Avevamo avuto modo di apprezzare e recensire su questa stessa rivista l’esibizione live di Gian Luca Belluzzo, in arte AnzwArt, che nell’ultima edizione di Sexto’nplugged apriva il memorabile concerto di Teho Teardo dedicato al genio e all’arte di Man Ray.

Allora la performance, pur notevole, era sembrata ancora acerba, ricchissima di idee ma non ancora perfettamente rifinita. Quello è un palco difficile e il confronto con il Maestro di Ellipses dans l’harmonie e tante altre avventure era improponibile e ingiusto. AnzwArt aveva subito fatto capire di avere la stoffa del musicista disegnando con i suoni la notte e le note di quel brandello di concerto sul sagrato dell’antica Abbazia.

Conferma il suo talento in progressione esponenziale l’uscita di questa sua prova discografica voluta da una piccola ma combattiva etichetta discografica che ha scommesso sulle sue capacità vincendo a mani basse, vista la qualità dell’incisione e le ottime suggestioni che derivano dai brani.

La musica del performer pordenonese appare del tutto piacevolmente destrutturata, filtrata e opaca, a momenti algida e minerale come uno spazio atmosferico attraversato da lampi di elettricità statica, cui si sommano e sostituiscono momenti di vigile attività conscia che finiscono per svanire in allucinatorie ed ipnotiche sequenze.

Complessivamente, nonostante queste ottime premesse, l’effetto sonoro però non riesce mai ad essere abrasivo e disturbante e forse nemmeno lo vuole. Questo, se è un limite dal punto di vista dell’elettronica più spinta e ultra-ortodossa, si rivela indubbiamente un pregio per chi ricerchi un’atmosfera morbida con paesaggi sonori spesso soffici e levigati piuttosto che ruvidi e scabri.

La filiazione e le origini di queste composizioni sono ben chiare fin dal primo brano che non a caso si intitola Berlin. Proprio la capitale politica e culturale tedesca fu il crogiolo dove si fusero insieme, in un cortocircuito di nervi e fusibili, le prime esperienze tra Kosmische Musik, avanguardie elettroniche e musica concreta; naturalmente se la stazione di partenza di quel viaggio verso il futuro furono le lezioni di Stockhausen a Monaco, il punto di svolta fu, senza alcun dubbio, la Trilogia berlinese” di Bowie con l’album “Low” in testa e ancora i brani Warszawa e V2 Schneider (da Heroes) a far da vessilli, il resto fu conseguenza, binari compresi.

Quelle che seguono sono alcune delle suggestioni che i brani hanno suscitato nello scrivente e non vogliono essere in alcun modo una guida critica all’ascolto; la musica, in generale, non ha più bisogno di Soloni e di Enobarbi d’Accademia che pontificano e nemmeno di imbrattacarte da giornaletto di provincia; quella di AnzwArt in particolare può essere fruita senza troppa retorica o prosopopea, indulgendo al proprio gusto personale, abbandonandosi al piacere della vibrazione, ondeggiando il capo ai ritmi e alle sequenze.

Berlin

Quello che sentiamo evocare nei primi istanti del brano è proprio un treno, quello che, in un cordone ombelicale fatto di binari d’acciaio, collegava la città tedesca, situata geograficamente nella DDR alla Germania federale, uno stretto corridoio sul quale transitava in musica il Trans Europa Express dei due fratelli di sangue tedeschi Ralf e Florian proprio quello sul quale idealmente “Station to Station back to Düsseldorf City si potevano incontrare Iggy Pop e David Bowie”. Non sembri un linguaggio ermetico e da carbonari, è la descrizione dell’orizzonte sonoro in cui si situa forse anche inconsapevolmente questo brano, che utilizza, innovandoli e riscoprendoli, materiali sonori e intuizioni non certo nuove ma che non hanno ancora finito di emozionarci. Di sicuro è un treno molto più moderno, ad alta velocità, frutto delle più moderne tecnologie di un nuovo design, perfettamente aerodinamico ma la sostanza non è cambiata. AnzwArt intercetta sapientemente queste lontane frequenze, facendoci riscoprire il piacere del viaggio e della distanza.

