Presentata nei giorni scorsi al cinema Visionario di Udine, l’interessante videoinstallazione Lunario Jazz 2024 che presenta, in dissolvenze incrociate, immagini di Luca A. d’Agostino e testi di Flavio Massarutto con una straordinaria colonna sonora tratta dal progetto in costante divenire “Nickel Kosmo” di Flavio Zanuttini (curatela di Luca Giuliani – Video mapping di Federico Petrei – Progetto grafico di Patrizio De Mattio).
La speranza per il nuovo anno è che la musica preferita nel mondo torni ad essere quella delle trombe e dei sassofoni e non quella della ritmica dei cannoni e dei bombardamenti che a qualcuno è piaciuta fin troppo nell’anno passato.
“O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia. Diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguale. La mano dei tarocchi che non sai mai giocare.” Tra le tante meravigliose canzoni del grande poeta di Pavana, Francesco Guccini, c’è quella dedicata ai mesi dell’anno che riprende una celebre tenzone medievale tra Folgore da San Gimignano e Cenne de la Chitarra. Di certo meno nota di quella tra Dante e suo cognato Forese, ma non meno significativa.
Folgore (1265-1332), cavaliere difensore delle virtù cortesi, scrisse tra l’altro una serie di componimenti dedicati ai piaceri dei mesi che si susseguono nel corso di un anno. In pieno stile provenzale gli rispose il giullare Cenne (?-1336) che, invece, facendogli letteralmente il verso, trattò delle noie che ci tormentano “diverse tutti gli anni e tutti gli anni uguale.”
Non sappiamo se i due si conobbero, certo conobbero le opere l’uno dell’altro e a noi non fa alcun male pensarli amici che si prendevano un po’ in giro, ma con intenti bonari e per amore dell’arte.
Non serve dire che sono delle gemme incastonate nella corona della letteratura italiana che ancora oggi a sette secoli di distanza ci fanno emozionare, ridere e piangere nel trascolorare delle stagioni. Non è proprio un caso che un loro pari come Guccini abbia voluto far rivivere i loro versi in un suo album epocale come “Radici” (1972).
Chi potrebbero essere oggi quei due nostri progenitori così nobili che conoscevano la magia della poesia e l’incanto dell’ironia?
Con un certo azzardo potremmo riconoscerli in due artisti che rappresentano il meglio di quanto la cultura del nostro territorio può offrire. Sono entrambi, a proprio modo, cavalieri erranti, giullari e poeti con un gusto per la vita pieno di energia e di passione.
Stiamo parlando, in rigoroso ordine alfabetico, del fotografo Luca A. d’Agostino e del giornalista Flavio Massarutto, in realtà tutti e due “facinorosi” agitatori culturali che nel corso degli ultimi decenni si sono scavati un posto di rilievo nella musica d’arte italiana ed internazionale con particolare riguardo alla musica d’improvvisazione e jazz.
Le foto di d’Agostino da tre decenni hanno letteralmente costruito un immaginario per quanto riguarda il jazz italiano; per capirne l’origine basta ricordare gli album e le foto di scena del quintetto elettrico di Enrico Rava che dai primi anni ’90 ha cresciuto tutta la scena musicale del nostro paese.
Oggi d’Agostino ha intrapreso con successo anche l’avventura di organizzatore di eventi e concerti con la sua cooperativa Slou che ha fatto sbocciare “Estensioni Jazz club diffuso” che non mente sulle promesse del proprio nome portando la musica d’improvvisazione in luoghi insoliti e di particolare bellezza come, per l’appunto, la VisioGallery del Visionario.
Massarutto, non è certo da meno, negli ultimi decenni è diventato un punto di riferimento imprescindibile per la critica musicale del nostro paese con le sue recensioni immaginifiche, ricche e la sua attenzione alle nuove contaminazioni oltre i generi. Assolutamente pionieristico e di grandissimo valore il suo lavoro di studio e divulgazione tra jazz e fumetto che l’hanno portato, tra l’altro, a creare, insieme al disegnatore Squaz, “Mingus”, quella che è senza ombra di dubbio una delle migliori graphic novel europee del settore, pubblicata ora anche in edizione americana.
