Federico Sirianni

Se è vero che le canzoni di un concept album ruotano attorno a un unico tema sviluppando con parole e armonie una storia, Maqroll di Federico Sirianni è un concept album dalla radice alla chioma. Il tema è affascinante, direi anche inquietante: l’incollocabilità. Liberamente ispirato ai romanzi dello scrittore colombiano Álvaro Mutis (Maqroll, gabbiere e altre ballate di mare) le trame si snodano attorno a una figura particolare di marinaio, quello che sta nel cestello in alto sull’albero maestro, il più solo ma anche quello che vede più lontano. Federico Sirianni, cantautore colto, raffinato ma nello stesso tempo ruvido e diretto, inserisce nell’opera un vasto compendio di citazioni passando dalle Sacre scritture a Borges, da Melville a Bulgakov, dipingendo un quadro a tinte forti, emozionante, con melodie che attingono acqua dal pozzo della sua creatività artistica ma anche dall’elettronica, da Leonard Cohen e da Tom Waits, giusto per cercare di dare un’idea a chi è interessato ad approfondire e ascoltare l’album. Il gabbiere Maqroll, protagonista della saga letteraria di Mutis, è “L’Ulisse che, arrivato a Itaca, decide comunque di imbarcarsi di nuovo e riprendere il viaggio”, “per la sola ragione del viaggio” come cantava Fabrizio De André. Col pretesto di narrare Maqroll, Sirianni canta il disagio passato, attuale e futuro di trovare una collocazione nel mondo, un luogo (osservo io) sempre più complicato e sempre più lontano da concetti di radicamento; insomma “il non sentirsi mai a casa”. Secondo Giorgio Olmoti: “L’incollocabilità è qualcosa che ti ritrovi addosso e quasi non scegli. È lei che ti viene a cercare in tenera età e non ti molla più. Quella maledizione di non saper stare fermo in un luogo, in una casa, in un lavoro a prescindere dai tuoi proponimenti e dalle tue reali possibilità”. Sono dieci le tracce che compongono questo bellissimo album, edito da Nota per la collana Block Nota. Il disco (formato booklet) è accompagnato da un libretto di 80 pagine corredato da testi, scritti, immagini fotografiche con l’illustrazione di copertina realizzata da Davide Fasolo. “Ho chiesto ad amici scrittori, fotografi, poeti e illustratori di regalarmi una loro testimonianza, ognuno nella propria forma espressiva” – dice Sirianni – Anna Lamberti Bocconi, Enrico Remmert, Vincenzo Costantino Cinaski, Guido Catalano, Saba Anglana, Luca Morino e altri compongono la “Ballata dell’incollocabilità”.

L’album si apre con “Maqroll, gabbiere”, brano che ci fa capire subito quali strade espressive ha scelto il cantautore genovese: tastiere, voce cantata ma anche voce narrante, echi, suoni evocativi ben strutturati e mixati con le sequenze di FiloQ e gli arrangiamenti di Raffaele Rebaudengo. “Quando l’uomo costruì la prima nave / guidato da uno spirito randagio / inconsapevole di quell’errore / avrebbe costruito anche il naufragio”. Seguono la ballata cupa “Una sorta di naufragio” (“La gente solidale si dava una mano a spostare l’aria / bruciando le coperte dei senza fissa dimora / dev’essere senz’altro una sorta di naufragio / quando da vecchi ci si arrabbia e ci si indigna per qualcosa ancora”) e “Pane e passione”, quest’ultima strutturata su un arpeggio di chitarra classica e interventi di archi molto efficaci, il tutto posato su una melodia dolce e forte.

“La quarta traccia “Per arrivare a te” assieme alla quinta “Lettere da nessun dove” costituiscono, a mio parere, il cuore pulsante dell’opera. In “Lettere da nessun dove” l’intreccio tra il testo e la melodia ha un effetto potente. Il tessuto musicale è moderno ma non “alla moda”, non è mai un “già sentito” e costituisce un ulteriore valore di questo disco. La padronanza nel plasmare le parole creando singolari rime e assonanze qui è a totale servizio dell’emozione. “Scrivo al cieco e leggo al sordo la verità vecchia e nuova / bevo insieme a chi la cerca e lascio il conto a chi la trova”, “Scrivo dentro un orologio millenario / dove il tempo è sabbia e grani di rosario / dove le tue labbra rinascimentali / seducono tra i righi delle tangenziali” “Scrivo la storia dei vinti / scrivo la fine annunciata / scrivo da nessun dove prima della ritirata”. Una grandissima canzone.

Seguono “Il mio amore sospeso” con un toccante intervento di clarinetto di Edmondo Romano, “La ballata dell’acqua”, il pezzo strumentale “La stiva dell’Alciòn” con la presenza di Andrea Nejrotti al Toy piano, “Ecco qui” e “Maqroll, alla fine (la disperanza)” “Di mare e di accettata rassegnazione / è disperanza / la disperanza che mi consolò”. Vanno sottolineati, in tutto l’album, i pregevoli arrangiamenti degli archi, curati da Raffaele Rebaudengo con la partecipazione di Elisabetta Bosio e Stefano Cabrera.

