accostamento tra il poema sacro dantesco e la musica atroce dei Deicide a qualcuno potrà sembrare blasfemo, si tenga presente che è esattamente l’effetto che si vuole ottenere.

Abbath: Abbath Doom Occulta è lo pseudonimo di Olve Eikemo (classe 1973), un compositore norvegese che, a partire dal 1990, con il sodale Demonaz (Harald Naevdal) diede vita al progetto “Immortal” cambiando per sempre il significato del termine “musica estrema”.

Molti anni sono passati da allora e i membri della band originaria hanno intrapreso carriere solistiche più o meno fortunate e creative, ma, almeno a stare al concerto di Lignano, l’energia e l’abrasivo atteggiamento di Mr Olve sono rimasti gli stessi.

Abbath, con la band che l’accompagna, si è presentato con uno sfondo di montagne norvegesi innevate; nella gelida bruma di una mattina invernale, le luci del palco facevano sembrare gli insetti ubriachi delle luci del palco una bufera di neve, mentre grandi ventilatori soffiavano il vento gelido del nord che serviva anche a rinfrescare i musicisti bardati con i costumi di scena da metal warriors.

Uno scenario davvero straniante in una serata agostana in una città balneare, ma anche questo è spettacolo. Abbath ha la fama di dissacratore del black metal con i suoi comportamenti non convenzionali e a volte al limite del clownesco, sulla scena appare come un corvaccio petulante e brontolone, ma sa essere anche pericoloso e crudele all’occorrenza.

Abbath sembra anche uno dei Trickster pazzi della tradizione norrena. simpatici ma letali e diabolici, paradossali nella loro sacra amoralità. Nei brani finali del set, infatti, indossa una maschera cornuta da demone ingannatore delle foreste tra Loki, Puck e Veles.

Bloodstock Open Air 2023

Molto spesso è stato criticato per le sue scelte musicali non in linea con i dogmi del “True Norvegian Black Metal”, i cui canoni per altro ha contribuito a fissare fin da giovanissimo con i suoi “Immortal”, face painting compreso; naturalmente si tratta di polemiche sterili e inutili di chi vorrebbe il genere sempre uguale a se stesso anche dopo trent’anni.

Abbath, pur celebrando in questo tour la gloria della musica di quegli anni seminali, eseguendo solo brani degli “Immortal” non si è fatto imprigionare nella nostalgia “canaglia”. In ogni caso dal vivo funziona e conquista anche gli spettatori più critici, la sua voce è poco più di un rantolo malvagio ma è assolutamente perfetta per il sound complessivo che ha il proprio baricentro nella ritmica magmatica e nelle chitarre siderurgiche. Niente di nuovo, in realtà, alcuni brani hanno più di trent’anni, ma sono ancora in grado di conquistare e avvolgere gli spettatori nelle loro gelide, malvagie spire conducendoli ancora verso: Mount North, the Greatest of sights, Mount North, its power and might… A mountain of dark.

Scaletta: Mounth North, Sons of Northern Darkness, Norden on Fire, The Call of the Wintermoon, One by One, Damned in Black, In My Kingdom Cold, Tyrant, Withstand the Fall of Time, at The Heart of Winter, The Sun no longer Rises, Blashyrkh (Mighty Ravendark)

(Continua)

Flaviano Bosco / instArt 2025 ©