I due, lo possiamo dire con certezza, si conoscono, frequentano e collaborano da almeno vent’anni con le loro “zingarate” in giro per l’Italia a caccia di festival e concerti, uno sempre pronto con il suo occhio meccanico a cogliere attimi ed emozioni irripetibili e scolpirli con la luce, l’altro cesellando atmosfere in parole e scrittura, cercando di trasmutare per il lettore la materia dei suoni nell’oro delle sensazioni, in un’opera al nero inchiostro im-possibile per definizione e che perciò merita ogni tentativo e ogni sforzo.
Migliaia di chilometri percorsi, altrettanti gli scatti, le immagini, le impressioni, tanto che selezionarne solo alcune sembrava anche questa un’impresa improba e perfino inutile. E invece il tutto è perfettamente riuscito e chi si reca al Visionario di Udine, in qualunque giorno della settimana, lo può ammirare alla VisioGallery, uno spazio prezioso, quasi una sorta di chill-out room nella quale il visitatore può fare la necessaria decompressione prima di immergersi nel sogno del cinema o di precipitare nuovamente sul duro selciato della realtà dopo la fine del film all’uscita della sala principale.
La forma dell’installazione è piuttosto classica, una foto al mese accompagnata dal testo, ma i contenuti che esprimono entrambi sono proiettati verso qualcosa che è affine al “ricercare”, origine dell’improvvisazione musicale, che risale al XVI sec e che aveva lo scopo di sperimentare le possibilità e le sonorità di uno strumento.
Luca A. d’Agostino nel presentare il suo lavoro ha insistito felicemente su una straordinaria metafora che dice di aver improvvisato al momento, proprio come un jazzista che sa cogliere l’attimo giusto per una particolare esecuzione che sembra frutto del caso, ma che invece attiene alla sua preparazione e dedizione allo strumento durata anni. Il fotografo ha dichiarato, in modo del tutto estemporaneo, che in gioventù ha frequentato molto la famiglia della moglie, soprattutto gli zii, una famiglia contadina che viveva in una casa colonica così tipica dell’architettura spontanea della bassa friulana con gli edifici che si affacciano su una grande aia centrale il cui accesso è garantito da un grande portone che quei parenti acquisiti volevano sempre spalancato in segno di accoglienza e ospitalità. Per d’Agostino questo è il senso dell’arte e della musica: una porta sempre aperta verso l’esperienza, le percezioni e l’incontro, ancora meglio se è un portone.
Mentre lo diceva alle sue spalle era proiettata sulla parete una sua foto in notturna della chiesetta di Santa Apollonia Cormons (25/10/2014) prima dell’esibizione del Christof Lauer trio per Jazz & Wine of Peace; Il sagrato è in una liquida semioscurità virata al blu nella quale si gioca un movimento di persone in sovraesposizione, mentre dall’interno della chiesa splende una sfavillante luce dorata per un effetto complessivo dai cromatismi di stile impressionista come ne “La Notte stellata” di Van Gogh.
Flavio Massarutto ha giustamente elogiato l’amico fotografo dicendo che quello che davvero distingue le sue immagini dalle tante che riguardano il jazz è il fatto di raccontare sempre una storia. Gli scatti di d’Agostino non sono mai “pose” statiche, sono sempre rappresentazioni di dinamiche e sinergie tra strumenti, musicisti e l’ambiente che li circonda. Non vogliono fermare un attimo di un’esibizione, ma coglierne il movimento e possibilmente lo sviluppo.
E’ esattamente lo stile di scrittura di Massarutto, non solo dei dodici testi che affiancano le fotografie dell’installazione del Visionario che per altro sono tutte completate con appetitosi consigli d’ascolto con quanto di meglio la scena contemporanea propone.
Il critico musicale de “Il Manifesto”, ha una scrittura materica, poliforme, sempre appassionata e presente a se stessa; nelle sue righe non c’è spazio per i sofismi o per la solita retorica imparruccata che purtroppo caratterizza la pubblicistica in ambito jazz almeno nel nostro paese.
Purtroppo la musica d’improvvisazione è spesso ritenuta di nicchia o peggio d’élite e perciò chi ne parla utilizza sempre un linguaggio da setta carbonara, autoreferenziale e, in fondo, sterile.
