Al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, pieno come un uovo, si avvertiva un’attesa sospesa, una carica elettrostatica incredibile. Pat Metheny è un habitué dei nostri palcoscenici ed ha instaurato negli anni un rapporto di fiducia incredibile con l’Ass. Euritmica di Giancarlo Velliscig tanto da non mancare mai di visitare la regione ad ogni nuovo tour.
Velliscig, visibilmente emozionato, ha presentato brevemente il concerto, inserito nella rassegna “Note Nuove”, ribadendo le istanze ideali della sua associazione che non è stata fondata per un consumo meramente ludico della musica, ma per seguire un piacevole percorso virtuoso tra le blue notes mai disgiunto da una grande attenzione per le problematiche sociali e per i diritti di tutti. A questo serve oggi la condivisione con i giovani per promuovere un ascolto maggiormente riflessivo proprio mentre siamo tritati in un sistema che ci opprime. Creare occasioni d’incontro per il piacere di ascoltare la musica dal vivo insieme ai nostri simili e non solo dalle “trappole” sonore elettroniche, marchingegni che ci isolano.
A parole, dichiaratamente politico e militante, Metheny non lo è mai stato; in questo senso, il suo profilo è sempre stato basso, ma non certo disincantato. Per capirlo, basta guardare alla sua lunghissima carriera di musicista, alle miriadi di collaborazioni e fare attenzione a certi suoi brani in particolare.
In quest’ultimo tour, nelle lunghe suite in cui è divisa la scaletta, si fa sentire anche il tema di Chris che altri non è se non la b-side strumentale del singolo “This is not America”, fantastico brano composto dal chitarrista insieme al suo “nemico più caro” Lyle Mays e cantato da un meraviglioso David Bowie, hit dalla colonna sonora del film “Il gioco del falco” di John Schlesinger (1985).
Questo brano di quarant’anni fa, a pochi giorni dalle elezioni presidenziali Usa, assume un preciso significato non certo benaugurante.
All’uscita di quella colonna sonora Metheny fece una dichiarazione durante un’intervista che ha ripetuto quasi letteralmente anche durante il concerto di Udine, dimostrando un’incredibile coerenza e aderenza ai propri principi e motivazioni:
“So di avere alcuni problemi psicologici, ma posso superarli perchè ho la possibilità di fare ciò che desidero nel mio lavoro di musicista, ed è per questo che mi sento estremamente fortunato. E sono altrettanto sicuro che non tutti possono dire la stessa cosa. Nel mondo io rappresento lo 0,0001 per cento delle persone ad avere la fortuna di aver saputo di voler diventare un musicista fin da bambino. Ora a trent’anni, lo sono, ed è fantastico. Fondamentalmente godo buona salute e posso fare tutto quello che desidero. Che cosa posso chiedere di più? Sono molto soddisfatto.” (Viva 2021 pag.166)
Da allora, sembra impossibile, sono passati quattro decenni e il chitarrista non ha smesso nemmeno per un minuto di perfezionarsi e di cercare. Quest’ultimo tour si concentra soprattutto sui cinque album di chitarra solista, l’uno diverso dall’altro, che ha pubblicato in carriera, quasi fossero un laboratorio di idee per tutte le altre sue produzioni artistiche. A stupire davvero gli spettatori non è stata però questa ricapitolazione e riarrangiamento spesso per chitarra baritono dei suoi storici lavori, ma le introduzioni del chitarrista in dialogo con il pubblico.
Metheney ha dichiarato: “Parlerò un sacco durante tutto il concerto, non l’ho mai fatto prima e probabilmente non lo farò mai più, me per adesso voglio lasciarmi andare e ripercorrere i tempi passati come in un flusso di coscienza”.
In realtà, anche se le sue introduzioni e divagazioni sono sembrate a braccio e del tutto spontanee, tali non sono state. Anche dietro a queste ci dev’essere stata una meticolosa, scrupolosa preparazione paragonabile a quella di un attore che recita la sua parte. Anche se non sul palco, il chitarrista ha sempre parlato moltissimo del suo lavoro, in migliaia di interviste che si possono trovare on line, sia in video, sia in podcast e le dichiarazioni sui palchi del tour 2024 sembrano quasi un’antologia , una rigorosa selezione d’argomenti che si ripetono sempre uguali con perfino le stesse parole da decenni. Anche quando appare assolutamente naturale il chitarrista del Missouri non lascia proprio niente al caso, mai.
Inquietante messaggio iniziale forse prodotto dall’AI con una voce dal suono terribilmente metallico quasi minaccioso che conclude con un canonico “Ladies and Gentelman please give a worm welcome to Pat Metheney”.
E’ inutile parlare della perfezione e dell’autentica acribia con la quale il chitarrista affronta le sue esecuzioni, è talmente perfetto da risultare freddo e accademico per alcuni.
Per quelli che invece lo seguono da anni, rapiti dal suo carisma, appare come un eterno ragazzo che si sente vivo “al guscio della sua capigliatura” e che gioca con il suo strumento fino a perdersi nella “frenesia di vecchio mariuolo di campagna”.
