È sempre un piacere rivedere sul palco quegli artisti che -con la loro bravura e la loro simpatia- hanno saputo creare un legame particolare con la platea, tanto che il loro ritorno ha quasi il sapore di una rimpatriata con un vecchio amico. È certamente il caso di Thomas Borchert, star del musical in Germania (non c’è praticamente ruolo che non abbia interpretato tra i titoli maggiori), già ammirato e applauditissimo nel Giugno scorso con “The piano man”, una carrellata dei più grandi successi dei musical -e non solo- in versione (come il titolo poteva far intendere) piano e voce.

C’era dunque molta attesa per questa nuova data, amplificata dal fatto che Thomas stavolta era accompagnato sul palco da una voce femminile: “It takes two” riprende infatti la formula piano+voce ma si concentra sui duetti, riproponendo tutte le più famose arie dei musical in cui voce maschile e femminile interagiscono, si compenetrano, si scontrano. In più, non una voce femminile qualsiasi: è infatti la moglie Navina Heyne a dividere il palco con lui. Attrice di prosa già affermatissima in patria, oltre che performer di musical con un’attitudine al canto lirico, ma finora ancora quasi sconosciuta in Italia.

La prima cosa apparsa evidente sin dai primi minuti è che il concerto presenta la stessa struttura di “The piano man”: tanti brani, sì, ma intervallati da chiacchiere, aneddoti e tanta interazione -giocosa e amichevole- con il pubblico. Tutto concorre a creare quel bel feeling e quella complicità con la platea che già avevano fatto innamorare Trieste nel Giugno scorso e che fa riaffiorare subito, intatta, quella naturale simpatia per Borchert, un artista che -nonostante gli innumerevoli successi tra cui addirittura un musical scritto proprio per lui, “The count of Monte Cristo”- si presenta al pubblico con quell’umiltà che appartiene solo ai grandi. Caratteristiche che ritroviamo anche in Navina Heyne: è evidente l’intesa tra i due, non solo musicale ma anche umana, segno di due anime simili nel modo di essere e di porsi davanti agli altri. Il risultato è che la platea si ritrova a “legare” subito anche con lei, provando quella simpatia spontanea che va oltre l’apprezzamento per l’abilità tecnica.

E a proposito di abilità, possiamo dire senza timore di smentita che vocalmente entrambi hanno saputo portare sul palco delle grandi interpretazioni. A essere completamente sinceri potremmo far notare solo qualche incertezza iniziale di Thomas, nei passaggi in cui -nei primissimi brani- doveva passare nella più leggera voce cosiddetta “di testa”. Ma è bastato qualche brano maggiormente concentrato sulla voce greve e “di petto” per “ricalibrare lo strumento” e restituirgli la padronanza completa in tutti i registri. Per il resto delle due ore si sono potute contare solo interpretazioni maiuscole, sia come tecnica vocale che dal punto di vista della “recitazione”: si è passati senza fatica da toni più allegri e spensierati (“The song that goes like this” da Spamalot, occasione anche per un divertente siparietto iniziale sui luoghi comuni del maschile “sempliciotto” e del femminile “complesso”) a quelli più romantici e delicati (“A whole new world” da Aladdin) a quelli maggiormente drammatici (con i brani tratti da Dracula e Tanz Der Vampire).

Se di Thomas già conoscevamo le grandi qualità, di cui la nuova serata al Rossetti è stata una “semplice” conferma, c’era grandissima curiosità per il debutto italiano di Navina. Debutto passato a pienissimi voti: una bellissima voce e un’inteprete capace di modularla in modo totalmente convincente (è palese la sua formazione anche come attrice), che in alcuni brani ha particolarmente stupito e lasciato a bocca aperta. Il caso più lampante è stato “The phantom of the Opera”:  brano che potremmo definire quasi maledetto per le voci femminili, che si ritrovano giocoforza a doversi confrontare con l’interpretazione di Sierra Boggess per il venticinquennale del musical e che da oltre 10 anni è considerata non “una” ma “la” Christine Daaé. Ebbene, la Heyne approccia il brano senza nessun timore e stupisce per la padronanza della vocalità (molto vicina al canto lirico) necessaria per il ruolo. Deve mollare la presa solo nel trillo che chiude il brano ma nessuna critica per questo, dal momento che si parla di note stellari a cui forse solo la Boggess sa arrivare.

Se proprio volessimo trovare qualcosa su cui esprimere perplessità -ma mettiamo le mani avanti dicendo che è un po’ il cercare il pelo nell’uovo- è la scelta di cantare molti dei brani in tedesco. Cosa comprensibile per i musical mai tradotti come “Danz Der Vampire”, un po’ meno per quelli di cui la versione inglese non solo esiste ma è quella originale (si pensi al già citato “A whole new world” da Aladdin).

Dal punto di vista scenografico, tutto è ridotto al minimo per far concentrare l’attenzione solo sulle voci e le interpretazioni della coppia. Molto interessante, comunque, l’uso dell’unico elemento di scenografia presente: una grande “II” smontabile e i cui pezzi sono diventati, brano dopo brano, sedie, muretti, tappeti volanti o colonne. Una bella trovata che in maniera estremamente minimale ha saputo trasmettere ancor più quell’atmosfera giocosa, quasi di serata tra amici, per due ore passate davvero in un soffio.

E come tra amici ci piace salutare Thomas e Navina con un caloroso arrivederci e “alla prossima”, speranzosi (e anche piuttosto convinti, visto il successo della serata) che ci sarà nuovamente modo di rivederli sul palco del Politeama, magari per qualche nuovo progetto musicale in coppia.

Luca Valenta / ©Instart