Quando ormai l’estate, come dice Paolo Conte, è solo un lampo giallo al parabrise e siamo tornati ai nostri temporali, non resta che abbandonarsi agli indimenticabili ricordi di una stagione che è stata ricchissima di eventi. Tra questi “Jazz di fine estate” al Centro Visite dell’Ecomuseo, Val del Lago di Cavazzo Carnico, una breve preziosa rassegna di concerti di cui recensiamo con gran piacere l’ultimo. L’eco museo è un piccolo scrigno di bellezza che la rassegna itinerante “Estensioni Jazz Club Diffuso” della Slou soc.coop., in collaborazione con “Eco&Notes” e Farfalle Nella Testa ha fortemente voluto per integrarlo nella topografia di quei tanti micro-luoghi che costituiscono l’arcipelago delle esperienze musicali non convenzionali nei quali sperimenta innovative forme di resistenza in musica. In riva al lago, sovrastati da un costone di roccia a strapiombo, si sono esibiti musicisti di incredibile caratura.
Nickel Kosmo: Flavio Zanuttini (tromba, live electronics)
La vera e propria performance sonora del trombettista fa riferimento e completa un’omonima, affascinante storia di fantascienza creata dallo stesso Zanuttini basata su un personaggio in grado di far risuonare tutto il nichel dell’universo. Anche se antropomorfo Nickel Kosmo non ha nulla di umano o di vivente nel senso biologico, la sua natura attiene all’inorganico e al minerale di cui è fatto. L’esperienza sonora multisensoriale di cui l’artista si fa strumento si avvale anche di voci registrate e frammenti indefinibili d’emozione assemblati per far smarrire le convenzionali coordinate del senso e della direzione. A chi ascolta non resta che abbandonarsi e fluttuare alla deriva del flusso.
Talvolta pare di intuire qualcosa a partire dall’emergere di suoni sibillini ed enigmatici dialoghi, probabilmente ricordo di qualche film tipo:
– Iniziamo con una sonda sensoriale a 360 gradi, un grado alla volta.
– Ma signore gli ci vorranno anni.
– E allora prima iniziate, meglio sarà.
Zanuttini crea particolarissime suggestioni anche suonando il suo strumento contro un gong che riecheggia sinistro e innaturale disanimate vibrazioni. Il progetto Nickel Kosmo ha visto anche la luce dell’incisione con un cd dal titolo “In principio era il nichel” (Record Y, 2023) che si avvale anche dell’immaginifica illustrazione di copertina del misterioso Pierpe.
L’effetto di quei suoni, pensati per un ambiente del tutto deserto e interstiziale, non perde minimamente la propria forza se eseguito in luogo aperto, negli spazi di un ecomuseo dedicato al trionfo della vegetazione e della fauna in un biotopo tra i più ricchi del nostro territorio. E’ vero il contrario, il contrasto accresce il fascino di ciò che apparentemente nega. Tanto più sono asettici i suoni che Zanuttini elabora attraverso l’elettronica, tanto più labile e liquido sembra farsi il confine tra l’organico e ciò che non lo è. Il progetto che l’eclettico trombettista sta sperimentando da almeno un paio d’anni sui palcoscenici tra l’avant-garde e la musica concreta ha un fascino sonoro magnetico anche perchè muta forma in continuazione adattandosi a luoghi e contesti tra i più diversi.
Lo si poteva sentire già scendendo per il ripido sentiero che dalla strada comunale che circonda il lago scende verso le rive. Era un modo affascinante di entrare in contatto con una dimensione musicale del tutto straniante. Non serve ricordare che Zanuttini è uno dei migliori sperimentatori europei con il proprio strumento; lo certificano, se ve ne fosse bisogno, critici illustri, alcune tra le maggiori riviste del settore e, non ultimi, gli appassionati del genere.
In realtà, anche i migliori e meritati elogi, da qualunque parte vengano, sono solo parole (flatus vocis per i latini) che non dicono quasi niente; chi ascolta il trombettista all’opera tra marchingegni elettronici, amplificazione, gong, aggeggi vari si rende subito conto di trovarsi davanti ad un fuoriclasse che fa “parte a se stesso”, un musicista unico e senza compromessi che non disdegna esperienze lontane dalla stretta avanguardia (Arbe Garbe, North East Ska Jazz Orchestra, ecc.) senza mai perdere di vista la propria crescita come artista e personale sempre alla ricerca di nuove sfide, senza dimenticare tra le ultime, la collaborazione con il contrabbassista Matteo Mosolo ispirata dalla biografia e dall’opera di Charles Mingus.
La tromba, da quando Miles Davis decise di collegarla alla pedaliera Wah Wah come la chitarra di Jimi Hendrix, si è trasformata nella spada dei guerrieri elettrici della musica d’avanguardia tanto che ormai certi effetti sono diventati perfino banali. Alcuni trombettisti anche di primo piano (Paolo Fresu in primis) ne abusano banalizzandone effetti, distorsioni, loop ecc; per esempio, un certo suono della sordina con delay, marchio di fabbrica del Davis maturo in fantastici album come Decoy, Tutu, Amandla, è stato copiato talmente tante volte da diventare insopportabile nelle parodie involontarie che ne sono state fatte.
