Compreso nel nutrito cartellone del Teatro Contatto di Udine, ha fatto tappa nel capoluogo friulano l’ultimo spettacolo di Silvia Gallerano, “Svelarsi” salutato da un grande successo di un pubblico esclusivamente femminile o che si riconosce in un corpo non maschile, per espressa volontà dell’artista.

Non è stato facile scrivere questa recensione visto che l’autore è purtroppo solamente etero e, suo malgrado, si riconosce in qualche modo nel proprio corpo anche se decisamente sovrappeso.

Procediamo con ordine, appena saputo dello spettacolo e ben conoscendo il grandissimo talento della Gallerano, interprete insuperabile di quel capolavoro del teatro contemporaneo che è “La merda”, lo scrivente si era subito accreditato presso il CSS per poter assistere allo spettacolo, ma sono subito venuti gli scrupoli di coscienza, visto che, come recita la locandina: “Svelarsi è un percorso di ricerca. Per questo si rivolge a un pubblico esclusivamente di donne, cis, trans e non binarie. Tutte quelle che si sentono e definiscono donne”.

La voglia di vedere lo spettacolo era comunque tanta ma di barare sull’identità nemmeno a parlarne, un minimo di deontologia è davvero necessario in questi casi. Parlandone con la persona più intelligente in casa, ossia la mia compagna, ho subito accettato la sua proposta: lei e un’amica avrebbero visto lo spettacolo, mi avrebbero raccontato le loro impressioni a caldo e su quelle avrei potuto elaborare le mie considerazioni. Detto fatto, quelle che seguono sono proprio le riflessioni che questo gioco di sguardi e questo risonar di racconti ha fatto scaturire in me.

La prima impressione a caldo ancor prima di aver sentito il resoconto dello spettacolo riguardava le parole che Edipo pronuncia nella tragedia di Sofocle, non appena comprende quello che il destino gli ha riservato: “Ah, tutto torna, tutto chiaro, ahimè. Luce, è l’ultima volta che ti vedo. Io da chi non dovevo nacqui, e vivo con chi non era lecito, ho ammazzato chi non dovevo – e tutto s’è svelato”.

Per non vedere più l’orrore che lui stesso ha creato, Edipo si acceca e da quel momento in poi fino alla morte che non tarderà troppo si farà guidare e vedrà attraverso gli occhi della figlia Antigone. Non serve ricordare le valenze date al personaggio sofocleo dalla psicoanalisi freudiana, basterà dire che il maschio moderno generato, volente o nolente, come funzionario del potere patriarcale, non può che accecarsi e lasciarsi guidare dallo sguardo femminile se vuole darsi almeno una possibilità di comprendere o quanto meno di accettare una condizione che non è più sostenibile.

Negare lo sguardo maschile predatorio d’altronde come molti elementi presenti nello spettacolo della Gallerano non è per nulla una novità. Sempre per restare nell’ambito dell’antica tragedia greca, male incolse a Penteo che, aizzato da Dioniso, si travestì da donna per poter spiare l’orgia sfrenata delle Baccanti tanto da finire letteralmente fatto a brani dalle invasate che non sopportavano d’essere da lui guardate. Agave, la sua stessa madre, rientrò a Tebe dopo la crapula con la sua testa mozza infilata su una picca, fiera e trionfante del massacro fino a che non si rese conto che quello sbranato non era propriamente un animale qualsiasi.

Le donne insieme, riconoscendosi solo nei propri sguardi, creano un’energia potentissima spesso quasi incontrollabile, di cui persino loro faticano a rendersi conto.

Sempre per restare nel mito, i racconti più antichi testimoniano l’impossibilità dell’uomo, inteso anche come maschio, di sopportare la visione della verità che è talmente incommensurabile da dovergli restare sempre “velata”, solo l’uomo moderno, con Schopenhauer, teorizzerà la necessità di strappare quel velo, ma non si tratterà più di verità, ma di “realtà delle cose” e la differenza è sostanziale.

