Per celebrare i trent’anni dalla morte di David Maria Turoldo, Musica in Villa 2022 ha pensato bene di omaggiarlo con uno spettacolo sul sagrato della chiesa di Coderno (UD) suo paese natale. Il tema scelto è stato quello del confine e delle frontiere, fisiche, culturali e spirituali che dividono-uniscono il territorio regionale al mondo slavo in tutte le sue declinazioni ma, almeno nelle intenzioni, l’orizzonte era molto più vasto.
Le minacce di pioggia hanno fatto preferire l’interno dell’edificio di culto, autentico “refugium peccatorum”, con il coro e i due lettori (Monica Mosolo, Alessandro Venier) nel transetto e il folto pubblico tra i banchi.
La linea di confine ce la portiamo dentro, ognuno ha un segno, un tracciato, una cicatrice che lo divide in due o più parti. Banalmente, ma non troppo, già la nostra epidermide è un confine che ci separa da ciò che ci circonda. In psicologia si definisce “uovo prossemico” quello spazio intangibile che ci scaviamo in mezzo agli altri per proteggere la nostra zona di rispetto, lo spazio nel quale facciamo nuotare la nostra identità.
Da mesi gli abitanti di molte zone del nostro territorio si sono accorti del continuo sorvolo di caccia dell’aviazione militare Nato, dai nostrani “Eurofighter Typhoon” ai ben più sofisticati F35 Lightning II, che a detta delle autorità ai fini della sicurezza nazionale controllano e proteggono il nostro spazio aereo lambendone il perimetro.
Siamo prigionieri di talmente tanti confini che perfino l’atmosfera sopra di noi è sorvegliata e delimitata. Per non parlare della rete cellulare che cartografa al millimetro ogni nostro minimo spostamento definendo continuamente il nostro profilo.
Da decenni ci illudiamo d’aver eliminato i confini con la tragica farsa dello “Spazio Schenghen”, gli altissimi valori dell’Europa unita venduti al miglior offerente e poi con il sogno criminoso della globalizzazione; tutte menzogne rivelatesi nei fatti solo un modo per estendere l’imperialismo delle grandi potenze economiche, finanziarie e, naturalmente, militari.
L’obiezione che viene sovente sollevata, a queste tesi catastrofiche, è che l’Europa in questo modo ha tutelato la pace e la prosperità sul proprio territorio per 80 anni; si dice non ci sia stata più una guerra europea dalla II Guerra mondiale, dimenticando colpevolmente il mostruoso decennio delle “Guerre balcaniche” (1991-2001) che, ancora oggi, sono una ferita non rimarginata nella nostra storia che di tanto in tanto manifesta ancora i propri dolori. E’ di questi giorni la preoccupante notizia di tensioni ai confini tra Serbia e Kossovo per la ben nota intricatissima questione dei confini territoriali.
Non serve nemmeno fare riferimento all’attuale guerra del Donbass o alla questione di Taiwan o ai centinaia di conflitti in tutto il mondo che ci vedono coinvolti in un modo o nell’altro.
Paradigma di tutte queste situazioni e banco di prova internazionale per capire quanto degenerata sia la situazione, è la drammatica vita nei territori palestinesi occupati da decenni dallo stato di Israele che, spietatamente, non perde occasione per stringere ancora di più l’assedio su quelle terre che ha ridotto a campi di concentramento veri e propri. Sono di questi giorni i bombardamenti su Gaza, una delle città più densamente popolate al mondo.
Il confine può essere una sbarra nel bel mezzo ad un sentiero di montagna o un blocco navale nel bel mezzo del Mare “Nostrum” che invece è sempre stato di tutti; può essere una fila di transenne, una zona rossa, un reparto di terapia intensiva, una riga tracciata sulla sabbia oppure nel nostro cervello e molte altre cose.
Il confine può essere anche un simbolo del nostro peregrinare esistenziale come nel racconto di Dino Buzzati “I Sette messaggeri” in cui un giovane principe si mette in viaggio per arrivare all’estremo confine del Regno che un giorno sarà suo:
“Ho cominciato il viaggio poco più che trentenne e più di otto anni sono passati… Credevo, alla partenza, che in poche settimane avrei facilmente raggiunto i confini del regno. Invece ho continuato sempre ad incontrare nuove genti e paesi; e dovunque uomini che parlavano la mia stessa lingua, che dicevano di essere sudditi miei. Penso talora che la bussola del mio geografo sia impazzita e che, credendo di procedere sempre verso il meridione, noi in realtà siamo forse andati girando su noi stessi, senza mai aumentare la distanza che ci separa dalla capitale; questo potrebbe spiegare il motivo per cui ancora non siamo giunti all’estrema frontiera.”
Per far riflettere su questi temi di scottante, nevralgica attualità, lo spettacolo “Sconfinati” ha cercato, in collaborazione con la “Bottega errante”, con una formula forse non più troppo efficace, di alternare pagine di grande letteratura contemporanea a brani musicali cantati dal coro del Friuli VG, in versione compatta, con l’aiuto di alcuni musicisti e la direzione di Mateja Černic.
Lo spettacolo, pensato per il Mittelfest 2020, ha dimostrato di essere poco adatto all’atmosfera estiva e al pubblico di Musica in Villa che predilige e si aspetta soprattutto la musica che, in questo caso, è stata parecchio sacrificata a letture attoriali che a volte sono sembrate cariche di un’eccessiva sovra-interpretazione.
La retorica e la mancanza di ritmo hanno poi completato il quadro che di certo aveva tutte le carte in regola per riuscire ma che, alla prova dei fatti, si è rivelato dai colori piuttosto sbiaditi. Una pecca abbastanza grave dell’impianto generale è quella di aver tralasciato di citare dal palco, anzi dal pulpito, gli autori e i titoli delle opere dalle quali sono state tratte le letture.
Qualcuno, naturalmente, ha riconosciuto le parole di Angelo Floramo, di Paolo Rumiz, ma con la maggior parte dei presenti si è persa l’occasione di fargliele assaporare nel giusto contesto.
Per la cronaca le letture erano tratte da Ivo Andrić (Racconti di Bosnia) Angelo Floramo (La veglia di Ljuba) Pedrag Finci (Il popolo del diluvio) Miha Mazzini (I cancellati) Paolo Rumiz (Il veliero sul tetto). È apparsa, invece, completamente fuori registro la lettura delle definizioni dal dizionario della lingua italiana che abbassavano di molto la tensione drammaturgica.
Il coro del Friuli VG può contare su voci straordinarie e su una grande versatilità che gli permette di avere un repertorio dai vasti orizzonti che vanno dalla musica barocca al prog rock e dagli inni sacri fino alle villotte. Spiace proprio vederli relegati al ruolo di comprimari in un’esibizione generalmente fuori fuoco con forse alcuni eccessi di protagonismo.
In un breve componimento intitolato “Memoria”, Padre David Maria Turoldo, per l’appunto, ricorda gli spazi senza confini che possiamo percorrere dentro di noi:
E’ la memoria una distesa
di campi assopiti
e i ricordi in essa
chiomati di nebbia e di sole.
Respira
una pianura
rotta solo
dagli eguali ciuffi di sterpi:
in essa
unico albero verde
la mia serenità.
Flaviano Bosco – instArt 2022 ©