Note a margine” di Luciano Rossetti è la mostra fotografica, in collaborazione con Phocus agency di Luca A. d’Agostino e Alice BL Durigatto, le cui immagini accompagnano l’accomodarsi degli spettatori del teatro Zancanaro di Sacile prima dei concerti della rassegna voluta dal Circolo Controtempo e giunta ormai alla XVII edizione.

Naturalmente, il tema principale delle immagini è il Jazz ma con un tocco di classe e di eleganza del tutto peculiare. Gli scatti di Rossetti hanno la particolarità di cogliere, mettere in risalto e in contrasto i primi piani con le immagini di sfondo o addirittura fuori contesto, creando imprevedibili connessioni e dialoghi, “traiettorie impercettibili, codici di geometria esistenziale”. Le sue foto di scena sono assolutamente dinamiche e colgono, in qualche modo, la vita che scorre con il tempo mentre si sta fissando l’obiettivo su un evento.

Sono propriamente “immagini-movimento” che raccontano di istanti rubati spesso con un’ironia quasi surreale: qualcuno che sbadiglia mentre il musicista è impegnato a suonare, la meraviglia di un bambino attratto da un’ombra sul muro, strane smorfie durante le prove, lo stupore e i sorrisi di momenti sospesi e perfino estemporanei come un cagnolino stravaccato e addormentato in platea, cullato dalla musica.

La serata era di respiro internazionale come è ormai consueto a Il volo del Jazz che vizia gli appassionati con quanto di meglio la scena della musica di ispirazione afroamericana sa regalare. Il pianista londinese Bill Laurance è da almeno due decenni alla ribalta sia insieme al chitarrista Michael League nel fantastico ensemble Snarky Puppy sia come solista e compositore.

Tra le altre, è assolutamente straordinaria e di altissimo valore artistico, la sua collaborazione con il chitarrista David Crosby, autentica icona della musica contemporanea dai Byrds al sodalizio con Stills, Nash e Young.

Il concerto di Sacile è stato un’esclusiva per l’Italia in una breve serie di esibizioni in trio con Jonathan Harvey al contrabbasso e basso elettrico e Marijus Aleksa alla batteria.

Se con gli Snarky Puppy ha contribuito a lanciare nel terzo millennio il jazz orchestrale in nuove forme e prospettive che sposano sonorità propriamente afroamericane con la musica contemporanea, etnica e world, anche in formazione ridotta e a suo nome, Laurance ha saputo lasciare un’impronta in un percorso musicale che si prospetta ancora lungo e fecondo. Decisamente interessante anche il suo lavoro di compositore di colonne sonore per documentari e film.

Fin dal primo brano a Sacile è emersa la brillantezza del suo pianismo che ha conquistato immediatamente il cuore degli spettatori anche grazie allo splendore inarrivabile dei timbri del pianoforte Fazioli che la rassegna mette a disposizione. Poderoso è parso l’accompagnamento ritmico del contrabbasso e della batteria per un’esecuzione briosa e scintillante, divertente e corposa, per niente meditativa ma dai toni chiari e con il sole sempre in fronte nella felicità allegra del mattino.

Il secondo brano decisamente cantabile che ha visto Harvey imbracciare il suo classico basso Fender, ha espresso un perfetto mainstream jazz che ricordava da molto vicino il Philadelphia Soul degli anni ‘70 in versione fusion, un sound morbido e perfino ballabile decisamente piacevole, di quando ancora l’approccio galante all’interno dei locali, tra le luci soffuse e la musica suadente, era: “Mi fai accendere, per favore?”.

Altrettanto coinvolgente anche il terzo brano con di nuovo il contrabbasso a segnare la rotta in un’atmosfera decisamente cinematografica come in un film francese della Nouvelle Vague, vera musica per immagini come di vecchie Citroën che filavano via galleggiando sulle loro sospensioni a balestra, a rotta di collo sull’autostrada o meglio, come si diceva allora, “Sur l’Autoroute” con tanto di vago richiamo al “So What” del Miles Davis di “Kind of Blue” e, sia ben chiaro, ogni riferimento è puramente casuale.

