Nel primo weekend di novembre il Teatro Verdi di Pordenone mette a segno un perentorio sold out (prolungati e convinti gli applausi a fine serata) per l’anteprima nazionale di “Sani!”, il nuovo spettacolo di Marco Paolini, una produzione di Michela Signori – JoleFilm. Segnale evidente di quanta sia la voglia di ritornare a sedersi in platea o in galleria per sentirsi raccontare una storia, ma anche dell’indubbia stima e dello smisurato affetto su cui possa contare da queste parti l’attore, autore e regista bellunese che del teatro di narrazione ha fatto la sua cifra stilistica.
Sani! è il titolo di questo nuovo progetto in cui testi, musica e canzoni s’intrecciano, tracciando un percorso di storie tra loro in apparenza lontane che gradualmente si collegano e si parlano.
Sani! è l’espressione usata come saluto, nella valle del Piave, una forma di augurio, una benedizione, una nota d’incoraggiamento. Oggi Paolini ne amplia il significato originale estendendolo a un augurio per un nuovo viaggio del teatro verso il futuro.
“Il punto esclamativo esprime la fiducia nella risposta al saluto da parte degli spettatori: guadagnarsi quella fiducia, trasmetterla – aveva detto Paolini presentando il suo nuovo lavoro – è la sfida di questo nostro nuovo incontro a teatro”. Fiducia che non fatica a guadagnarsi fin dal debutto visto che gli spettatori del Verdi hanno ricambiando prontamente il saluto con grande energia e un senso di liberazione da una rinuncia durata troppo a lungo e tenacemente riconquistata. Almeno si spera.
Questo nuovo spettacolo di Paolini, nato sulla traccia di “Teatro fra parentesi “, una produzione messa in cantiere nell’estate 2020, si basa su un canovaccio autobiografico che cuce insieme storie vecchie e nuove e che si è arricchito via via con canzoni e musiche. L’idea dell’affabulatore veneto è quella di un teatro-concerto. Non a caso condivide la scena con due artisti di indubbia professionalità e autorevolezza come Saba Anglana (voce) e Lorenzo Monguzzi (chitarra-armonica-voce) autori e interpreti delle musiche originali che fanno da contrappunto ai testi dello spettacolo. La musica, sempre presente negli spettacoli di Paolini, anche questa volta dà ritmo alla narrazione, sottolineandone i cambi di percorso, amplificandone i pensieri. Impresa neppure troppo difficile perché – come ha confessato Saba Anglana – “lui ha la musica nelle parole”.
Allestimento scenico essenziale per il palco (la potenza della parola può rinunciare alla tecnologia!) rappresentato da una sorta di castello di carte da gioco giganti (ricordano lo sfondo di un concerto di Fabrizio De André visto al Palaverde di Treviso nel marzo del 1997). Paolini esordisce con un flashback di ricordi e rimandi agli anni del boom economico.
Una narrazione in cui, con la consueta leggerezza e ironia, episodi autobiografici si incrociano con la storia di tutti (il richiamo agli Album scritti e messi in scena tra la fine degli anni 80 e il ’95 dedicati all’infanzia e all’adolescenza è chiaro). Un viaggio nella memoria per approdare a un presente in cui noi e il mondo in cui viviamo oggi ci ritroviamo diversi e più fragili. Tante storie che ci consegnato il ricordo di due autentiche icone del teatro e della canzone, due fuoriclasse del calibro di Carmelo Bene e Giorgio Gaber. Bene nello spassoso ricordo della fallimentare organizzazione, nel lontano 1983, di uno spettacolo una “Lectura Dantis” del divino attore, Gaber nella rilettura del “Sogno in due tempi” (testo presente nell’album “E pensare che c’era il pensiero” del ‘96) un racconto paradossale che, con ironia e comicità, spiega come possono cambiare punti di vista, atteggiamenti e convinzioni, di quanto egoismo e ipocrisia ci sia nella vita di ciascuno di noi.
Paolini mette l’accento sulla solidarietà, quella incontrata tra le macerie di Gemona dove da volontario approdò nel ’76. E’ una lezione piena di dignità e smisurata umanità quella ricevuta da una donna semplice come Rosina: lei che aveva perso quasi tutto eppure pronta a dare il poco rimasto, un caffè e un bicchiere di vino, a chi aveva scambiato la sua casa per un bar. Rosina che dopo tanti anni era tornata alla sua vita ma che faceva ancora fatica a ricostruire le abitudini. Una storia che ricorda questo anno difficile vissuto sconvolgendo ritmi e consuetudini che speriamo di ritrovare presto.
Gli argomenti e le storie sono tanti e in ciascuna Paolini rilancia motivi di riflessione sull’attualità, senza dare lezioni, né risposte piuttosto altre domande con l’intento di sollecitare negli spettatori un’impellente capacità di analisi e di coerente reazione. E cantando insieme a Saba e Lorenzo, Marco ci ricorda che “c’è bisogno di ritrovare il coraggio e la volontà, riprendi il tuo viaggio fino a dove sarà, ritrova pietà quel sogno tenace di vita di pace con noi viaggerà”.
E’ ancora un teatro fra parentesi che necessita di rodaggio e qualche aggiustamento ma con “Sani!” Paolini è comunque riuscito nell’intento di “fare in modo che il metro di distanza sociale tra noi si accorci e che i minuti si allunghino…” .
Sono le note del programma di sala a farci scoprire come chi sta sul palco sta vivendo questo tempo sospeso (La maschera e la mascherina). “…Spettatori ancora un po’ spaesati ma partecipano come possono, siedono e aspettano, battono le mani, se ridono quando ridono non si vede sotto la mascherina, un po’ si sente, ma com’è difficile che passi la corrente se tra un polo e l’altro c’è un metro di distanza. Il teatro va a corrente continua e si sa che a distanza la continua ha cadute di tensione”.
Ecco, speriamo allora di ritrovarla questa corrente continua!
Rita Bragagnolo © instArt