In un futuro Aprile arriva nella nuova sala Eden del Visionario di Udine il primo giorno della riapertura dei cinema dopo il Lockdown disastroso della terza ondata di Covid 19, ed è davvero un paradiso. C’eravamo lasciati mesi fa, stessa sala, stesso cinema con Fellini 8 e 1/2 che faceva parte della rassegna dedicata al centenario felliniano spezzata barbaramente dall’epidemia; ci ritroviamo con un documentario-intervista dedicato agli anni friulani di Pasolini che, cinematograficamente, è stato considerato il figlio perduto del riminese e non senza ragione, di certo Fellini nutriva per il suo consulente di Le notti di Cabiria, Lo sceicco bianco, La Dolce Vita, un sentimento davvero paterno.

Il film dei due giovani registi Federico Savonitto e Francesco Costabile è una sorta di elegia pasoliniana che ha come filo conduttore una lunga intervista, l’ultima, a Nico Naldini, cugino del poeta, suo biografo e grande scrittore lui stesso.

A partire dalle sapide parole di Naldini, che conservava una godibilissima verve, un eloquio splendido e divertente anche in tarda età, il film racconta in senso cronologico i primi anni friulani di Pasolini tra bucoliche esplorazioni della campagna e della sessualità, i terrori della Guerra Mondiale, la pittura, le prime poesie, la scoperta della politica e della propria vocazione di intellettuale. Niente di nuovo che non sia già stato raccontato mille altre volte anche sul grande schermo ma i due registi ci mettono una sensibilità del tutto inedita che cambia decisamente la prospettiva.

Il Friuli che viene mostrato attraverso gli occhi del giovane Pasolini non è mai esistito, lo sappiamo bene e lo sapeva anche lui. E’ una costruzione poetica, un arcadia classicheggiante che contrappone il mondo perduto della civiltà arcaica e agricolo pastorale tutta zufoli e tramonti, al consumismo apertamente fascista della modernità.

Che quel Friuli sia stato poesia di pura luce non significa però che non sia stato e non sia reale. Anche la contrapposizione tra mondo della letteratura e mondo fisico concreto è del tutto fasulla. L’unica realtà che esiste davvero è quella che immaginiamo e che sogniamo, il resto è solo un’illusione percettiva, ce lo dicono perfino i neuroscienziati che sono gli ultimi ad averlo capito.

La nostra vita è sogno e non serve scomodare un grande poeta spagnolo caro anche a Pasolini per dimostrarlo. Solo i poeti sono in grado di trovare le parole giuste che rendono vivo il nostro presente, l’unica realtà che possiamo azzardarci a definire autentica è quella indicata-evocata dalla poesia. Nel Vangelo di Giovanni, tra i primi versetti, è scritto: “In principio era il verbo…Tutte le cose per mezzo di lui furon fatte” è la parola che ha creato il mondo non il contrario.

Tutti gli sragionamenti che riducono il Friuli agro pastorale, arcadico e caravaggesco di Pasolini solo ad un vagheggiamento borghese e accademico di un intellettuale gaudente e fuori dal mondo, sono destituiti d’ogni significato e non riescono a penetrare l’universo della poetica pasoliniana. Come è messo in scena nel documentario, il suono del violino (Ciaccona BWV 1004) in una povera casa di contadini sfollati dai bombardamenti che si scaldano attorno al focolare, diventa la voce umana come una nota cantata infinitamente tra la carne e il cielo. A chi sa ben guardare e ben ascoltare un campo di pannocchie, una vigna, i fossi ricordano i Campi Elisi ma chi vive con il grugno costantemente affondato nel truogolo non vedrà altro che una squallida broda da ingurgitare, digerire e defecare.

Racconta Nico Naldini nella sua ultima intervista prima della morte, che con l’arrivo di Pasolini a Casarsa cominciò il periodo più bello della sua vita. I due giovani cugini-poeti se ne andavano con le loro biciclette di paese in paese, tra le osterie e i balli campestri alla ricerca d’illuminazione e di amore sensuale in tutte le sue sfumature. Una sera, tornando da un paese dall’evocativo toponimo di Malafesta, erano talmente pieni di languore felice alla Garcia Lorca che Pasolini disse “andiamo sul letto del Tagliamento e ci tagliamo le vene”.

Questo è lo spirito che pervadeva quei giorni “adolescenti” nei quali si formò poeticamente lo spirito del poeta di Casarsa. Momenti, mesi, anni di un “amore romanzato e fantastico per la terra di mia madre” come dice lo stesso Pasolini. Susanna Colussi in Pasolini era originaria di Casarsa, in quel paese era ed è la sua casa e le sue radici, in quel cimitero è sepolta accanto a Pier Paolo, non lontana da Guido, l’altro suo figlio morto partigiano, fucilato dai propri fratelli di lotta nell’assurdo eccidio di Porzus. Riposa in quella terra anche Carlo Alberto, l’uomo che mai amò, che l’adorava e che fu il padre dei suoi figli.

Sappiamo bene quanto l’amore tra Pier Paolo e Susanna fosse intenso e indissolubile; la meravigliosa “Supplica a mia madre”, citata nel film è contenuto il senso di quello che andiamo dicendo:

E’ difficile dire con parole di figlio

ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.

Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore

ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.

Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:

è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.

Sei insostituibile. Per questo è dannata

alla solitudine la vita che mi hai data.

E non voglio esser solo.

Ho un’infinita fame d’amore, dell’amore di corpi senza anima.

Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu

sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:

ho passato l’infanzia schiavo di questo senso

alto, irrimediabile, di un impegno immenso.

Era l’unico modo per sentire la vita,

l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.

Sopravviviamo: ed è la confusione

di una vita rinata fuori dalla ragione.

Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.

Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…

Noi siamo in quel futuro aprile; la proiezione del film, al Visionario, ha avuto luogo il giorno dopo la Festa della Liberazione, non poteva esserci giorno migliore.

La prospettiva dei due registi ha traguardato proprio questi due topoi simbolici della formazione della poetica pasoliniana: il poetico amore per la terra madre friulana che per lui non era Patria ma Matria, e poi l’impegno politico e sociale per gli ultimi, nato nelle tragedie della Resistenza e nelle lotte sociali nei campi del Friuli. Come dice Naldini: “Da democristiano socialisticheggiante a militante comunista, presidente della sezione del P.C.I. di San Giovanni di Casarsa, grazie alla frequentazione con il grande pittore rivoluzionario Giuseppe Zigaina”.

Il documentario, che si avvale di molti materiali d’archivio, ha una fotografia setosa e piena di luce. Molte immagini sembrano prese direttamente dai film di Tarkovskij e sembrano non tenere minimamente in conto l’estetica cinematografica di Pasolini interpretando tutto attraverso la poesia.

Molto interessante la riflessione sulla lingua friulana e sulla sua forza eversiva. Come dice Naldini, la scelta del cugino di fondare una piccola accademia, di scrivere e pubblicare nella parlata di Casarsa è stata soprattutto politica.

Nella pseudocultura fascista imperante in quegli anni, prima e dopo la seconda Guerra mondiale, quando, con il pretesto dell’unità nazionale, si schiacciavano sotto il tallone di ferro le tante parlate e culture delle genti italiane, fare poesia dialettale o nelle lingue altre dell’italiano era assolutamente rivoluzionario. Contrapporre alla mediocrità della lingua burocratica italiana la forza esplosiva del dialetto, proprio come dice Naldini, era ed è un atto di vera e propria Resistenza alla protervia del potere massificante.

Davvero pittoriche, eleganti e di pura luce le immagini dei giovani che si tuffano nel fiume Tagliamento o che si estasiano tra le pannocchie; sono immagini sensuali e oniriche. Certo i ragazzi appaiono troppo belli e levigati nella loro “pubertà facinorosa” ma la loro immagine si sposa benissimo con la lettura dei primi ricordi erotici del poeta riassunti nell’infantile “Teta veleta” con cui da bambino indicava la seduzione e in solletico che gli dava osservare le gambe guizzanti dei ragazzi che correvano, fino a perdersi nell’incavo interno delle loro ginocchia e nello strano piacere che gli procurava.

Intenso ma relativamente disincantato il racconto dei “scandalosi fatti di Ramuscello” che causarono l’esilio romano del poeta e che si risolsero, dopo anni di processi e di pubbliche condanne, nel niente che erano fin dall’inizio.

Come dicevamo più sopra, quel Friuli arcaico e meraviglioso forse era solo nell’immaginazione e nella penna di Pasolini, di certo oggi non esiste che nei ricordi. Una meravigliosa sequenza del documentario, riassume questo mistero in pochi fotogrammi. Prima si vede ciò che resta delle misere case contadine che facevano la gioia di Pasolini e poi in contrapposizione una modernissima villetta padana con tanto di piccolo rasaerba robotico in azione. La civiltà dei consumi che faceva tanto orrore al poeta e contro la quale ha sacrificato la sua stessa vita si è divorata “bestie e campi” nel breve spazio di qualche decennio, i ragazzetti poverissimi che si tuffavano nel Tagliamento sono diventati tanti idioti lampadati molto social con il fisico palestrato.

Naturalmente stiamo generalizzando e il film si guarda bene dal farlo. Il Friuli non è solo questo, l’impronta e l’esempio di Pasolini hanno agito in profondità nella cultura di quei luoghi, tanto che l’opera del poeta continua a germogliare nelle terre friulane in continue riletture, approfondimenti, interpretazioni, ultima solo in ordine di tempo quella del poeta Franco Polentarutti e degli Autostoppisti del Magico Sentiero che con la loro opera musical-poetica meticcia e contaminata “Pasolini e la peste” fanno ancora una volta i conti con il poeta di Casarsa, ne parleremo presto.

Il documentario dedicato a Tarcisio Guadagnini e ad Angela Felice del centro studi PPP di Casarsa si chiude con l’ultimo, mesto, postremo ritorno di Pasolini nella sua Casarsa con quei funerali che hanno segnato per sempre la storia italiana. A seppellire il partigiano Pier Paolo Pasolini un altro resistente autenticamente friulano come Padre David Maria Turoldo, figlio di Coderno, della povertà francescana e poeta.

Ancora nelle parole di Pasolini sfumano le ultime sequenze:

Così giunsi ai giorni della Resistenza/ senza saperne nulla se non lo stile:

Fu stile tutta luce, memorabile coscienza/di sole.

Non poté mai sfiorire,

neanche per un istante, neanche quando/l’Europa tremò nella più morta vigilia.

Fuggimmo con le masserizie su un carro/ da Casarsa a un villaggio perduto

Tra rogge e viti: ed era pura luce/ Mio fratello partì, in un mattino muto

di marzo, su un treno, clandestino,/ la pistola in un libro: ed era pura luce.

Visse a lungo sui monti, che albeggiavano quasi paradisiaci nel tetro azzurrino

del piano friulano: ed era pura luce./ Nella soffitta del casolare mia madre

guardava sempre perdutamente quei monti, /già conscia del destino: ed era pura luce.

Coi pochi contadini intorno vivevo una gloriosa vita di perseguitato

dagli atroci editti: ed era pura luce…(da La Resistenza e la sua luce, ne La religione del mio tempo, 1961)

© Flaviano Bosco per instArt