Covid 20

Un pendolo sghembo e maligno segna l’incalzare di un tempo che non lascia speranze. Un filo sonoro come una lama affilata si dipana pericoloso e temibile, fino ad imprigionarci nelle sue spire ottundendo i sensi, spegnendo la direzione dei pensieri, proprio come un virus aereo che, silenzioso e subdolo, s’insinua nelle nostre fibre. Sale, lenta ma costante, la temperatura facendoci scivolare lentamente in un torpore definitivo e lontano, come una lingua sconosciuta biascicata, appena sussurrata che ritorna nella nostra distratta memoria. Lo scenario dei suoni è quello della tarda Dark New Wave e dell’industrial Kollaps alla Einstürzende Neubauten con tutte le asprezze e il fascino sinistro di quelle atmosfere. E’ un brano assolutamente ricco di spunti e coinvolgente che però non lascia il tempo di godere abbastanza dei suoi ritmi e dei suoi suoni sintetici che appena cominciano a sedurci è già finito.

Full Moon

Non è una luna sotto la quale si ama o si sogna, in questo caso non si tratta di Selene, non è la ninfa combusta dal fuoco divino e poi trasformata in satellite per non aver voluto abbassare lo sguardo davanti alla nuda virilità di Zeus. E’ una luna piena tutt’altro che romantica quella di AnzwArt, abita livida un cielo urbano e invernale, fredda e distante come una lama di luce che fende il sipario di tenebre della notte. Sembra illuminare le strade deserte e gli stabilimenti industriali in lontananza con le loro luci elettriche e gli sbuffi velenosi delle ciminiere. I suoni sono quelli dei club londinesi dei primi anni novanta dell’altro secolo, rallentati, sofisticati e distanti con una sigaretta in bocca e l’accendino di Hermes. Ottime intuizioni e lampi di una stagione lontana che, evidentemente, ha ancora qualcosa da dirci.

Beyond The Tracks

E’ forse il brano più complesso dell’E.P. che somma tutte le suggestioni e le influenze che costituiscono il retaggio culturale del musicista pordenonese. Emergono come memorie di sottofondo, stranianti suoni sinusoidali che non provocano però alcuna vertigine ma al contrario finiscono per risultare familiari e perfino innocui, fino ad essere pericolosamente consolatori, nel complesso il sound, in generale, manca di quell’aggressività che, come dicevamo, avrebbe forse giovato.

Il landscape che disegna è pacificato ma intrigante e perfino languido, ancheggiante e felino. Ci fa quasi immaginare la solita diva dei privè, effimera ed elegante che balla sinuosa nella penombra tra i divanetti e i tavolini; la sua bellezza inaccessibile non lascerà traccia e finirà per perdersi nel tempo e nei ricordi, resteranno i suoi movimenti e i suoi gesti che disegnavano l’aria.

AnzwArt è un artista in piena evoluzione che ha già cominciato a dimostrare una certa maturità, ancora da conquistare pienamente, ma ormai davvero prossima stando a questa incisione.

L’auspicio è che l’artista continui ad essere sostenuto dalla medesima energia creativa che l’ha guidato fin dalle coinvolgenti esibizioni a questo suo ultimo, ottimo lavoro discografico. Interessante sarà vedere Belluzzo in un futuro progetto discografico di più ampio respiro che contenga lo sviluppo di un tema, come si faceva un tempo. Di certo il musicista saprà ancora dare ottima prova di se. L’unica vera critica che è possibile fare a questo E.P. riguarda il minutaggio che appare piuttosto ridotto; le tracce di AnzwArt così compresse sembrano appunti per future suites, oppure basi sulle quali costruire le improvvisazioni durante i concerti.

Una cosa è certa, l’ascolto di queste tracce non lascia per nulla indifferenti. La creatività di Gian Luca Belluzzo sa muoversi nelle intricate trame della musica digitale e la sua chitarra “preparata” sa farsi ascoltare e continua a regalare liquide emozioni che le sue dita amplificano da performer fatto e finito. Siamo certi che ha ancora un sacco di cose da dire con la sua musica e che non mancherà nel prossimo futuro di regalarci ancora splendide e intricate emozioni come in questo caso, perché se il buongiorno si vede dal mattino..

Flaviano Bosco per instArt