Udine, 29/05/2021 – Teatro Palamostre – Associazione Euritmica – Udin&Jazz Winter 2021 – ENRICO RAVA “SPECIAL EDITION”- Enrico Rava, tromba & flicorno / Francesco Bearzatti, sax tenore / Francesco Diodati, chitarra / Giovanni Guidi, piano / Gabriele Evangelista, contrabbasso / Enrico Morello, batteria – Foto Luca A. d’Agostino / Phocus Agency © 2021

Sold Out è una parola che di questi tempi assume significati molto intensi. Significa non solo rilevare la vendita di tutti i biglietti di un concerto ma, soprattutto vedere la soddisfazione sul viso di chi è riuscito ad assistere ad una performance a lungo sognata e attesa durante la prigionia da covid, vedere i loro sorrisi sotto le mascherine e intuire dagli occhi la felicità del pubblico.

Tutti noi abbiamo dovuto piegarci sotto il flagello dell’epidemia ma non ci siamo spezzati. La forza di ricominciare e la passione, la voglia di vivere e di tornare e qualche volta un pizzico di fortuna, hanno permesso alla farfalla della nostra anima (Psiche in greco) che spiega le sue ali leggere nel logo di Udin&Jazz Winter, di tornare proprio :”Right Back Wher We started From, Love is good, Love can be strong” come recitava una vecchia canzone delle balere di una volta (Maxine Nightingale)

“Questo è il mio primo concerto dopo il lockdown, non mi è mai capitato di non suonare per sei mesi nemmeno all’inizio della mia carriera. Sono stato fermo massimo quindici giorni, un mese ma sei proprio mai…sono *azzi amari”.
Ha concluso il proprio concerto al Palamostre di Udine con queste parole, Enrico Rava il ragazzo di 82 anni da compiere, primo e unico ad aver creato la via italiana al jazz che continua ancora oggi a sbalordire le folle ai suoi concerti con l’ inesausta creatività e  le delicate primizie che soffia nella sua tromba.

Da oltre dieci lustri, il trombettista, di lontana origine triestina, reinventa, riscrive, scopre, crea il sound della musica di derivazione afroamericana alla quale ha saputo unire moltissime altre suggestioni e influenze creando una New Thing in perenne mutazione tutta nostrana che quasi si contrappone allo stile più algido e protestatario che, in teoria, ha avuto la propria origine dai ghetti neri e dalle disperazioni metropolitane.
Molti sono quelli, dentro e fuori dall’Italia, che hanno cercato di imitare in modo pedissequo la Black Consciousness ispirandosi alla musica che l’ha guidata, ma non è proprio il caso dei musicisti della caratura di Enrico Rava che, pur avendo toccato con mano quella dimensione dello spirito nella sua giovanile esperienza americana, ha saputo trovare la propria personalissima via alle Blue Notes, e gliene va dato merito, gratitudine e riconoscimento.

Un’aura strana lo circonda e lo precede, è dovuta al suo raffinato ed elegante modo di porsi al pubblico con interpretazioni sempre di qualità eccezionale, senza cedimenti di sorta senza alcun calo di rendimento, sempre e comunque dimostrando la sua inarrivabile classe. Prova ne siano migliaia di concerti in tutto il mondo e altrettante incisioni. Tra queste se ne sono scelte due tra le tante possibili, due dischi davvero storici e, a proprio modo, simbolici con la casa discografica ECM che, momentaneamente, tracciano i due punti opposti della sua creatività ancora piena di futuro.
La prima del 1975 “The Pilgrim and the Stars”, la seconda dal titolo “Roma” che documenta un concerto nella città eterna del novembre 2018. Tra l’una e l’altra passano 43 anni di continua sperimentazione e di successi sempre accompagnato da musicisti scelti accuratamente tra i migliori sulla scena del Jazz internazionale.
Quello degli anni ‘70 era un confronto di Rava con le avanguardie della musica soprattutto nord europea che allora cominciava ad emergere in tutto il suo splendore (Abercrombie, Danielsson, Christensen).
L’ultimo, considerato il miglior disco Jazz 2019 da una prestigiosa rivista del settore, è un dialogo del trombettista con alcuni amici davvero fidati (Joe Lovano, Giovanni Guidi, Dezron Douglas, Gerald Cleaver). Tra i due dischi una meravigliosa carriera, una vita intera.

