Alvise Nodale è un cantautore già noto nel panorama della musica friulana. Seppur giovanissimo ha già pubblicato il bellissimo CD di esordio “Conte flame”, seguito da “The dreamer” ed ha collezionato una serie di collaborazioni con altri artisti, tra le quali ricordiamo quelle con Lino Straulino, Cinque Uomini sulla Cassa del Morto, Nicole Coceancig e Cristian Mauro. Recentemente ha partecipato all’opera collettiva Lis lotis dal Cormor (collana Block Nota) con il brano “Las rostes dal Cormor”.
In questo lungo periodo di isolamento forzato, che ha limitato se non escluso la possibilità di suonare dal vivo, Alvise ha pensato di rivistare alcune canzoni della tradizione popolare della sua terra, e così è nato Zornant. Le ha rivisitate con il suo stile, colorato da accordi, riff e arpeggi sempre molto delicati e armoniosi. Chitarre, mandolini e bouzouki creano intrecci molto efficaci ed emozionanti, assieme alla voce dal timbro particolare, che non teme l’invadenza del microfono.
Zornant è suddiviso in nove tracce, tra le quali ricordiamo “Fasin un cjant”, “Aghe aghe benedete”, “Done mari” (in una versione che si aggiunge a quelle già proposte da La Sedon Selvadie nell’album “Il cil da l’Irlande” prodotto da Massimo Bubola nel 2003, da Luigi Maieron e da Loris Vescovo), “Dait un pic” (con dinamiche molto azzeccate, simili al modo di cantare in compagnia) e “La biele stele”: pur essendoci abituati ad ascoltare quest’ultima in una splendida armonizzazione per coro, il risultato è molto toccante.
E’ un viaggio attraverso le radici della musica popolare della terra friulana che evoca serenità, intrapreso con maturata consapevolezza, in uno stile decisamente personale e mai invadente.
Abbiamo chiesto direttamente all’autore di spiegare il percorso seguito per la registrazione dell’album, che per ora, come vedremo, è presente solo in formato digitale.
Alvise, hai voluto interpretare a tuo modo una serie di canti popolari della tua terra. Raccontaci come è nata questa tua idea.
In un certo senso ho sempre saputo che prima o poi avrei prodotto un disco interamente dedicato alle canzoni popolari del Friuli, la vera domanda era “quando?”, sembra che quel tempo sia finalmente arrivato. Ho sempre avuto questa convinzione perché sono molti anni che suono e “studio” queste canzoni e diciamo che sono quelle che più di tutte si avvicinano alla mia idea di “Musica”, oltre ad essere una parte fondamentale del mio percorso di musicista. Alcuni arrangiamenti di questi canti sono presi dal periodo del Cressi Experience quando al circolo “Cressi – anche i grandi crescono” di Cercivento con l’aiuto di Giulio Venier riarrangiavamo canti popolari di un po’ tutto il mondo, ma i miei preferiti da suonare sono sempre stati quelli nostrani. Diciamo che ho cercato di “evolvere” un po’ questa idea nata tempo fa, ecco.
Ci spieghi perché il titolo dell’album è Zornant?
Mi sembrava azzeccato, essendo una parola dal sapore (almeno per me) un po’ antico. È un verbo che non si usa più, un po’ come i canti contenuti in questo album e significa “cantando”, più nello specifico è il cantare degli uccelli all’alba prima di iniziare, per l’appunto, la “zornade”. Il titolo comunque è venuto dopo aver scelto la bellissima foto di copertina che Nicola Silverio mi ha permesso di utilizzare. Quel pettirosso è stata un’ottima fonte di ispirazione per questo titolo!
Il repertorio dei canti popolari friulani è una miniera. Come hai scelto i brani?
Inconsciamente credo di aver scelto dei brani che rispecchiano un po’ lo stato d’animo che, credo, molti di noi (se non tutti) stanno vivendo in questo periodo, in cui si sente fortemente la mancanza delle persone e del contatto umano. Molti di questi canti parlano infatti di amori lontani, di partenze e di domande che riguardano le persone a cui si vuole bene ma che non si possono vedere. Più praticamente ho scelto questi brani perché sono quelli che suono da più tempo e ai quali sono più affezionato… Ma ce ne sarebbero ancora molti in effetti, la lista è bella lunga!
Quali brani del tuo CD possono essere classificati con il marchio “Carnia DOC”?
Direi un po’ tutti quanti, ma in particolar modo sicuramente “Fasìn un Cjant” e “La Biele Stele” le cui registrazioni originali vengono da Cleulis.
Rispetto alla tua produzione passata, sono presenti voci aggiunte, parti corali. Secondo me arricchiscono le melodie. Cosa ne pensi?
Sono assolutamente d’accordo, l’idea è stata anche quella di restare più fedele possibile alle versioni “originali”, nel senso che questi erano proprio canti, la maggior parte delle volte senza accompagnamenti strumentali, quindi solo vocali o corali e visti in questa prospettiva mi hanno sempre dato un fortissimo senso di comunità. Anche le ripetizioni del testo non sono casuali, lo si faceva per permettere a chi non sapeva le parole di aggiungersi al coro. Poi le melodie si prestano benissimo per questo tipo di lavoro, sembra quasi che te lo chiedano loro di venir cantate a più voci.
