Nell’incantevole Teatro Arrigoni di San Vito al Tagliamento e in altre prestigiose sedi, è stato presentato ufficialmente l’innovativo e interessante podcast di Flavio Massarutto e Luca Giuliani che indaga con brio e piacevole acume la storia del colonialismo italiano vista dalla prospettiva friulana.
Proprio a partire dalla città murata della destra Tagliamento si dipana un racconto che si articola in più puntate rilasciate sulle principali piattaforme a cadenza settimanale, permettendo di esplorare e riportare alla luce episodi in chiaro scuro della nostra storia recente.
Le iniziali suggestioni locali relative al nostro territorio friulano in questa prospettiva diventano del tutto universali.
La presentazione è iniziata facendo risuonare nella magnifica bomboniera del teatro Arrigoni alcuni brani del podcast e subito si è capito la grande forza di tale strumento comunicativo che si lascia ascoltare facilmente nonostante le tematiche complesse trattate.
Nei saluti istituzionali, il sindaco della cittadina Bernava ha sottolineato come la fenomenologia del podcast dimostra un trend in netta ascesa in quanto ad ascolto. Gli utenti di questo tipo di format informativo sono alla ricerca soprattutto di contenuti, se di carattere glocal tanto meglio. Ben inteso interessarsi in modo equilibrato e attento del proprio territorio è molto diverso dal becero campanilismo soprattutto se associato, come in questo caso, ai temi planetari della discriminazione e della giustizia sociale.
Podcast come “Memorie dall’Impero” diventano così luoghi simbolici attraverso i quali micro e macro storia si intravvedono in alcune vicende che per la loro stratificazione di significati diventano essenziali per la comprensione dei fenomeni sociali e politici a molti livelli.
Il podcast si è avvalso, tra l’altro, del sostegno dell’Arlef (Agenzia regionale per la lingua friulana) e di un finanziamento regionale grazie ad un apposito bando relativo al patrimonio etnografico, per una volta soldi pubblici davvero ben spesi. Decisivo anche il sostegno e la lungimiranza dell’Ass. Controtempo che ha saputo scommettere su un prodotto culturale di grande valore del quale non è difficile immaginare il successo.
Il tema del Colonialismo è tra i più attuali e al contempo tra i più misconosciuti della nostra contemporaneità, una scomoda memoria quasi completamente rimossa e, per di più, spesso ideologicamente manipolata, di un lungo periodo storico con drammi e aperte tragedie che hanno molto da dirci sul nostro presente.
I friulani, che a volte recriminano di essere stati colonizzati e culturalmente oppressi dagli italiani, faticano a comprendere ed ammettere di essere stati anche loro complici e protagonisti di un fenomeno storico che ha interessato tutto il nostro paese nessuno escluso.
Ci dimentichiamo o non vogliamo ricordare che anche i mansueti e gentili friulani hanno partecipato a volte con entusiasmo a quelle sciagurate imprese del nostro paese nelle colonie africane che ancora oggi provocano indesiderate conseguenze; il recente caso del libico Al-Masrl può essere letto anche da questo punto di vista.
Tra le ultime esternazioni del nostro Ministro dell’Istruzione e del Merito ve ne sono alcune sull’insegnamento della storia in chiave nazionalistica che non valgono nemmeno la pena di essere ricordate.
Di certo il lavoro di Massarutto e Giuliani va esattamente in direzione ostinata e contraria a quello delle ultime campanilistiche direttive.
Come è stato evidente dalla presentazione, gli argomenti, le vicende e i personaggi raccontati nel podcast sono davvero tanti, alcuni inediti, tutti succulenti e interessanti.
Proviamo a fare un esempio divagando su alcune suggestioni che ci vengono dalla seconda puntata del podcast già online che ha mietuto consensi di critica e di pubblico.
Il cosiddetto Centro D’Accoglienza Straordinario di Udine è contenuto dalle alte mura dell’ex caserma A. Cavarzerani in una delle zone non troppo periferiche della città.
