Nello stesso momento nel quale i Subsonica infiammavano l’Arena Alpe Adria di Lignano Sabbiadoro, a 60 km di distanza il “cuorcontento” di Giovanni Lindo Ferretti incantava il Music Village di Pordenone.
Due eventi in contemporanea che si possono intendere come simbolo della storia della musica italiana degli ultimi quarant’anni: dai clangori del post punk militante, fino ai clamori del post rock elettronico. La prova che è la medesima Fedeltà alla Linea che continua è soprattutto in due brani, anche a questi a loro modo simbolici. Il primo, che è dichiaratamente uno dei primi dei CCCP di Ferretti che alcuni dei Subsonica ascoltarono, è “Curami”, ossessivo, duro, claustrofobico colonna sonora della cupa disillusione e disperazione degli anni 80. Il secondo “Tu menti” è una delle prime cover che suonarono, ora presente nel cd bonus della riedizione di “Subsonica”, l’album omonimo del 1997 del quale il concerto di Lignano ha celebrato il venticinquennale.
Molte cose, naturalmente, sono cambiate da allora ma non il cuore che batte ancora forte.
Tra il pubblico dell’Arena, tutto tamponato, vaccinato e con regolamentare Green Pass, spiccavano “le ragazze degli anni ‘90”, quelle che venticinque anni fa danzavano inebriate nei locali e nei centri sociali sui primi ritmi di Boosta e soci e che oggi sorridono e splendono. C’erano anche molte ragazze giovani che in quegli anni non erano neppure nate, belle, selvagge e scatenate ma che devono ancora imparare a splendere.
Prima che l’esibizione iniziasse è comparsa sul palco la giovane Anna, piccola pasionaria goriziana di Fridays for Future, che ha esortato il pubblico a partecipare allo sciopero globale per il clima del 24 settembre p.v. Aveva ragione da vendere e giustamente Max Casacci durante il concerto le ha dato merito ma il suo discorso, pur pieno di passione, era infarcito di slogan piuttosto banali e stantii (“Se qualcuno qui si alza e balla da solo sembra uno scemo, se lo fanno in tanti, gli scemi sono quelli seduti”). La battaglia per il clima è sacrosanta come l’impegno e la dedizione di questi ragazzi è encomiabile, ma manifestare con ardore non è sufficiente se non si attua un radicale cambio di mentalità, assieme al riscaldamento climatico quello che va abbattuto è un intero sistema economico basato sul “Prodotto interno lurido” sullo sfruttamento, sul privilegio di cui fanno parte anche gli attivisti con l’iPhone 12 pro.
Ma torniamo ai Subsonica, durante una trasmissione radiofonica che hanno condotto qualche anno fa (Rai Radio 2 – Hit Parade 2015) dichiararono divertiti che s’accorsero d’essere diventati una band di successo quando per la prima volta videro un “porchettaro” ambulante vendere bibite e panini durante le loro esibizioni e poi quando comprarono le loro prime t-shirt “tarocche”.
A distanza di più di due decenni, a Notti in Arena c’era una app per non fare nemmeno la fatica di alzarsi dal posto numerato per far la fila chilometrica al chiosco; panino e birrone gelato arrivavano direttamente in platea su un vassoio. In realtà, poco è cambiato anche in questo caso.
Nemmeno Samuel, Max, Boosta, Ninja e Vicio sembrano essere cambiati moltissimo. Certo sono maturati musicalmente, hanno fatto migliaia di concerti, molti anche in giro per il mondo (“Siamo animalacci da palcoscenico e da sala prove” ha detto Samuel) ottimi dischi, alcune incomprensioni ma, nella buona sostanza, quello che li sostiene ancora è non aver perso la curiosità, la voglia di osare e sperimentare.
In questo non sono cambiati per niente anzi sono migliorati ed oggi possono permettersi di pubblicare un album come “Mentale Strumentale”(2020), rifiutato allora con sdegno dalla loro etichetta nel 2004 perché “troppo sperimentale e fatto solo di rumori”; è una sorta di manifesto di un retro-futuro fantascientifico che dimostra un’incredibile coerenza. Sempre Samuel ha dichiarato che: “I Subsonica sono sempre stati un gruppo che si è piazzato tra la musica pop, quella che vede la sua vitalità nella scrittura di canzoni, e un ambito più sperimentale, fatto di ricerca sonora, laddove il suono ha la stessa importanza della voce” (www.agi.it).
