Nel canto XXI dell’Inferno, l’Alighieri, per descrivere l’oscuro minaccioso ribollire del magma nel quale sono attuffati i barattieri, ci regala una meravigliosa immaginifica similitudine con “l’arzanà de’Viniziani”.
Il bollore della “pegola spessa” di lava che vede dall’alto gli richiama alla memoria i pentoloni di pece bollente che nell’inverno dell’Arsenale di Venezia servivano a calatafare le navi dai legni sciupati dall’altura, portati in secca per le riparazioni, il lavorio tremendo di diavoli e di dannati lo paragona all’ordinata confusione degli artigiani che ribattono i chiodi del fasciame, che si occupano del sartiame o che sono intenti nei mille lavori di riassetto degli scafi.
“Restammo per veder l’altra fessura
di Malebolge e li altri pianti vani;
e vidi la mirabilmente oscura.
Quale ne l’arzanà de’Viniziani
bolle l’inverno la tenace pece
a rimpalmare i legni lor non sani” (Inf. XXI, 4-9)
Una sorta di caos ordinato però da un’arte divina che, per quanto enigmatica e spesso imperscrutabile, regola ogni minima manifestazione del creato anche quella che ci appare più oscura e incongruente.
Il titolo del nuovo lavoro di Franco Giordani, cantautore di chiara fama, ormai al suo terzo album da solista e con una lunga carriera di concerti e di collaborazioni tra le più disparate, è proprio “Ressenàl” che nella parlata di Claut (PN) corrisponde all’italiano “Arsenale” con il significato proprio che gli dava Dante e cioè di opera composita, stratificata che laboriosamente tiene insieme aspetti diversi della stessa esistenza.
Come dice uno splendido verso della canzone omonima: “E duman? Cui sa ce ch’al sarà. Oh Resenàl, Lus umbrìe soréie e temporàl, Al thél al cambia sempre de colòr, Ma ugni unc al à parsòra la so stéla e al so amòr.”
Tutta la nostra vita non è fatta altro che di “Luce, ombra sole e temporale” e di cieli che cambiano continuamente colore eppure, in questo confuso divenire ognuno cerca il proprio senso ed è spesso l’amore la sua stella polare.
L’album di Giordani è quindi un’opera davvero composita nella quale gli elementi più disparati e spesso apparentemente incongrui vengono tenuti insieme con una maestria da vero artigiano del colore musicale in grado di passare dalla poesia più ispirata di un poeta come Federico Tavan, esploratore degli abissi del cielo che spalancava nella sua Andreis, alle profondità ctonie degli inferni dei minatori mandati a morire dalla miseria, fino alle ben più prosaiche goliardate sui campioni di sollevamento calici o sui vigili urbani che fanno cassa con gli autovelox.
Il tutto cucito insieme come un coloratissimo patchwork da autentico cantastorie che non ha paura di sporcarsi le mani con la densità dell’esistenza e con la materialità del vivere che non è fatto solo di aerate parole ma anche di lingue che si fondono e che si impastano dei tanti sapori della vita che a volte sono contrastanti e fin troppo sapidi ma che ci saziano lasciandoci contenti come un bel pranzo domenicale in famiglia o una grigliata tra amici.
I maestri inarrivabili che ispirano la musica del chitarrista friulano sono di certo quelli della tradizione folk americana riassunti nel magistero di Bob Dylan nelle varie declinazioni prima fa tutte l’interpretazione nostrana di quelle ballate da parte di Francesco De Gregori. In Ressenàl c’è però anche spazio per il pop più disimpegnato e goliardico, le villotte, il rap e la bella nostalgia del cantautorato italiano dei bei tempi che furono in una contaminazione di stili e di influenze non certo troppo originale e inaudita ma, a proprio modo, unica e di un certo interesse che vale più di un ascolto attento; buona musica semplice e diretta, ben suonata, con ottimi arrangiamenti, una voce narrativa e coinvolgente che sa colpire e farsi ascoltare, cosa volere di più?
Anche la sontuosa confezione del Cd è parte integrante del lavoro; non è il solito packaging ma, insieme ai materiali sonori, teoria di tessere di un mosaico complesso che può perfino apparire disordinato e che in questo assomiglia ai muretti a secco dei nostri paesi o alle case fatte di claps, ciottoli presi dal greto del grande fiume spesso di diversa materia, forma e colore che uno sull’altro hanno costruito le architetture povere dei nostri paesaggi ma anche le possenti mura delle nostre antiche città fortificate, i sontuosi edifici di culto e i castelli sulle cime delle colline.