Naturalmente in più di 50 anni di carriera ad altissimo livello non tutto quello che ha fatto può essere considerato come un capolavoro semplicemente per il fatto che il chitarrista continua a superarsi spostando in avanti le sue prospettive, mutando pelle in continuazione, trasformando senza tregua anche il proprio repertorio che “muta d’accento e di pensier” come se non ci fosse un domani.
Dei 53 album che ha inciso a suo nome più le centinaia di collaborazioni ricorda principalmente il suo rapporto con Charlie Haden che lo spronò verso la chitarra acustica, dedica giusto qualche accenno al grandissimo vibrafonista Gary Burton che lo consacrò nel 1974, ma in realtà è più quello che ha taciuto che quello che ha rivelato. Non c’è stata nessuna confessione o novità biografico-artistica rispetto alle centinaia di ore di interviste presenti on line o nella vasta bibliografia sulla carriera dell’artista. A parte le solite considerazioni sulla sua infanzia e sui suoi inizi, nessun commento è stato riservato all’epopea del Pat Metheny Group, nemmeno un accenno al suo rapporto d’amore odio con il compositore Lyle Mays e con i suoi tantissimi collaboratori a vario titolo. Il chitarrista ha come sempre, anche questa volta, lasciato parlare la musica ed è questa la cosa più importante, il resto sono solo “amore e altre sciocchezze” come diceva Guccini.
Dopo i primi accordi lieti e gai dei brani introduttivi con il consueto sorriso da ragazzo, Metheny ha raccontato:
“Sono abbastanza vecchio per potermi vantare d’aver visto i Beatles in tv negli Stati Uniti (1964).”
“La scelta della chitarra è stata quasi un gesto di ribellione nei confronti della mia famiglia dove suonavano tutti la tromba ad alto livello.”
Ci aveva provato anche lui, ma suo fratello gli diceva che quando suonava la tromba uccideva gli uccelli in volo. Non è proprio molto carino da dire, ma rende l’idea.
La svolta fu l’ascolto di “Four and More” di Miles Davis, testimonianza di un concerto a New York del 12 febbraio 1964 con una formazione stellare che, oltre al fantastico leader, prevedeva George Coleman, Herbie Hancock, Ron Carter, Tony Williams. Non c’è proprio da stupirsi se il giovane chitarrista del Missouri ne restasse ammaliato decidendo quale sarebbe stata la sua vita.
Il resto, come si dice, è storia. Tra i 14 e i 15 anni si fece strada suonando nei locali in giro per il suo Stato e oltre, tanto che a 18 anni era già considerato un fenomeno in tutti gli Stati Uniti cominciando una sfolgorante carriera nel gruppo di Gary Burton che Metheny ha ripercorso in un lungo divertente monologo.
Fondamentale fu l’incontro con Charlie Haden e la realizzazione dell’album “Beyond the Missouri Sky”, sotto quel cielo si ama, odia, vive e muore come sotto tutti gli altri, la musica però è decisamente migliore.
Da quella celeberrima incisione ha intonato il tema di “Cinema Paradiso” che, pur essendo forse troppo zuccheroso nell’originale di Morricone, spalanca il cuore nell’interpretazione erratica e luminosa del chitarrista. E’ seguita anche in questo caso una lunga suite per chitarra baritona, anche se i cambi di chitarra durante l’esibizione sono stati continui andando da accordature gravi fino a quelle più argentine per ballad veloci e drammatiche dai suoni poderosi e stratificati.
In una battuta Metheny ha ricordato i tantissimi concerti che nella sua carriera ha tenuto a Udine e in Friuli con diverse formazioni: “Avrete di certo notato che ogni volta che torno a suonare sul palco della vostra città sono sempre più solo”.
Metheney ha licenziato in più di 50 anni di carriera cinque album di chitarra solista, l’uno completamente diverso dall’altro con lo scopo dichiarato di mettersi alla prova e di forzare i confini della propria comfort zone. Il più disorientante di tutti, almeno fino ad ora, è stato di certo “Zero tolerance for silence” (1992), pura siderurgia sonora e cacofonia, nessuna armonia possibile, nessun suono, solo infernale rumore con ampio uso di diavolerie elettroniche.
E’ ancora possibile distinguere ciò che è musica da ciò che non lo è? Ha ancora un senso farsi domande del genere? Uno dei brani più stranianti del concerto di Udine è stato proprio una luciferina elaborazione da quella lontana esperienza sonora.
La grandezza di Metheney è quella di sconvolgere e contraddire ad ogni sua nuova esperienza i tanti soloni che pretendono di incasellare la sua sulfurea creatività.
La notte del 16 dicembre 1994 al Power Station (NYC) registrò con furia selvaggia i 39’16” di uno dei dischi più incendiari della storia del jazz, paragonabile forse solo ad un altro prodigio del rock che è “Metal Machine Music” di Lou Reed.