A parte i sofismi filosofici che lasciano il tempo che trovano, un ulteriore simbolico riferimento mitologico che sembra calzare a pennello con alcune situazioni dello spettacolo della Gallerano è quello dell’indovino Tiresia che viene accecato per vari motivi a seconda delle versioni del mito. Per alcuni venne privato della vista perchè osò posare il proprio sguardo sulla dea Athena che nuda si bagnava in una sorgente, per altri divenne cieco in seguito ad una disputa tra Zeus e sua moglie Era. Per una maledizione Tiresia fu trasformato prima in donna e poi di nuovo in uomo; provò entrambi i corpi, gli dei volevano sapere chi tra i due generi provava più piacere. Tiresia svelò che gli uomini provano solo la decima parte dell’intensità che provano le donne. Era si vendicò su di lui per aver svelato il segreto, accecandolo, Zeus volle compensarlo donandogli la vista interiore sulle cose del futuro.

Dal blog Svelarsi di Silvia Gallerano: “Che cos’è Svelarsi? E’ uno spettacolo/esperimento/serata/Happening/Sabba/pigiama party/assemblea…qualcosa di indefinito e indefinibile, un momento di condivisione e di riflessione piuttosto allegro su temi come il femminismo, l’umiliazione, la rivalsa, il senso di colpa, l’autodeterminazione”.

Per comprendere bene l’ambito nel quale si situano le riflessioni che lo spettacolo suscita, la stessa autrice fornisce degli interessanti consigli di lettura, anche per far capire che, “nel bel mezzo dell’allegro pigiama party”, i temi di cui si tratta sono tutt’altro che irrilevanti.

Il primo titolo suggerito è “Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà” della giovanissima studiosa Jennifer Guerra (Tlon, 2020) che riporta al centro del dibattito contemporaneo il corpo femminile, mercificato, oggetto di scontro sul quale e nel quale si oltraggiano e si giocano le politiche del potere capitalistico. Non c’è proprio niente di nuovo nelle considerazioni della Guerra se non una certa necessaria attualizzazione di tematiche della rivoluzione femminista di cinquant’anni fa che ormai si credevano acquisite, ma che, nel nostro paese, sono state demolite a partire dall’orrido ventennio berlusconiano che ancora oggi non si fa altro che continuare a sabotare.

Per alcune questioni sembra che il tempo e le lotte sociali siano passate invano. Nel nostro sfortunato paese, culla del pensiero e delle pratiche reazionarie, si parla del corpo delle donne solamente per poterlo reprimere con sempre nuovi abusi; vendere un tanto al chilo grazie a sempre nuove pornografie; servire in pasto ai social media sbranato nei sempre più frequenti casi di brutali femminicidi. Basti solo l’esempio della percentuale degli obiettori di coscienza negli ospedali pubblici italiani che supera di gran lunga il 70% impedendo di fatto a molte donne di esercitare il diritto d’aborto sancito dalla legge.

Altro testo molto importante per cercare di capire contro quali stereotipi si lavora durante lo spettacolo/esperimento è “L’aggressività femminile.” di Marina Valcarenghi (Bruno Mondadori 2003). In esso l’autrice esplora, al di là dei più tradizionali stereotipi dal punto di vista antropologico, sociale, psicoanalitico, quel deficit di aggressività che storicamente viene attribuito alle donne come “naturale”.

Molto interessante l’escursus sui miti di diverse culture che giustificano la repressione dell’aggressività nelle donne, costrette ad essere sempre remissive, comprensive, accoglienti e soprattutto sofferenti per i continui abusi cui spesso volontariamente si sottomettono senza reagire. Quello che viene teorizzato è una forma di condizionamento sociale che per motivi storici ha creato un grave squilibrio anche psichico tra uomini e donne. Con una battuta: “La donna è stata creata di sabato quando dio era già stanco”.