Zanuttini non fa per nulla parte di questa categoria, anzi appartiene alla nuova generazione di trombettisti che hanno saputo, in qualche modo, emanciparsi dal loro grandissimo padre e precursore. La sperimentazione sullo strumento, grazie anche a inaudite innovazioni tecnologiche, ha potuto disfarsi di certo ciarpame accumulatosi soprattutto a partire dagli anni immediatamente successivi al passaggio ad altra dimensione di Davis (1991). I suoni di Zanuttini sono siderali e astratti e sembrano venire dallo spazio profondo, sono interstiziali, cinetici, automatici, di oscura grana robotica di un mondo distante e distratto, a volte assume le istanze di una danza delle macchine. Come dicono i Kraftwerk: “We’re Functioning automatic, and we are dancing mechanic”.
Bravo Gesù Roger: Efrem Sacco (chitarra) Marco d’Orlando (batteria) Flavio Zanuttini (tromba)
“Come se non ci fosse un domani” dopo la performance solistica, il trombettista è stato raggiunto dai suoi compagni, sull’improvvisato palcoscenico davanti al Centro visite dell’ecomuseo. Il concertino del trio (così lo hanno chiamato) è iniziato con i frizzanti poliritmi di D’Orlando che hanno suscitato immediatamente il buon umore, ma la band ha improvvisamente e bruscamente virato su distorsioni decisamente Nu Metal con cambi di tempo improvvisi e violenti, con distorsioni così marcate e selvagge da ricordare le meravigliose imprese dei Tool e Meshuggah.
A dare ancora più brio all’intreccio la tromba elettrificata dagli effetti decisamente stranianti in una sorta di ideale incontro tra il gelo scandinavo e il torrido sole delle affocate lande africane.
Tra i primi brani: “Regolatelo tu” mette subito in chiaro qual è la vera direzione della band e cioè quella del caos creativo, della ricercata assenza di senso in piena felice anarchia zappiana con la demenzialità eretta a sistema “Dissensi-problema-questioni-problema ossessivo come un problema tuo e suo”.
La tromba di Zanuttini, con o senza elettronica, ha un gran bel suono frutto di una esercitata creatività e talento. Quando erano ormai le 12:19, non sembrava esserci niente di meglio di un brano intitolato “Fame, fame di salame”, divertente e goliardico con una spiazzante progressione ritmica prima dei coretti finali che hanno avuto lo scopo di sdrammatizzare un certo ironico trionfalismo da “fanfara” prog-rock. Marco d’Orlando, per come suona, ha di certo venduto l’anima al diavolo come certi vecchi bluesman, ha una personalità multipla come percussionista: una parte fatta di metodo e tecnica infallibili, una parte fatta di genio e sregolatezza e il restante ottanta per cento della sua creatività è tessuta a partire dalle criniere delle Erinni ed è pura follia.
Se non si fosse capito ancora il calibro con il quale il delizioso trio le sparava, si ascoltino i versi della seguente canzone:
“Hop Hop Hop e il ritornello fa Hop Hop, hop, hop!
Esci dalla mia scatola cranica con fare disinvolto avvolto dalla mia anima
Esci dalla mia cassa toracica, esci ora dal cavo orale preoccupato e paranoico…Esci da questo corpo.
Ho una domanda: Chi mi abita? Sembra davvero essere un dirigibile marrone veramente grosso come quello di Elio e le Storie Tese.”
Efrem Sacco ha dimostrato di essere un chitarrista dalla solida formazione e dallo spirito eclettico in grado di passare dal flamenco alle ballad malinconiche, fino al Brutal death metal nel giro di un accordo. I tre hanno eseguito anche preziosi strumentali dilatati, evocativi ed urbani centrati sui ritmi delle percussioni e sulle atmosfere sospese della chitarra e della tromba. Alcuni ragazzi argentini, ospiti di un progetto internazionale del parco, succhiavano divertiti con le loro strane cannucce di metallo (Bombillias) l’amarissimo e disgustoso Mate, che li connota ovunque per nazionalità e cultura. Un brano, più scatenato e improponibile, era quello dedicato alle persone non proprio raccomandabili (Pezzi infami): “ti disprezzo così infame ma così sexy…” esplodeva in un funky spumeggiante, birichino e solare eseguito con quella leggerezza ed ironia che riesce solo a chi padroneggia veramente il proprio strumento e talento. Visto che quando si tocca il fondo del barile è il momento di mettersi a scavare, divertentissimo e surreale è sembrato il brano che si è dipanato a partire dallo strano assemblaggio di materiali più o meno plausibili: “Un pavimento di marmo e grappa in una stanza vuota…estasi, estasi, estasi”.
Alla fine, durante gli applausi, una gentile signorina lancia perfino un reggiseno ai piedi della band per manifestare il suo procace e “facinoroso” entusiasmo fino allora contenuto in una buona quinta misura rinforzata, quindi ottimo e abbondante proprio come il “concertino” dei tre funamboli del Jazz rock.
Finale in crescendo, veri fuochi d’artificio e sirene d’allarme, aerei che precipitano in un catastrofico caos e poi più nulla.
I versi di un loro pezzo tra i più significativi si domandavano insistentemente: “Cosa fanno tre asini su un treno?” la risposta non può che essere: “De-Ragliano, hi ho, hi ho, hi ho.”
© Flaviano Bosco – instArt 2023