Massarutto, al contrario, ha uno sguardo molto più alto e aperto delle basse miserie del nostro paese e sa intercettare gli stili e le novità di una musica viva e sempre arborescente, con gli occhi sempre ben spalancati alle nuove contaminazioni. Come scrive giustamente: “La musica è sempre più avanti dei suoi critici. E se fosse proprio questa sua ambiguità e mutevolezza, questo gioco di ombre e bagliori, questa incessante rigenerazione l’essenza profonda del Jazz?”
Assolutamente significativa la didascalia dedicata a Matana Roberts, “Nostra signora del Blues” che Massarutto ha avuto il grande privilegio di ospitare a San Vito Jazz, la deliziosa rassegna di cui è ideatore e direttore artistico, per un memorabile concerto al Teatro Arrigoni (27/02/2011).
Allora l’altosassofonista aveva appena inciso il primo capitolo del suo progetto Coin Coin (Chapter one: Gens de Couleur libres), era un astro nascente a livello mondiale e Massarutto con il solito fiuto e lungimiranza era riuscito ad intercettarla e a promuoverla. Matana Roberts con la sua musica esplora e ricapitola la storia della musica afroamericana senza alcuna barriera attingendo alle radici folk, blues, popular, avant’garde senza quasi discernimento in un mélange affascinante e magnetico, assolutamente irresistibile. Scrive Massarutto: “Matana Roberts ci consegna un polit(t)ico Jazz non pacificato che ci interroga e ci scuote, mescolando sapientemente musiche del passato e tensioni verso il loro superamento. Come diceva Amiri Baraka: Lo stesso che cambia.”
Ogni mese suggestioni ed emozioni che si arricchiscono ancora di più con i suoni siderali e volutamente disanimati della tromba di Flavio Zanuttini che fa da colonna sonora esperienziale e immersiva alla video installazione. Il progetto “Nickel Kosmo”, da cui è tratta la sequenza sonora di quasi dieci minuti che accompagna la proiezione (Outer Space), è un work in progress del musicista friulano che può vantare molte eccellenti collaborazioni ed incisioni. E’ una ricerca sonora che mira ad un linguaggio musicale non narrativo e che si avvale di live electronics e di un’intelligenza generativa non artificiale tutta basata sulla straordinaria sensibilità del trombettista.
Tra le foto più significative dell’intera selezione è quella di dicembre che apparentemente riguarda meno il jazz ma che, al contrario, da un certo punto di vista, ne rappresenta l’essenza.
La passione per la musica afroamericana in tutte le sue derivazioni è fatta anche di rimpianti, ripensamenti, ripartenze, abbandoni; la sua radice blues è ineliminabile. Per questo per rappresentarla in immagini o per scriverne è necessario viverla in prima persona, saperne portare le cicatrici sulla nostra pelle, comprenderne il messaggio universale di libertà, sentire i morsi della fame di giustizia.
Non a caso, Massarutto si è tanto interessato alla figura e all’arte di Charles Mingus che aveva un rapporto totalmente fisico e viscerale con la musica e con la vita. L’immagine che è stata scelta per il mese di dicembre e che lasciamo alla curiosità dei visitatori della video gallery, svela tutto questo, cogliendo un momento privato, quotidiano qualunque; un istante di attesa, sospensione quando tutto sta per ricominciare come sempre, ma non capiamo mai come.
Una vecchia canzone dei Ten Years After di Alvin Lee dice: “I woke up this morning, my babe was gone. I woke up this morning, Lord, my baby was gone. I thought that she loved me, it seem that I’m wrong. Yes, I am wrong”.
Ed è proprio così, nella musica afroamericana in tutte le sue sfumature, non c’è mai certezza, bisogna sempre ripartire da capo, è necessario avere l’atteggiamento e l’umiltà di dire: “Mi sono sbagliato, ok ricominciamo!”
Lunario Jazz 2024 è una storia d’amicizia in musica che può accompagnarci per un anno intero, ma che di certo proseguirà ancora a lungo perchè non è vero che le cose belle durano poco; la realtà è che si trasformano, mutano, cambiando continuamente forma e direzione, in un’incessante metamorfosi tra il fiorire e trascolorare, proprio come il jazz.
“Ben venga maggio e il gonfalone amico, ben venga la rosa che è dei poeti il fiore, mentre la canto con la mia chitarra brindo a Cenne e a Folgore, brindo a Cenne e a Folgore.”
© Flaviano Bosco – instArt 2024