È a partire da questi presupposti che è stato costruito “Svelarsi” con la grande aggiunta della decennale esperienza dello spettacolo “La Merda”, acclamato nei teatri di tutta Europa che già aveva cominciato ad esplorare la scottante questione del corpo femminile stritolato dalle dinamiche della Società dello spettacolo che tutto ingoia, digerisce, defeca.

Se nello spettacolo che vedeva la sola Gallerano nuda in scena s’indagava sulla storia personale di una singola aspirante attrice che prima di un casting si confessava rimuginando tra se e se, in “Svelarsi”, come si diceva un tempo, “il personale diventa davvero politico” non solo perchè sulla scena ci sono più persone, ma perchè ad essere coinvolta nell’esperimento sociale collettivo è tutta la comunità di donne che sera dopo sera si aduna sotto il palcoscenico, quasi annullando la differenza tra platea e scena.

Dopo questa introduzione teorica si cercherà ora di entrare più nello specifico dell’azione scenica. Si ricorda al gentile lettore che le impressioni che seguono sono fatte da un colpevole “Edipo accecato” che non ha potuto assistere direttamente allo spettacolo, ma che se lo è fatto raccontare; per questo non si chiede di scusare le approssimazioni e l’azzardo ma solo di giustificare la buona fede.

Le spettatrici messe a proprio agio da un ambiente meno formale e rigido di quello delle solite rappresentazioni si sentono davvero parte di un’unità che prende coscienza di se, condividendo dolori, gioie, impressioni, sensi di colpa.

Un modo originale e leggero di affrontare la questione del femminile creando un clima di fiducia e un modo di raccontare sereno che non denuncia e non colpevolizza. Per molte è stata soprattutto un’esperienza divertente; la Gallerano è sembrata molto equilibrata, ha trattato il tema del femminile con humor bonario, non si è mai parlato di tematiche relative alla sessualità in modo esplicito in quello che è sembrato un messaggio delle donne per le donne.

È stato un vero e proprio momento liberatorio, come quelli dei gruppi di autocoscienza femminista d’antan, che ha rivelato la necessità di creare occasioni per guardare se stesse e le altre in modo autentico e riconoscersi.

È tempo che il maschile non si occupi più del femminile, sono secoli che gli uomini si preoccupano delle donne, siamo diversi, ognuno faccia il suo percorso verso una maggiore consapevolezza di se senza danneggiare gli altri.

Si perdoni l’ironia un po’ becera ma, per alleggerire il discorso, viene da pensare a quella barzelletta maschilista diventata virale qualche settimana fa sui social che racconta di “Come gli uomini e le donne organizzano un barbecue su WhatsApp”. Naturalmente, i primi, dopo pochi messaggi hanno già stabilito dove, come, chi porta cosa e tutti d’accordo senza troppe discussioni. Il gruppo delle donne invece continua a scambiarsi centinaia di messaggi senza arrivare mai a decidere niente. Anche questo è patriarcato: gli uomini visti come molto pratici, le donne perse nei loro mugugni e sofismi inutili.

Una lavagna a fogli mobili al centro della scena scandiva i vari argomenti che poi le attrici trattavano interagendo tra loro, sempre in movimento anche tra il pubblico; la loro nudità mai esibita aveva il senso di annullare la distanza con le spettatrici che potevano riconoscere i propri difetti fisici in quelle dei corpi delle attrici senza sentirsi a disagio come nello spogliatoio di una palestra, anche se, a pensarci per bene, vengono in mente le immagini iniziali del film Carrie, lo sguardo di Satana di Brian De Palma (Usa 1976) con un’inarrivabile e inquietante Sissy Spacek.