Basta scorrere le cronache per comprendere immediatamente che si tratta di uno dei tanti “campi di concentramento in condizioni di sovraffollamento e di precarietà igienico sanitaria” nei quali il nostro paese costringe migliaia di migranti sospendendo o cancellando anche i loro più elementari diritti umani, soprattutto il costituzionale diritto d’accoglienza e d’asilo e quello di cittadinanza.
Sappiamo bene che anche persone nate e cresciute nel nostro paese, figli di migranti, faticano decenni ad ottenere il riconoscimento perchè la nostra giurisprudenza in questo caso è legata al principio medievale dello “Jus Sanguinis”, il diritto del sangue che attribuisce la cittadinanza a partire dalle linee di discendenza.
Chi era Antonio Cavarzerani? Una domanda che potrebbe apparire oziosa ma che, al contrario, in questo contesto, ci può rivelare particolari del tutto inediti della nostra storia.
Antonio Cavarzerani (1914-1941), medaglia d’oro al valor militare caduto sul fronte Greco-Albanese, era figlio del Generale Costantino Cavarzerani, eroe d’Africa e cofondatore nel 1909 dell’8° alpini; quest’ultimo, come viene raccontato nel podcast, nel 1914 fu padrino di battesimo di Pasqualino Tolmezzo, il piccolo orfano di una schiava nubiana adottato dal battaglione alpino “Tolmezzo” come mascotte dopo la cruenta battaglia di Assaba in Libia.
Al rientro degli alpini a Udine, il piccolo venne portato in trionfo a dorso di mulo come simbolo dei “valori etici e dell’umanità” del battaglione. Pasqualino, dalla pelle scurissima, come ricordano le cronache dell’epoca, crebbe serenamente a Udine fino a quando si trasferì, prima a Napoli per frequentare la scuola militare Nunziatella e poi all’Accademia militare di Modena.
Nel 1933 divenne il primo sottotenente di colore del Regio Esercito Italiano. Pochi mesi dopo la sua nomina però un semplice dispaccio ministeriale cancellò tutti i suoi meriti per mancanza del requisito della “nazionalità italiana metropolitana”. Pasqualino venne degradato immediatamente e ridotto ad aiuto contabile amministrativo. Sembrava sconveniente che soldati di truppa bianchi, italiani e “fascistissimi” dovessero essere comandati da un ufficiale nero e africano che “evidentemente” non poteva essere considerato come appartenente al nostro paese.
Sono esattamente le stesse infami discriminazioni cui sono sottoposti i migranti dei nostri giorni reclusi alla Cavarzerani e addirittura i loro figli, nati, cresciuti e scolarizzati nel nostro paese, dai più miseri fino agli imprenditori o ai campioni dello sport. Basti ricordare le recenti polemiche attorno alla pallavolista afro-italiana di Conegliano (TV) Paola Egonu.
Per tornare agli alpini, pochi ricordano che il loro santo patrono è San Maurizio, di origine nubiana e dalla pelle scura, comandante della legione tebana che sotto l’imperatore Massimiano era di stanza sulle attuali alpi svizzere. L’attuale iconografia lo rappresenta biondo e caucasico, ma in realtà il suo aspetto doveva essere del tutto “africano”.
Come raccontano, forse con un pizzico di ironia, Massarutto e Giuliani l’idea del podcast sul Friuli e il colonialismo, anche se ci pensavano da tempo, ha cominciato a prendere forma concreta mentre erano in vacanza insieme sull’isola di Corfù.
Non poteva esserci luogo più simbolico nel Mediterraneo. Tradizionalmente l’isola è identificata con quella del popolo dei Feaci che accolse Odisseo, naufrago dopo tanti lutti e peripezie, lo sfamò, lo ascoltò e, sfidando gli dei, gli diede la possibilità di tornare finalmente a Itaca, pagandone altissimo prezzo. Corfù è strettamente legata all’Italia per origine e cultura, dal mondo greco a quello romano, alla Repubblica di Venezia per finire con gli orrori della Seconda Guerra mondiale.