Chitarre, mandolini, bouzouki. Questa volta hai fatto tutto da solo…
Sì, stavolta mi sono sbizzarrito da solo, prevalentemente perché, visto il periodo, è difficile lavorare con altre persone. Proprio per questo, come molti altri, mi sono adoperato per poter anche io “lavorare da casa” costruendomi un piccolo “home studio” in cui ho registrato e mixato tutte le parti di tutte le canzoni. Il progetto originale, infatti, non doveva essere un intero album, ma una manciata di canzoni per poter sperimentare da me il vasto mondo della produzione, poi, come spesso mi succede, mi sono lasciato prendere la mano ed eccoci qui. Magari si sente che il risultato non è professionale al 100% ma credo sia piuttosto dignitoso tenendo conto che è stato prodotto in una camera da letto! In ogni caso ho chiesto molti consigli e pareri a gente molto più esperta di me nel campo e ho lasciato il master a Leonardo Duriavig che mi ha dato una grande mano anche a livello di mixaggio con i suoi preziosi suggerimenti.
Mi permetto di affermare che la qualità sonora dell’album è ottima. Al giorno d’oggi gli “home studio” consentono di ottenere buoni risultati in presenza di buona strumentazione. Tornando alle canzoni… Già altri artisti friulani nel passato si sono cimentati nella rivisitazione di brani popolari. Hai avuto dei punti di riferimento?
Sicuramente ho avuto i miei maestri per questi brani. Uno fra tutti è l’immancabile Lino Straulino da cui ho imparato tanto e a cui ho “rubato” molto, “Fasìn un Cjant”, “Chê da Murae” e “Al vaive envje il Soreli”, sono canzoni che ho imparato più o meno direttamente da lui. Poi c’è stato Giulio Venier che mi ha insegnato “Aghe Aghe”, la “Nine Nane” e “Dait un pic”. “Done Mari” l’ho sentita per la prima volta suonata da Loris Vescovo e “La Biele Stele” l’ho ascoltata almeno mille volte nell’album Straulino – Fedele – Vescovo che per me resta un capolavoro della produzione della nostra regione. Però ad essere sincero la vera spinta per questo lavoro viene dall’estero, perché ci sono molti artisti giovani, o comunque contemporanei che ripropongono in questa chiave così semplice e acustica la loro musica popolare e mi sono detto: “Se loro possono perché io no? La nostra musica tradizionale non ha proprio niente da invidiare alla loro!” Penso che John Smith con il suo “Hummingbird” e i due fratelli irlandesi degli Ye Vagabonds siano stati una forte ispirazione in questo senso.
Sei partito con “Conte Flame”, una raccolta di brani originali e a distanza di qualche anno hai sentito la necessità di tornare alle radici. Quanto è importante per te mantenere le radici in questo momento di grande trasformazione della Società?
Credo che sapere da dove si viene sia fondamentale per capire dove si sta andando e questo per me vale sempre. Penso sia anche un valido modo per aiutare un territorio, conoscendo a fondo un posto sai quali sono i pro e quali i contro, i pregi e i difetti, potendo così colmarne le lacune, prendendo anche esempi dall’esterno.
Hai prodotto e registrato Zornant in un periodo difficile per tutti, sapendo che (almeno a breve) non sarà possibile proporlo in un concerto. La domanda è inevitabile. Come stai vivendo in qualità di musicista questa crisi sanitaria che non permette di esibirsi dal vivo?
Come ho detto in una delle domande precedenti sono in fase “esplorativa” sto sperimentando altre cose che non avrei tempo di fare se avessi concerti o prove… Di cui sento comunque una mancanza incredibile! Sto imparando, per esempio, a registrare e a produrre, ma anche a suonare qualche nuovo strumento, come il piano, il mandolino o il basso… Ho persino ripreso un po’ in mano la chitarra elettrica! Ti dirò, mi sto anche divertendo, ovviamente non è come suonare dal vivo, l’emozione non è neanche lontanamente la stessa, però si fa quel che si può per tenersi occupati ora che c’è un bel po’ di tempo a disposizione. In tutto questo un pensiero va ogni giorno alla speranza di poter presto tornare a suonare live, magari presentando per bene questo album e, perché no, anche dargli una forma più “fisica” stampandone qualche copia.
Sei legato a un brano in particolare? E se sì, per quali motivi?
Sono legato a tutti i brani di Zornant, ognuno per un motivo diverso, ma sicuramente quello che sento più “mio” è “Fasìn un Cjant” che ormai mi porto dietro da ben prima di “Conte Flame” o di qualsiasi altro progetto musicale. Me l’ha insegnata Lino che avevo sì e no 7 anni… Non avevo neanche mai preso in mano una chitarra!!
Grazie Alvise per il contributo artistico che continui a dare alla musica e, in particolare, all’arricchimento del materiale espresso in +–lingua friulana.
Nota importante. Chi è interessato a dare un sostegno al nuovo album di Alvise Nodale può farlo scaricando ad offerta libera il disco o le singole canzoni a questo indirizzo: https://alvisenodale.bandcamp.com/album/zornant