“Quando scelgo un musicista per la mia band, chiamo solo quelli che amo e dei quali ho fiducia musicalmente. Gli permetto molta libertà perché ho fiducia in loro, devo fidarmi di loro, e loro di me, a quel punto tutto è possibile” (ecmrecords.com)
La band che lo ha accompagnato sul palco del Palamostre di Udine davvero ispira fiducia e, senza dubbio, merita di vedere la luce in più di un’incisione d’altissimo livello. Quello di Rava a Udin&Jazz è davvero un ritorno a casa. In sala c’era almeno una generazione di musicisti appassionati e artisti della musica a vari livelli che il trombettista ha letteralmente “allevato e cresciuto”con i suoi gruppi. Enrico Rava seguendo lo stile di vita di uno dei suoi maestri dichiarati, Miles Davis, si è sempre circondato di giovanissimi talenti del Jazz costruendo nei decenni una scena musicale fatta a sua immagine e somiglianza.
Non possiamo chiamarlo semplicemente talent scout, Rava è un autentico Demiurgo, creatore di mondi. Non è retorico continuare a ripetere che senza di lui il jazz italiano non esisterebbe nemmeno, non avrebbe una propria voce definita e distinguibile.
E’ vero che, per fortuna, il nostro paese è ricco di eccellenti realtà musicali e lo è sempre stato ma, se ci riflettiamo bene, senza il magistero di Rava il panorama sarebbe del tutto diverso. Non è possibile citare in poche righe i centinaia di musicisti che ha formato nei suoi gruppi e che ora calcano con straordinario successo i palcoscenici di tutto il mondo. Ci limiteremo a citare due esempi che riguardano direttamente Udine&Jazz.

Milano, 1994 – Il Rava Electric Five alle Scimmie di Milano – Foto Luca d’AgostinoPhocus Agency © 1994

Indimenticabile l’esperienza con gli Electric Five che nei primi anni ‘90 ha imposto con le sue meraviglie una decisa sterzata alla direzione della musica nel nostro paese ed ha segnato indelebilmente il Jazz in Friuli Venezia Giulia; Umberto Trombetta Gandhi era, l’altra sera, tra il pubblico ma con il cuore è sempre dietro alle bacchette su quel palco insieme al suo Profeta. Per non parlare del Maestro della luce Luca A. d’Agostino che, in buona sostanza, era solo un ragazzo ai primi scatti quando Rava cominciò a credere nelle sue doti di fotografo di scena e di artista del diaframma.
Come non parlare di Stefano Bollani, Polo Fresu e Roberto Gatto che facevano parte del suo Quintetto insieme a Enzo Pietropaoli che tanti ricordano suonare le musiche di Davis in un meraviglioso concerto estivo ai Giardini del Torso di Udine (26/06/2001). Fermiamoci prima di lasciarci andare a languide ma sterili nostalgie.

In mezzo a tanti ragazzi del jazz, sul palco di Udin&Jazz Winter il più giovane di tutti è sembrato proprio Enrico Rava che pur essendo ormai annoverato, come dicevamo, tra i Patriarchi della musica italiana, dimostra una freschezza e una creatività sbalorditive. Solo qualche giorno fa il mondo ha celebrato gli ottant’anni del ragazzo di Duluth, Bob Dylan che non smette di stupire con la sua arte, ma anche il pubblico del Palamostre ha potuto apprezzare che il talento di un autentico genio non ha proprio età.
Indiavolato fin dalle prime note il quintetto di Rava si è lanciato in una sulfurea sarabanda dai ritmi velocissimi che, senza soluzione di continuità, saettava dai ritmi sincopati della bossa nova, imbizzarrendosi sulle note creole per poi darsi pace nelle arie più struggenti alla maniera di Chet Baker per poi ripartire ancora saettando in psichedelie latine d’incerta ortodossia.