Oggi l’isola è baricentrica rispetto alle rotte migratorie di coloro che, provenendo dall’Africa orientale o dall’Asia profonda, si apprestano a percorrere la rotta balcanica.
Al di là dell’aneddoto sulle vacanze a Corfù, Massarutto e Giuliani, agitatori culturali di chiara fama e veri lupi di mare dell’informazione e della cultura, si sono avvalsi, come portolano, del prezioso lavoro della storica Valeria Deplano “Storia del colonialismo italiano” (Carocci 2024). La docente dell’Università di Cagliari, infatti, è stata pienamente coinvolta nel podcast ed è intervenuta alla presentazione.
La sua rubrica “Sillabario” chiude ogni puntata riflettendo e sottolineando le parole chiave che riguardano il fenomeno coloniale. In sostanza, come ha detto con salace ironia, a lei spetta lo “spiegone” conclusivo che mette in luce il fatto che il fenomeno è stato ed è molto di più che un’ideologia o una pratica ed è entrato talmente nel nostro quotidiano che continua ad agire anche se non ce ne accorgiamo nemmeno nelle discriminazioni sociali, di genere, nella razzializzazione.
Dopo il recente discorso di insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump e le esternazioni su Groenlandia, Canada, Panama, con l’aggiunta delle “deportazioni” di persone incatenate, restano ormai pochi dubbi sull’urgenza di una riflessione sul tema.
I cosiddetti Hub italiani per i rimpatri costruiti in Albania sono un altro miserabile esempio di una protervia politica che sembrava un anacronismo e che invece si rivela una triste anticipazione di un inimmaginabile triste futuro.
La storica sarda ha citato come esempio eclatante di residuale atteggiamento coloniale il caso della moda delle colf eritree selezionate dai religiosi delle missioni e spedite nell’Italia del boom economico degli anni ’60 perchè di carattere docile e ubbidiente, quasi si trattasse di cani da compagnia.
E’ molto recente un caso molto simile di scuole cattoliche nelle Filippine che “addestrano”, si perdoni il termine, giovani servi sottomessi ai loro padroni anche dal punto di vista psicologico. Non è lontano il tempo in cui a servizio nelle case borghesi di tutta Italia venivano sfruttate per gli stessi motivi caratteriali le “furlane” o istriane.
I colonialismi sono tutti uguali e tutti diversi tra loro, ognuno ha la propria peculiarità. Quello italiano è tardo rispetto a quelli del resto d’Europa e in larga parte coincide con la sciagura del fascismo. Purtroppo ancora oggi la tematica è del tutto misconosciuta e ogni volta che se ne parla non ci si trattiene, nemmeno nei ministeri, da stereotipizzazioni come: “Abbiamo fatto anche cose buone”, “abbiamo portato la civiltà, le strade, gli ospedali e i treni in mezzo al niente”, tutti alibi razzisti per infrastrutture che servivano prima di tutto ai colonizzatori e solo in via residuale agli indigeni.
I temi della cittadinanza, dell’identità e dell’origine in Italia sono tutt’altro che chiariti e si rifanno anche a livello giuridico a ideologie ottocentesche oggi del tutto screditate.
Attualmente sono on line quattro puntate del podcast che raccontano tra l’altro delle navi bananiere del regime fascista costruite a Monfalcone, di una giovane pigmea fotografata a Trieste a fine ‘800, dei fumetti e del cinema di propaganda coloniale, dei soldati della Venezia Giulia mandati durante e dopo la Prima Guerra Mondiale a difendere l’Italia in Cina e poi a combattere la Rivoluzione Russa a Vladivostok e molto altro.
Non resta che augurare buon ascolto a chi vorrà lasciarsi sedurre dalle voci e dai luoghi di Memorie dall’Impero.
Flaviano Bosco / instArt 2025 ©