Si conclude con questa seconda parte la recensione degli incontri della curiosa rassegna di momenti d’improvvisazione jazz e riflessioni tra musica e attualità in piacevole convivialità in Borgo Stazione a Udine.
Martedì 21/06
Sempre a partire dalle considerazioni di Angela Davis, in questo incontro si è ricordata una dolorosa canzone di Ma Rainey, grandissima cantante blues che molti continuano a voler dimenticare. Ma Rainey cantava tutto il proprio dolore di donna afroamericana sulla quale la sfortuna si accanì con particolare ferocia. L’autobiografica “Black Eyed Blues” racconta di una donna picchiata dal proprio amante che medita una vendetta tremenda. Il brano così doloroso è stato avvicinato ad un ennesimo caso di femminicidio perpetrato solo qualche giorno prima in provincia di Udine dal solito “integerrimo” padre di famiglia che ha pensato bene di sfinire con 58 coltellate la madre delle proprie figlie mentre le piccole dormivano nella stanza accanto.
Di orrore in orrore si è fatto un accenno anche al pretestuoso recente atto di riconciliazione della governo belga con la propria ex colonia congolese. La scorsa primavera, il primo ministro Alexander De Croo, in visita ufficiale, ha restituito al suo omologo africano, durante una squallida cerimonia, un dente d’oro, l’unico resto mortale del presidente panafricanista Lumumba che mercenari belgi coinvolti nella guerra civile che insanguinava il paese avevano assassinato e sciolto nell’acido; solo una delle innumerevoli atrocità perpetrati dai belgi in quella contro quel popolo che consideravano proprietà.
Possono sembrare elementi incongrui e staccati tra loro ed invece fanno parte tutti insieme della violenza e della crudeltà che domina la nostra società che è fondata e si nutre di sopraffazione.
Quello che accade quotidianamente nelle nostre case è intimamente legato ad un sistema economico di sfruttamento e di violenza sociale molto più esteso; sono uno lo specchio dell’altro. Le mostruosità perpetrate dalle potenze coloniali in Africa non sono per nulla finite e sono il sanguinoso strumento che utilizziamo per creare il nostro benessere che, in realtà, è malato e finisce per avvelenare la nostra stessa vita.
Filippo Ieraci: chitarra
Giampaolo Rinaldi: Pianoforte
Rinaldi è un pianista di rara eleganza, il suo tocco è sofisticato ma allo stesso tempo leggero e luminoso. Le sue composizioni, anche le più apparentemente semplici, non sono mai banali ma racchiudono sempre qualcosa di prezioso e di grande piacevolezza; il connubio con Filippo Ieraci è di certo fecondo e garantisce un sound rotondo e pacificato perfettamente adatto anche ad un ascolto rapsodico e perfino distratto.
Tutta la musica suonata durante gli incontri di Biblioteca in jazz è stata tutt’altro che disimpegnata, come abbiamo detto più sopra, ma ha anche voluto, come in questo caso, conservare quella morbida levità che ci fa sembrare la felicità a portata di mano anche se non è vero.
La musica di Rinaldi ci permette, almeno per un attimo, di estraniarci dalle pene quotidiane, di elevarci per osservare da una prospettiva più ampia le nostre miserie, per poi riadagiarci lentamente li dove siamo sempre stati. Quando finalmente riapriamo gli occhi non sembra essere cambiato molto, ma siamo cambiati noi e spesso in meglio.
Martedì 28/06
Il recente film Gli Stati Uniti Vs Billie Holiday” anche se non perfettamente riuscito, ricostruisce una parte della vicenda biografica ed artistica della grandissima cantante. La pellicola si concentra soprattutto sulle discriminazioni e l’autentica persecuzione razziale cui la grande artista fu vittima. La sua celeberrima canzone “Strange Fruits” denunciava l’orrore della pratica dei linciaggi contro i neri così diffusa negli Stati Uniti.
Un sito di documentazione, in continuo aggiornamento, Lynching in America.eij.org, testimonia la crudele realtà di quegli “atti di giustizia” che la legge americana a tutt’oggi non ha mai condannato formalmente. Se n’è parlato anche in relazione al recente massacro di Melilla in Marocco, durante il quale la polizia di frontiera ha causato la morte di decine di migranti in cerca di libertà e speranza; oggi sembra diventato un crimine punibile con la pena di morte.
“Gli alberi del sud danno uno strano frutto, Sangue sulle foglie e sangue alla radice, Corpi neri che oscillano nella brezza del sud, Strani frutti appesi ai pioppi.”
Mattia Romano: chitarra
Emanuele Filippi: pianoforte
I loro accordi meditativi e dai tempi dilatati e pensosi sembravano le calde gocce di pioggia che cadevano, qua e la, sul marciapiede appena fuori lo “Spazio 35” di via Percoto in una serata afosa che più calda non si poteva.
Erano suoni evocativi e sospesi, atmosferici e organici, vivevano di attimi e di attese. I due giovani musicisti non sono per nulla figurativi e non disegnano paesaggi sonori ma raccontano situazioni. Negli ultimi tempi Filippi ha notevolmente evoluto il suo approccio al pianoforte; ha smussato molti angoli modificando in buona sostanza il proprio stile, è diventato più introspettivo; lo dimostra anche la sua ultima ottima incisione “Heart Chant” della quale ha proposto alcune composizioni riarrangiate per l’occasione.