Il trio di Laurance è del tutto anticonvenzionale e spesso imprevedibile tanto da permettersi anche qualche virata verso ritmi caraibici e latini per poi rientrare immediatamente in carreggiata.

Un plauso allo straordinario lavoro sottotraccia del batterista, mai iper-virtuosistico e sempre presente a se stesso, con ritmi che a volte risultavano perfino “popeggianti” ma che riuscivano sempre a mantenere un gran fascino austero di gran classe.

A questo punto dell’esibizione, finalmente il leader ha preso la parola per esprimere al pubblico tutta la gioia di suonare in Italia davanti ad un pubblico attento e caloroso. Non si è trattato certo di “captatio benevolentiae” o “cortesie per gli spettatori paganti”, è sembrato davvero sincero.

Il palcoscenico de Il volo del Jazz fa sempre questo effetto, inserito com’è in una città gioiello come Sacile, perla della Serenissima e storicamente sublime porta dell’antico Patriarcato d’Aquileia.

I brani eseguiti sono stati tratti dai primi tre album di Laurance che in seguito si è concentrato sulla produzione più recente, come quello dall’ultima incisione che racconta in musica della determinazione necessaria a perseguire i propri obiettivi. Gli accordi sembrano proprio descrivere l’attimo fuggente di un’inaspettata scoperta o l’orizzonte che si apre improvviso dopo l’ultima curva dietro la montagna.

Un semplice gioco di luci proiettate sul cielo della platea accresceva l’effetto onirico delle promesse di bellezza contenute nella musica di Laurance che “ruscella” le sue dita sulla tastiera in un pianismo di lontana formazione classica e contemporanea del tutto privo di asperità interpretative ma lieto e luminoso, pieno di voglia di vivere e di mettersi in gioco.

Il trio ha proseguito lanciatissimo con la batteria dai ritmi molto serrati da dance elettronica con battute raddoppiate contate in “sedicesimi”, basso elettrico incalzante ed un pianismo spiritato e divertente. Nelle loro atmosfere di spensierata serenità cinematografica Laurance e i suoi hanno il gran pregio di non risultare mai stucchevoli e languidamente sentimentali. I loro riferimenti sono di certo nel passato ma non vi è alcuna nostalgia nelle loro esecuzioni com’è purtroppo di tanto pianismo contemporaneo (Einaudi, Tiersen ecc). Anzi, con loro l’impressione è che sia vero il contrario, c’è quasi un’ansia di futuro nelle loro linee melodiche e nei loro ritmi.

Questo è del tutto evidente nelle ultime incisioni pensate da Laurance in pieno lockdown epidemico. L’album Cables è una vera e propria concept opera come si usava un tempo, sulle distopie dell’iper connessione e sulle storture della comunicazione. Il pianista inglese, isolato nel suo studio d’incisione per mesi, ha sovrapposto tutte le tastiere immaginabili per dare vita ad un progetto musicale del tutto eccentrico e complicato ma al tempo stesso immediatamente comprensibile anche ad un ascolto più superficiale. Gli arrangiamenti per trio di quelle composizioni sono assolutamente squisite e il pubblico de Il Volo del Jazz di Sacile ha potuto gustarsele come autentiche leccornie da leccarsi i baffi, anzi passandosi le zampette sugli orecchi come fanno i gatti quando sono sazi e deliziati.

Quella di Laurance, lo si è capito ormai, è una musica che cattura e che, pur apparendo semplice, ha una texture raffinatissima e a tratti sgargiante, tutta figure e capriole, lampi, temporali e fiori. Ci si ritrova come bambini davanti ad una vetrina piena di balocchi o di dolciumi; quando il concerto rotolava verso il finale si avvertiva già la nostalgia per quelle sensazioni. L’ultimo brano prima dell’inevitabile, richiestissimo bis è stato dedicato a tutta la forza e all’energia che ha fatto sì che continuassimo a resistere nonostante tutto quello che è successo e sta accadendo per colpa dell’emergenza epidemica e della relativa mala gestione delle allerte e della comunicazione. La musica è servita a farci dimostrare tutta la nostra resilienza e volontà di creare un mondo nuovo dopo la catastrofe o almeno a progettarlo visto che siamo ancora in mezzo al guado.

Flaviano Bosco © instArt