Si sentiva spesso Francesco Bearzatti esplodere in tutta la sua forza di bucaniere dell’ancia battente semplice; è proprio un fenomeno dietro il suo sassofono tenore, un eroe di questi giorni in musica e di molti altri che verranno.
Rava rispondeva, da par suo, con altrettanta energia unita a quell’eleganza che gli è universalmente riconosciuta, alternando il flicorno alla tromba. Erano suoi i refrain e i richiami all’ordine. Lanciava un tema, lo elabora e poi lasciava suonare liberi i propri musicisti che osservava e guidava con gli occhi e i gesti delle mani, esattamente come lo sciamano elettrico Miles Davis tanti anni fa.
Valorizzava in questo modo le straordinarie doti di Giovanni Guidi, pianista di eccezionale talento che lo segue ormai da oltre un decennio in incisioni e concerti. Evidente la sua formazione classica e accademica che però abilmente stempera in uno stile spesso percussivo e allo stesso tempo melodico, morbido e dolce, privo delle asperità e contratture che definiscono tanto jazz a 88 tasti di derivazione afroamericana. Quello di Guidi è un talento gioioso e a volte perfino ilare che sa però scalare anche le vette di un iperbolico romantico lirismo, come si è visto durante il concerto in un brano per solo piano e tromba. Più spesso però faceva esplodere libera la sua felice interpretazione “bambina”di ritmi e di tropicali dolcezze, tutto afro-cuban-jazz-moods.
Intenso e a tratti lisergico è apparso il lavoro del plettro del luciferino Francesco Diodati con la sua fantastica Fender JazzMaster Ice Blue Metallic che si merita tutto il suo dirompente carisma.
Di grandissimo impatto anche la sezione ritmica impegnata duramente nelle continue accelerazioni e negli impetuosi cambi di direzione e di battuta. Addirittura scatenato è stato il contrabbasso di Gabriele Evangelista, senza mezzi termini e sempre al suono del cannone. Sulle stesse frequenze Enrico Morello che ha però anche saputo dimostrare la grazia delle sue spazzole e la morbidezza felpata delle sue bacchette.

Nel primo bis concesso al pubblico un’incantevole versione di “Quizás, quizás, quizás”, del cubano Osvaldo Farrés (1947) interpretata da legioni di grandi artisti tra i quali Nat King Cole e Dorys Day fino a Mina: “Siempre que te pregunto. Que, cuándo, cómo y dónde. Tú siempre me respondes: Quizás, quizás, quizás”.
Un concerto così non si dimentica facilmente, Udine&Jazz Winter archivia un altro capolavoro di istanti in musica della sua decennale collezione.

Infine, ma non meno importante, è il caso di fare almeno un riferimento agli straordinari tecnici e alle maestranze che prestano il loro talento e la loro abnegazione per la riuscita della manifestazione e che hanno avuto la possibilità di formarsi e di crescere anche grazie al festival nel corso degli anni. E’ anche grazie al loro sacrificio se tutti gli spettatori possono finalmente accomodarsi sulle poltrone riservate e godersi di nuovo i loro sogni sul pentagramma.
Alla fatica dei tecnici, già prima gravosa e spesso ingrata, si aggiungono ora anche l’autentica tortura fisica di un tampone antigenico a pagamento ogni 48 ore e severissime norme anticontagio.
Sacrosanta è la prevenzione con tutte le sue norme e i distanziamenti ma non è di certo giusto e nemmeno salutare accanirsi su certe categorie di lavoratori mentre altre vengono inspiegabilmente graziate.
A noi non resta che porgere tutta la nostra solidarietà e il rispetto a questi straordinari lavoratori dello spettacolo che prestano la loro opera affinché la musica possa trovare il modo di curare tutte le nostre ferite fisiche e spirituali. Forza ragazzi!

© Flaviano Bosco per instArt