Ho incontrato Federico Sirianni, tra i tanti impegni artistici che lo stanno conducendo a promuovere il disco in un tour che dalla Sardegna passerà anche per Torino, Brescia, Milano, Como, Genova sperando di vederlo presto anche in Friuli, dove è stato prodotto, appunto, Maqroll.

Ciao Federico, ti chiedo subito: quante energie hai dovuto mettere in campo per realizzare un’opera complessa come Maqroll, dal concepimento alla realizzazione finale? 

Ciao Franco, direi molte energie. E’ stato un lavoro lungo, bellissimo e sicuramente faticoso; anche pericoloso, in un certo senso, perché, come potrai immaginare, a misurarsi con i “giganti” si rischia forte e c’è quasi sempre da perdere.

Nell’introduzione dell’album racconti il tuo incontro con la lettura di Alvaro Mutis come una sorta di folgorazione.

Sì, ed ero proprio dalle tue parti, a Udine, ospitato dai nostri comuni amici Giorgio (Olmoti) e Stefania. Cercavo qualcosa da leggere per addormentarmi e, nella bella libreria del piano terra, fra i tanti volumi, mi ha colpito un titolo “Trittico di mare e di terra”, che mi pareva buono per un menu da trattoria. L’autore Alvaro Mutis. Così ho iniziato a sfogliarlo e credo di averlo letto almeno tre volte di seguito in quella notte troppo breve, accogliendo l’alba insieme al mio nuovo grande amico, il gabbiere Maqroll.

Le canzoni sono state scritte tutte di getto oppure hai usato anche materiale che avevi già pronto e che si poteva inserire all’interno dell’album?

Da un po’ di tempo io e Giorgio (sempre Olmoti) ci interrogavamo su un tema che sentiamo particolarmente vicino, l’incollocabilità, quella sensazione che spesso coglie chi fa il mestiere del girovago, io a portare in giro le canzoni come un commesso viaggiatore e Giorgio i suoi racconti. Che non è solo un’incollocabilità geografica, ma a 360 gradi, emotiva, sentimentale, quella sensazione di appartenere a tanti luoghi contemporaneamente, ma al tempo stesso non appartenere completamente a nessuno di essi, con quella necessità di essere sempre altrove.

Su questo tema avevo scritto una canzone, una sorta di manifesto, “Lettere da nessun dove” ed è l’unico brano composto precedentemente al mio folgorante incontro col gabbiere. Da lì in avanti tutte le altre canzoni sono venute abbastanza di getto.

Hai utilizzato sonorità molto particolari per questo tuo album. Per me sono l’abito giusto per ciò che volevi comunicare. Ci racconti come avete sviluppato le idee nel comporre questo insieme?

Rispetto ai miei precedenti lavori che, a livello di sonorità, utilizzavano modalità più classiche, quasi da folk singer, in questo caso l’idea era di realizzare una sorta di colonna sonora più cinematografica che da canzone; volevo un rumore di fondo che creasse una sospensione dall’inizio alla fine del racconto e, dall’inizio alla fine, dare la sensazione di stare a pelo d’acqua, tra cielo e mare, di non toccare mai terra. E l’utilizzo dell’elettronica, sapientemente dosata dal producer FiloQ, credo sia stata un’ottima soluzione per rendere questo tipo di scenario.

“Per arrivare a te” racconta la fatica di ogni viaggio, la fatica di arrivare all’approdo. Cercavo tesori in relitti sommersi / esercitando gli annegamenti e le apnee / per arrivare a te. Il viaggio conduce sempre da qualche parte oppure a volte è solo uno dei tanti possibili modi di vivere?

Penso che ognuno di noi viaggi a proprio modo, persino stando fermo. Penso a scrittori come Salgari che hanno raccontato luoghi lontani ed esotici senza essersi quasi mai mossi dalla scrivania di casa o come il mio amico Peppo Parolini che, non avendo quasi mai viaggiato, se non per motivi carcerari, sapeva descriverti nel dettaglio un’azulejos dell’Algarve. Per quello che mi riguarda l’approdo è una possibilità, la partenza una certezza.

Scrivo i sottotesti soliti del solito amore interrotto / Scrivo dell’ombra dell’asino / Scrivo come scrive l’appeso / Con il sangue nella testa e un dolore sottinteso. Quanto c’è di autobiografico in “Lettere da ogni dove”?

In tutte le mie canzoni e, soprattutto, in questo nuovo viaggio, c’è molta autobiografia. Che è poi quella delicata alchimia fra il reale e il ricordo. Garcia Marquez diceva che la tua vita è quella che ricordi, non quella che hai vissuto davvero. Per cui l’autobiografia è una traccia su cui la fantasia e l’immaginifico lasciano le loro significative impronte.

Io assegnerei a “Lettere da nessun dove” il Premio per la “Migliore canzone d’Autore dell’anno” (Premio probabilmente incollocabile, anche lui, in quest’epoca un po’ nebulosa, e più in generale, nell’attuale contesto discografico). Sei legato a uno o più brani in particolare di “Maqroll”?