Ressenàl è anche questo, un assemblaggio virtuoso di materiali di per se spesso miseri ed elementari come pietre di fiume all’apparenza disomogenee che però nel complesso creano una struttura resistente e solida, proprio come sono le parlate del friulano che Giordani interpreta nelle sue canzoni che unite all’italiano costruiscono un edificio linguistico molto particolare che giustamente ha attirato l’attenzione dell’Arlef (Agjienzie Regjonâl pe Lenghe Furlane) con la quale il chitarrista collabora per la valorizzazione della lingua e della cultura friulana.
L’impressione che se ne trae, per restare al Booklet tra i testi delle canzoni, le fotografie, i ritratti, le testimonianze, i versi, i racconti, i dipinti, è quello di un autentico laboratorio creativo nel quale un magma di idee a volte perfino disarticolate e disgregate collidono e si amalgamano, respingendosi nell’attrarsi.
Giordani ha avuto l’abilità e la sensibilità di assemblare in modo apparentemente casuale e caotico tutta una serie di elementi e suggestioni che non smettono mai di stupire proprio perché lasciano liberi di creare i collegamenti che l’opera solamente suggerisce.
E’ lo stesso effetto che ingenera l’ascolto dell’album che si visualizza come una serie di appunti musicali presi lungo la strada della vita, è una musica che accompagna il nostro girovagare e che non ci dice mai fino in fondo che sorprese potremmo mai trovare. Come per esempio scrive, tra gli altri, Giorgio Olmoti che ha contribuito al libretto con una serie di propri folgoranti brandelli di vita intitolata appropriatamente “La ballata dell’ordine e del caos”: “in una piccolissima pieve senese e non vi dico quale, ho ritrovato, in una madia, la testa mummificata di una monaca, con la pelle rossa come lo sciroppo di amarene e quattro denti che sporgevano, ficcata in un reliquiario con vetrinette polverose.”
A colpire potentemente sono anche i magnifici inquietanti ritratti del grande pittore udinese Giordano Floreancig che, oltre ad illustrare la copertina del cd, fanno bella mostra di se tra le pagine del libretto. I volti tormentati, esplosi, impastati, sbavati che sono la cifra della pittura di Floreancig esprimono perfettamente la confusione che è la nostra identità contemporanea che non ha mai pace e brucia con la nostra esistenza. Il pittore ha voluto comprendere tra le pagine anche un suo breve significativo componimento poetico prosastico, dal “non sono io! Siete voi?” che dice molto della sua poetica ma anche su quella complessiva dell’opera di Giordani:
“…E non potendo tradire il sentire, avendo vissuto sempre con il caos dentro, ho fatto di me stesso fiamma ed inferno”.
Le righe del giornalista Toni Capuozzo dedicate al pittore, anch’esse comprese nell’album, forse non gli rendono davvero giustizia venendo da una persona che dichiaratamente d’arte moderna ci capisce ben poco e che si affida semplicemente al proprio gusto personale (“Mi piace, non mi piace”) come qualunque avventore d’osteria di fronte ad una disputa sulle qualità del bianco o del nero, intesi nel senso del vino e con tutto il rispetto per le mescite e per chi le frequenta per bere il sangue benedetto della nostra terra.
La musica di Giordani non passa certo in secondo piano anche grazie alla fitta schiera di splendidi musicisti di cui il poeta con la chitarra ha saputo attorniarsi; l’allegra masnada i cui componenti spesso si alternano nei brani in formazione mobile e variabile sono: Massimo Gatti, Alessandro Turchet, Elvis Fior, Leo Virgili, Chiara Trentin, Francesco Mosna, Jimmi Bressa, Paola Selva, Davide Tomasetig, Alvise Nodale cui si aggiungono in un brano le giovani voci di Leonardo Giordani e Gabriele Della Valentina. I crediti totali dell’album segnalano il fattivo contributo a vario titolo di almeno due dozzine di artisti di livello.
Chiudono l’album e anche le modeste righe di questa recensione, gli evocativi versi della poetessa. Rosanna Paroni Bertoja dai quali Giordani ha tratto un ispirata melodia:
Tal font del font del nuia
‘na tela de rai
E tantis gotutis di ploia
e nulis e temporal.
© Flaviano Bosco – instArt 2022