La parte, diciamo così, melodica della loro ispirazione la possiamo trovare nella seconda riedizione di “Microchip Temporale”(2019) nei vent’anni dalla pubblicazione. I brani del vecchio album sono rivisitati attraverso duetti con alcuni degli esponenti della nuova scena musicale italiana. Il risultato lampante è che i Subsonica non hanno proprio rivali e che Gemitaiz, Achille Lauro, Cosmo, Motta, Lo Stato Sociale ecc. sono solo poco più che comparse. Samuel e compagni possono stare ancora tranquilli.
Lo si è capito subito non appena sono saliti sul palco dell’Arena salutati da un’ovazione e da un ondata di autentica energia che veniva dal loro pubblico.
Subito è partita “Come Se”, dura e tagliente; prima canzone del primo album che la band ha voluto giustamente celebrare. “In questi giorni d’inchiostro legale, c’è una menzogna tagliata a verbale, che assurda non trova dissenso. Gioielli di Stato manette d’argento” sono versi che sembrano scritti oggi.
Nelle prime file una ragazza per prima da sola ha cominciato a cantare e ballare come una forsennata, piena di gioia e di energia; non sembrava una scema, si “sentiva vivere da sempre nelle storie di qualcun altro”, era una splendida “Funk Star”, si sentiva come “Shaft, come umm, come Starsky and Hutch” proprio come nella canzone. Giorgio Moroder con i suoi baffoni, ai bei tempi dei telefilm, le avrebbe certamente detto: “I Wanna Funk with you tonight”.
A proposito di fantascienza che è sempre stata uno dei punti cardinali della band, la postazione delle tastiere che Boosta utilizza dal vivo sembrano la plancia di un’astronave cyberpunk alla Matrix reloaded, con una parte sospesa su un enorme molla metallica che le fa ondeggiare e con l’altra a fare un vero e proprio muro di tasti che lo sovrasta di più di un metro come nemmeno Keith Emerson alla Royal Albert Hall.
Ma “Forse è così, io vivo fuori tempo” sono le “Cose che non ho, cose che non avrei potuto avere mai, e cose che non so, le cose che non ho, sono ciò che sono e non chiedono scusa”. Una splendida canzone tutta da ballare bella allora e splendida adesso; l’esperienza negli Africa Unite di Max non era stata invano, la forza del Reggae e del Dub non è ancora svanita; dalla Jamaica a Londra, musica fatta di suoni e di strumenti che parlano.
Segue una bella versione fusion di “Istantanee” in cui la sezione ritmica di Ninja e Vicio la fanno da padrone e sono subito le “Onde Quadre, distorsioni di colori in fondo agli occhi”. Le ragazze tra il pubblico continuano a ballare felici, alzando solamente una mano verso il cielo perché con l’altra tengono il telefono sempre acceso in una selva di lumini. In vent’anni qualcosa è cambiato. Samuel dice che di certo ci hanno fatto più male dandoci in mano uno smarthphone che vaccinandoci, un’ironia sottile del tutto condivisibile.
“RadioEstensioni” è dedicata ai tempi delle radio libere che ancora nei primi anni ‘90 resistevano come luogo di vera cultura musicale senza pensare troppo alle classifiche, alle vendite e agli sponsor. Eugenio Finardi aveva fotografato il fenomeno ai suoi inizi negli anni ‘70 con La radio (“E se una radio è libera, ma libera veramente, mi piace ancor di più, perché libera la mente”). I Subsonica, in un certo senso ne constatarono l’avvenuto decesso “Colonne sonore in libertà che tengono sveglia la notte e poi, riscaldano il giorno ritrovo un contorno, è saturo, è pregno, è degno di me.”
Molti tra i giovanissimi in Arena che pure cantano a squarciagola questi versi in mezzo ad una “tempesta elettromagnetica che li fa surfare su un’onda anomala” di ritmi e luci di un electro pop da “etere plastico”, le radiofrequenze libere non sanno nemmeno cosa sono ma fa piacere ugualmente che gli piaccia e anche parecchio. Ma i Subsonica lo sanno bene e in “Ratto” dicono “Hai pochi anni e già visto tutto, masticato un dolore per tutto, forse ieri chissà domani chissà, che il flusso ti porta via tutto, l’unica ambizione che hai è stare in piedi con un suono in testa che buca i pensieri”.
Continuando nella rassegna storica dei loro più grandi successi si scivola verso “Terrestre” del 2005, uno degli album che ha dato loro maggiore successo. Esplode energica e stellare “Abitudine” e tutto il pubblico balla. Fanno un po’ “voglia di morire” come nella canzone, le ragazze agè e fuori tempo massimo con tubino e zatteroni che ballano riprendendosi con il telefono girando in mezzo al pubblico facendo live sui social. “Ma come fare a dirglielo…solo incomprensione e lacrime”.