Per il chitarrista del Missouri non fu per nulla solo uno sfogo contro la casa discografica che lo incitava a far uscire al più presto un album, come narra la leggenda, ma un vero e proprio mettersi in gioco, una coraggiosa esplorazione nei territori dell’improvvisazione estrema, rumoristica e Noise in pieno spirito di auto-contraddizione come solo ai veri Maestri riesce.
Dopo tanta furia, il chitarrista, quasi come contrappasso, ha imbracciato la sua 42 corde Picasso Guitar della canadese Linda Manzer che, con incredibile maestria, ha saputo racchiudere nel suo prodigio di liuteria le voci di tutti gli angeli del cielo con le loro arpe. Mentre questo paradiso si manifestava, i soliti cafoni non pensavano ad altro che a immortalare l’attimo con i loro smartphone.
Venuto successivamente il momento della chitarra baritono, il chitarrista ha fatto precedere l’esecuzione da un lungo divertente racconto sulla sua passione per quel tipo di strumento così insolito. Ha ricordato che era un suo vicino di casa a costruirle e per questo per lui hanno il suono dell’infanzia spensierata; sono l’ideale per starsene sul vecchio divano di casa a suonare “House of the rising sun”.
Metheny non si è certo accontentato di quello strumento già stravagante di suo, tanto che ha sentito il bisogno di farsene costruire uno ancora più singolare dalla liutaia Manzer con corde in nylon al posto di quelle metalliche utilizzate nei precedenti album “One Quiet Night” e What’s it All About” per sfruttarne appieno le particolari sonorità.
Per questo Metheny, come ha raccontato, ha potuto realizzare il suo ultimo album “Moon Dial” solo dopo aver trovato fortunosamente su Amazon le nuove corde della ditta argentina Magma. Solo così ha potuto sfruttare appieno la particolare accordatura che assimila la chitarra baritona ad un terzetto d’archi (violino, viola, violoncello) con conseguenti armonizzazioni dai suoni caldi e gravi.
Ha dichiarato che con le nuove corde gli si è aperto un nuovo mondo intero e l’elettronica con i suoi delay e i suoi loop gli ha dato un’ulteriore grande mano.
Le sorprese del concerto però non erano ancora finite. Ad un tratto il levarsi di un contro-sipario interno al palcoscenico ha rivelato l’Orchestrion, il bizzarro, enorme carillon elettro- meccanico che da anni accompagna il chitarrista sul palco interagendo con i suoi accordi. É un carnevale ambulante, una cosa all’apparenza da vecchio Vaudeville o da circo equestre che alla prova dei fatti, si rivela sempre un vero prodigio di improvvisazione e di surrealtà.
Le macchine impareranno presto o tardi a fare della musica, per certi versi, anche migliore della nostra. Quello che sempre gli mancherà è quella vena di follia che ha portato Metheny a farsi costruire questo fantasmagorico balocco fatto di bacchette impugnate da mani meccaniche che battono su piatti e sonagli o che pizzicano corde.
Il chitarrista intona un accordo e la macchina gli risponde moltiplicando le variazioni e i rimandi in un eterno loop in grado di autorigenerarsi automaticamente fino a che dal palco sembra venire il suono di un’orchestra di centinaia di elementi. Metheny sul palcoscenico ha la ilare serietà di un bambino con il suo giocattolone a corda, è un vero spettacolo da gustare abbandonandosi al piacere di farsi irretire da un cappellaio matto che a settant’anni non ha finito ancora di stupirci. All’apparire simbolico di un gioco di cerchi luminosi sulla quinta di fondo tutto s’interrompeva per lasciare il posto ad una diluvio di applausi a cascata dai palchi del teatro giù, fino agli scrosci in platea.
Generosissimo Metheny ha concesso quattro lunghi bis per un concerto fiume tra i più belli e intensi degli ultimi anni “Beyond Friuli Sky”
Scaletta
Better Days Ahead / Phase Dance Theme / Minuano Theme / Praise – As It Is Theme – Metheny / James Theme / September 15 ThemeThe Sun In Montreal / Omaha Celebration / Antonia / Slip Away / Chris Theme /Waltz For Ruth (C.Haden) / Our Spanish Love Song (C. Haden) / Cinema Paradiso (E. Morricone) / Two For The Road (H. Mancini) / First Song (C. Haden) / Song For The BoysZero Tolerance For Silence Part 10, Into The Dream, Alfie (B. Bacharach) / Rainy Days and Mondays / That’s Just The Way I Always Heard It Should Be (C. Simon) / Girl From Ipanema (Jobim)Last Train Home / La Crosse / Everything Happens to Me / Here, There and Everywhere (Lennon/McCartney) / MoonDial / Manha De Carnaval (Bonfà)KC Blues / I Fall In Love Too Easily (J. Styne)New PMOrchestrion – MethenySueno con Mexico / Wichita Lineman (J. Webb)And I Love Her (Lennon/McCartney) – Bis
FOTO DI Ingrid Wright e Gianni C. Peressotti
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