In modo garbato e spesso autoironico si sono passati in rassegna i tanti stereotipi e i luoghi comuni che riguardano il femminile. L’hanno fatta da padrone la ciccia, la vergogna per qualche difetto fisico, dal dismorfismo all’ipertricosi, alle perdite di vario genere, la debolezza, maternità, competizione, sorellanza, mania per l’ordine, senso d’inadeguatezza, chirurgia estetica.

Ad un certo punto ogni donna è stata invitata a dire cosa la “invadeva” a partire dai sensi di colpa autoimposti fino all’ipercriticismo che “ti fa sentire a disagio e non a posto anche quando sei da sola con il pigiamone, anche quando nessuno ti guarda”.

Sul palco sono “piovuti” come coriandoli fogliettini con esempi di sensi di colpa che sera dopo sera le spettatrici hanno espresso. Eccone qualche esempio:

Mi sento invasa dal “Stai un po’ tranquilla, riposati!”

dalle mie preoccupazioni riguardo al punto vita.

dall’angoscia.

dal mio sedere, è troppo grande.

dal gruppo di yoga che ancora pretende di cambiare i miei atteggiamenti disfunzionali.

dai piatti della sera prima.

Certo, in un momento nel quale la Palestina viene bombardata con ordigni al fosforo bianco, droni kamikaze e missili balistici tempestano le città ukraine, milioni di persone sono costretti a lasciare le proprie case e mettersi in cammino, possono sembrare problemi di poco conto, inezie da società opulenta e laida.

Invece, come dimostrava già la Lisistrata di Aristofane, i costumi privati, le faccende legate alla corporeità, al desiderio e perfino agli istinti più bassi sono legati a doppio filo alla politica internazionale e alla guerra. Come si diceva un tempo sono i maschi fallocrati a creare i conflitti, se fosse per le donne tutto potrebbe risolversi in modo molto più amichevole. E’ uno stereotipo anche questo, ma non tra i più perversi.

Si vuole concludere questa insolita e forse tortuosa recensione “di seconda mano” con una citazione da quello che nonostante tutto resta un punto di riferimento e un punto di partenza per ogni riflessione sul tema del femminile. Scrive Simone De Beauvoir nel suo “Il secondo sesso”:

“Il privilegio che l’uomo detiene e che si fa sentire fin dall’infanzia sta in questo, che la sua vocazione di essere umano non contrasta col suo destino di maschio. Attraverso l’assimilazione del fallo e della trascendenza, accade che i suoi successi sociali o spirituali lo investono di un prestigio virile. Egli non ha contrasti. Mentre la donna, per compiere la sua femminilità, è costretta a farsi oggetto e preda, cioè a rinunciare alle sue rivendicazioni di oggetto sovrano.

È questo conflitto che dà un particolare carattere alla situazione della donna libera. Ella non accetta di ridursi al ruolo di femmina perchè non vuole mutilarsi; ma anche ripudiare il proprio sesso costituisce una mutilazione. L’uomo è un essere umano sessuato; la donna è un individuo completo, pari al maschio, solo se, a sua volta, è un essere umano sessuato. Rinunciare alla propria femminilità, significa rinunciare a una parte della propria umanità. I misogini hanno spesso rimproverato alle donne d’ingegno di “trascurare se stesse” ma hanno anche predicato loro: se volete essere uguali a noi, cessate di dipingervi il viso e verniciarvi le unghie.” (Il Saggiatore, 2011, pag. 659)

In sintesi, questo spettacolo, in linea con il femminismo d’ogni età, cerca di far capire in primo luogo alle donne che è ora che la smettano di credere che i maschi e il mercato possano dire loro cosa è giusto e cosa è sbagliato per se stesse e che, liberandosi dai sensi di colpa che hanno forzatamente interiorizzato, è ora che comincino ad arrabbiarsi sul serio, la misura è colma.

Alla fine il pubblico è stato invitato sul palco a ballare al ritmo di “The Rhythm of the Night” di Corona.

Oh Yeah!

© Flaviano Bosco – instArt 2023