Sempre molto evocativa la canzone dedicata alla città che li ha visti crescere tra le nebbie avvolgenti (“Giungla Nord”) che finiscono per coincidere con Venezia la città attuale di Samuel. La prima con le sue geometrie precise e razionali tutta angoli retti e ipotenuse e l’altra a forma di pesce tutta calli, campielli e liquidi canali possono rappresentare le anime del gruppo e il loro stile urbano elettrico e notturno quanto tortuoso e fantasioso, ricco di melodie struggenti ma anche acido come la luce fredda di un neon.
Nel 2011 uscì l’album “Eden” un disco complesso, dopo un periodo complesso di un complesso, come ha detto Max. Il disco è un caleidoscopio di sensazioni e di momenti vissuti. Le canzoni sono immagini di vita che passa sui marciapiedi, sui portici e nelle piazze di Torino che è uno scenario perfetto e algido per storie d’amore con gli aculei. Ognuna delle ragazze del pubblico, non importa l’età, poteva immedesimarsi nella piccola “Istrice”, l’amata che si rimpiange nei versi dell’omonima canzone e infatti tra i salti e le grida qualche occhio lucido si è visto anche tra i maschietti che si chiedevano, tracannando l’ennesima birra per nascondere l’emozione: “Chi ci ricorderà? Chi ti farà ridere? Per chi ti smarrirai? Chi userà lo sguardo tuo? Chi lo farà al posto mio? Io dove sarò?”
Un particolare aneddoto lega il luogo del concerto di Lignano alla canzone “Incantevole”. Nel celebre video per la regia del monfalconese Massimiliano Maki Gherzi si vede una coppia di giovani a Praga, quasi incuranti di quello che succede intorno a loro, che, sotto una pioggia di meteoriti, continuano ad amarsi “Fuori è un giorno fragile ma tutto qui cade incantevole come quando resti con me”. I Subsonica si vedono in una trasmissione televisiva mentre suonano su un palco; è proprio l’Arena Alpe che fu teatro delle riprese di quella sequenza durante un tour.
Bella la riflessione prima del brano dedicato all’amore lesbico di “Eva Eva”, la cosiddetta “diversità” ormai non dovrebbe più essere nemmeno un argomento, nel senso dovrebbe essere una cosa talmente accettata e quotidiana da non discuterne nemmeno, ecco, appunto, dovrebbe…
Avviandosi a concludere la lunga serata di musica Max prende la parola per chiarire ancora una volta che i Subsonica fanno ballare e divertire ma che in loro batte un cuore autenticamente militante. Lo fa ricordando il quarantennale della scomparsa di Bob Marley che la loro musica cita continuamente, ma soprattutto i vent’anni dalla repressione criminale e poliziesca del G8 di Genova, una vergognosa macchia indelebile sulla nostra democrazia nata dall’antifascismo e dalla guerra di Resistenza che ancora oggi fa sentire i suoi effetti: con l’omicidio di Stato di Carlo Giuliani e i fatti della scuola Diaz si è segnato un punto di non ritorno nella storia sociale e politica italiana. Sperando che i ragazzi che ascoltano “Sole silenzioso” lo capiscano così come i loro genitori, “Danza la coscienza…batte il cuore, batte a fondo, gli occhi non ti si confondono, batte quando non è spento, dentro di te il sole silenzioso”.
Si è ballato e tanto ancora con Bottiglie rotte, Nuova ossessione, Strade, Il centro della fiamma concludendo poi nell’apoteosi della canzone più importante dei Subsonica, l’immortale “Tutti i miei sbagli” manifesto del movimento rock elettronico degli anni novanta che il pubblico ha cantato a squarciagola saltando con il gruppo dall’inizio alla fine. Un vero spettacolo.
Il momento più indimenticabile e galvanizzante è stato l’omaggio al nume tutelare di tutto il rock sperimentale, progressivo e colto del nostro paese che da poco ci ha lasciati, un Maestro anche per i CCCP di Ferretti di cui accennavamo all’inizio. La versione molto ruvida di “Up Patriots to Arms” che nell’intro ha un riferimento a “Fetus”, entrambe di Franco Battiato, è sembrata una vera chiamata alle armi della pace, un’esortazione rivolta a tutti ad impegnarsi nel sociale e nell’azione autenticamente politica che è anche e soprattutto quella del nostro vivere quotidiano, proprio in questi drammatici momenti nei quali qualcuno vuole farci credere che vent’anni di “democrazia” esportata a suon di bombardamenti e continue menzogne mediatiche non sono stati sufficienti. Come dice la canzone di Battiato: “L’Ayatollah Khomeini per molti è santità, abbocchi sempre all’amo, le barricate in piazza le fai per conto della borghesia che crea falsi miti di progresso”.
Flaviano Bosco © instArt