E io ti ringrazio molto, mi piace l’idea del Premio Incollocabilità. Sono sinceramente legato a tutti i brani del disco perché sono legato al disco nel suo insieme. Continuo a vederlo, in maniera forse un po’ datata, novecentesca, come un concept  le cui canzoni, è vero, possono pure vivere di propria vita, ma sono tutti capitoli di un romanzo, in questo caso con il supporto della musica.

Il senso di una carovana sta nel suo stesso eterno viaggiare”. Ci dici qualcosa della “disperanza” dell’ultima traccia di Maqroll?

La disperanza è un termine preciso, utilizzato da Mutis per per indicare una forma di superamento del disincanto, etica e lontana da ogni cinismo, in cui ogni lieve conquista dello spirito rappresenta una forma di bellezza e sorpresa. E’ la condizione esistenziale di Maqroll, dall’inizio alla fine del suo viaggio, ed è una condizione che sento profondamente mia. “Che la morte ci accolga con tutti i nostri sogni intatti”.

Federico Sirianni

La tua produzione musicale è molto ricca. Come collocheresti questo album all’interno della tua personale collezione artistica?

Come un’ulteriore evoluzione del mio lavoro, partito a inizi anni Novanta quando, forse ancora un po’ acerbo, venni invitato, anzi fortemente voluto da Amilcare Rambaldi sul palco del Premio Tenco. Da allora sono accadute tante cose: come il nostro gabbiere mi sono imbarcato in missioni senza possibilità di riuscita andando incontro a prevedibili naufragi, però ho viaggiato molto, ho conosciuto persone incredibili e visto luoghi bellissimi, sono cresciuto con la resistenza, la fatica e un quotidiano senso di bellezza datomi da un destino tutto sommato fortunato. De Andrè racconta che una volta, già famoso, andò a trovare un vecchio amico genovese, forse un falegname, non ricordo bene, che gli disse: “Tu ne hai fatta di strada, ma io ne ho fatti di sentieri”. Ecco, io mi sento esattamente come quel falegname, con tanti sentieri e tanta polvere nelle scarpe. E sono contento così.

Il tuo approccio alla musica è eterogeneo, eclettico. Potresti raccontarci quali sono stati lungo il percorso artistico i tuoi principali riferimenti?

Premesso che mia madre è stata un’ottima cantante e mio padre un giornalista piuttosto noto a Genova che conosceva la maggior parte degli artisti della città (e all’epoca non erano pochi, da Lauzi a Faber, dai New Trolls a Bindi e tanti altri), io ho avuto pochi riferimenti musicali e molti riferimenti letterari tanto che, alla fine, ce n’è uno che tengo profondamente nel cuore e che racchiude, forse più di altri, queste due anime, il grande e compianto Leonard Cohen.

Parafrasando uno splendido brano di Claudio Sanfilippo, in qualità di creatore di testi e di musiche, ti senti più sovrano o prigioniero?

Conosco la canzone di Claudio e, sì, è molto bella. Non saprei, forse un cattivo consigliere, come Jago.

Anche se non c’entra nulla con “Maqroll” vorrei che tu ci dicessi cosa pensi della scena musicale attuale italiana. C’è qualcosa che si sta muovendo nel campo della cosiddetta “musica d’autore”?

Fino a prima del Covid, insieme all’amico e collega Tiberio Ferracane, per qualche anno abbiamo creato una sorta di “contest” di giovani cantautori da tutta Italia, scoprendo delle eccellenti realtà che, come noi, vivono la difficoltà della divulgazione del proprio lavoro. Purtroppo esistono poche situazioni e sempre più di nicchia dedicate a questo compito e di nuovi Amilcare Rambaldi, cioè persone illuminate che possano creare una condizione di reale ascolto e promozione per le nuove leve, è difficilissimo, direi forse impossibile, trovarne.

Maqroll” ha preceduto un periodo difficile per tutti, in tutto il mondo, dal quale peraltro non siamo ancora usciti. La pandemia ha messo a dura prova anche il mondo della musica e dello spettacolo, in generale. Come hai vissuto personalmente questa fase?

Fortunatamente tutte le canzoni erano già pronte prima del primo lockdown. Questo periodo mi ha profondamente addormentato a livello creativo, ma è stato utile invece per lavorare sugli arrangiamenti e sulla produzione. Abbiamo avuto del tempo in più, abbiamo potuto scandagliare i fondali e curare i dettagli. Alla fine credo che nulla sia per caso.

Ci puoi parlare dei principali impegni già in programma che ti porteranno a presentare Maqroll?

Dopo le presentazioni estive abbiamo in programma numerosi concerti per l’autunno e toccheremo le principali città italiane con una puntata all’estero, in Svizzera, a novembre. Ci piacerebbe che questa navigazione durasse il più a lungo possibile.

 Grazie Federico, in bocca al lupo e a presto!

Chiudo consigliando l’acquisto del CD (vedi il link: https://www.nota.it/prodotto/maqroll/). I brani sono presenti anche sulle principali piattaforme internet, a partire da YouTube.