Non contano più i rumori di fondo della città, il duo ha davvero la capacità di ridurre al silenzio anche i pensieri più rumorosi e molesti con brani che sembrano terapia e che al tempo stesso non sono per nulla malinconici. Uno di questi è ispirato al Pantaleon dell’omonimo romanzo di Mario Vargas Llosa (Pantaleon e le visitatrici), permeato realismo magico che racconta le bizzarre avventure di un generale che deve motivare le sue truppe verificandone anche la salute sessuale.
Martedì 05/07
A partire dalla sfortunata biografia del fantastico pianista be-bop Bud Powell, che fu internato forzatamente in manicomio e sottoposto a decine di elettroshock e a quella di tanti suoi colleghi che subirono trattamenti simili per le loro cosiddette “stravaganze”, si è voluto brevemente ricostruire la storia di questa barbara pratica cosiddetta Terapia elettro-convulsivante (Tes).
La barbara pratica, mutuata dalla macellazione dei maiali da Ugo Ceretti e Lucio Bini nel 1935, è stata messa in relazione con la scottante questione dell’etnopsichiatria che nel nostro paese continua a rimanere solamente un orizzonte teorico e utopico mentre sarebbe fattore fondamentale di comprensione e integrazione.
Sembra che a nessuno interessi minimamente delle condizioni psicologiche delle persone che sbarcano sulle nostre coste o che giungono nelle nostre città dopo aver camminato per migliaia di chilometri.
L’unica vera strategia messa in atto, in questo senso, per la salute mentale e il loro conseguente benessere psicologico è quella farmacologica della sedazione attraverso gli psicofarmaci che, utilizzati senza opportuna terapia anche a livello sociale, corrispondono nei fatti ai convulsivanti per i quali al famigerato “macellaio” Julius Wagner-Jauregg venne conferito uno dei Nobel più discutibili della storia.
Preziose indicazioni sull’argomento si possono trovare in: Luca Stercherle, Il carcere invisibile. Etnografia dei saperi medici e psichiatrici nell’arcipelago carcerario, Meltemi, 2021.
Per l’ultimo degli incontri di Biblioteca in Jazz 2022, il maestro Simone Serafini ha pensato in grande organizzando la Jam session di un super-gruppo di talenti eccezionali, tutti autentici fuoriclasse, lui compreso.
Time for Africa Jazz Band
Simone Serafini: Contrabbasso
Marco D’Orlando: Batteria
Mirko Cisilino: Tromba
Francesco de Luisa: pianoforte
Il concerto ha spaziato tra le musiche di Ornette Coleman, Pat Metheney, Keith Jarrett con il preciso intento di regalare al pubblico attimi di gioia e di divertimento puro senza però intrattenimento fine a se stesso. I veri artisti non pretendono di essere sempre seri e compassati anzi sanno giocare con il loro talento con ironia e spontaneità senza per questo, nel caso dei musicisti, trasformare la loro arte in un mero sottofondo musicale.
Il jazz può essere tremendamente chiuso e autoreferenziale, in alcuni casi è davvero necessario; in altri però non ha proprio bisogno di tingersi di scuro ma sa essere un arcobaleno di colori, un fuoco d’artificio o una brezza leggera che incanta e rigenera.
Il quartetto di Serafini ha cominciato morbido e vellutato con la tromba a tracciare le linee melodiche e le geometrie dolci di un tessuto sonoro prezioso tessuto di note fresche, terse e, a proprio modo, classiche.
De Luisa ha un autentico dono al piano e continuamente gioca tra inaudite dolcezze e spazi sonori aperti e levigati. La sua è una forza gentile e appassionata dalla quale è difficile non farsi ammaliare.
Serafini e D’Orlando costituiscono una delle sezioni ritmiche più fantasiose e speziate in circolazione. Il primo ha una straordinaria versatilità e come spesso succede con i contrabbassisti, dispone di una visione d’insieme molto precisa, punto di riferimento essenziale per tutti gli altri, è un punto di equilibrio, una pulsante luce guida.
D’Orlando batte leggerissimo su una borraccia d’alluminio d’ordinanza con delle bacchette sottili conferendo al Calipso di Ornette Coleman che i quattro stanno suonando in quel momento quel suono così tipico e caraibico e poi batte sul rullante con i polpastrelli. E’ molto divertente, dinoccolato e ironico anche in veste di presentatore dei brani ed è una meraviglia quando non si ricorda il titolo del brano appena suonato o lo storpia. Tra questi Hermitage di Pat Metheney, No End di Keith Jarrett, Lonely Woman di Ornette Coleman
Cisilino è sempre fornitissimo di sordine e di aggeggi vari con i quali stranisce il suono della sua tromba adattandola alle situazioni più diverse. Ha un approccio allo strumento, all’imboccatura e all’intonazione del tutto particolari che lo distinguono per un suono a volte “sporco” e trascinato ma molto personale che sa farsi apprezzare anche dalle orecchie meno “circoncise”.
I quattro che dimostrano di sapere anche percorrere le vie del registro drammatico, insieme, fanno scintille sono così divertenti ed eleganti da far venir voglia di mettersi a ballare in mezzo alla strada.
C’è anche un bis molto cool e gattone che saluta la sera che sta calando e tutta la rassegna che per cinque appuntamenti ha divertito e interessato; ci rivediamo in autunno quando si sta come le foglie.
Un’ultima citazione va a Charles Mingus di cui si celebrano i cento anni dalla nascita, che nel suo “Fables of Faubus” denunciava gli abusi della polizia contro chi chiedeva il rispetto dei propri sacrosanti diritti.
Oh, Lord, don’t let ‘em shoot us!
Oh, Lord, don’t let ‘em stab us!
Oh, Lord, no more swastikas!
Oh, Lord, no more Ku Klux Klan!
Flaviano Bosco – instArt 2022 ©