Giorgia D’Artizio presenta il suo nuovo singolo “La Deriva” che, accompagnato da videoclip, anticipa l’uscita del suo secondo EP autoprodotto di brani originali; in arrivo anche un secondo singolo e un nuovo intrigante video di imminente uscita “Animali liberi”. “La Deriva” si rivolge a chi vuole interrogarsi sui precari equilibri psicologici dell’essere umano nel particolare momento in cui stiamo vivendo; pone attenzione con le sue note e i suoi ritmi alle nostre fragilità e ai tentativi che facciamo nella vita per darci una ragione di esistere in un mondo oberato dalle nostre bugie e dalla nostra spazzatura.

Il video, registrato in una campagna deserta, parla dei nostri tempi di pandemia dove l’impossibilità di incontrarsi viene rappresentata da simbolici spaventapasseri che ironicamente sostituiscono i musicisti. Il brano, tra sogno e realtà, ci invita a non smettere di sognare nonostante le difficoltà possono apparire insormontabili. La fantasia sempre le supererà!

Il brano “La Deriva” si può trovare su tutte le piattaforme digitali, mentre il video è visibile sul canale YouTube di Giorgia D’Artizio: https://www.youtube.com/watch?v=cnGjPVfDX1A

Contatti E-mail: giorgiadarti@gmail.com /// Tel.: 3391899571

CREDITI Giorgia D’Artizio – voce testo musica Max Ravanello – arrangiamento trombone tuba Nadja Perovic – violino Stefano Fornasaro – flauto Francesco Ivone – tromba Riprese e montaggio video – Davide Mauro Cast: Giorgia D’Artizio, Freddy Frenzy, Ugo Registrato e mixato da Massimiliano Picozzi al Magister Recording Area (TV) Masterizzato da Mattia Cominotto al Greenfog Studio (GE)

Cantastorie nata a Busalla (GE) con alle spalle l’EP autoprodotto ”Sintomi” (2017), sceglie come processo creativo la canzone per potersi esprimere liberamente con parole e melodie. La sua voce dolce e delicata affronta tematiche crude e attuali, creando così un contrasto singolare. Attualmente vive nel Veneto orientale dove sta ultimando il suo nuovo EP di sei brani, grazie all’incontro con Freddy Frenzy, Davide Mauro e Max Ravanello.

Questo recita il comunicato stampa rilasciato dalla cantante ma noi, logicamente, non ci accontentiamo, vogliamo di più.

Nonostante il periodo non facile che stiamo vivendo, il 2021 si apre davvero bene, almeno dal punto di vista musicale; basta ascoltare il nuovo lavoro della cantautrice indipendente Giorgia D’Artizio per tirare un bel respiro profondo e sentire che nel lago del nostro cuore si riaprono nuove vie alla speranza.

Quando ancora si poteva, avevamo già avuto modo di apprezzarla dal vivo accompagnata alla chitarra dalla multiforme creatività dell’artista Freddy Frenzy e poi ancora nell’incantevole E.P. d’esordio (Sintomi 2017). Allora erano echi floydiani e lontane venatura prog a far da scenario alla voce flautata, fluida e delicata della cantante con arrangiamenti scabri, armoniosi ed efficaci (Hans Bolte/D’Artizio).

L’ispirazione letteraria realistica dei testi regalava alle canzoni un senso di quotidiana familiarità calandole nella realtà di tutti i giorni, dai tavolini di un bar al vortice degli affetti. “Vivendo in una vertigine continua l’irresistibile voglia di cadere” come si dice in uno dei brani più incisivi dell’album con una scoperta allusione all’insostenibile capolavoro di Kundera.

Proprio quel romanzo ci regala più di una chiave interpretativa per comprendere l’immaginario della D’Artizio nel quale è sempre percepibile una sottile vena di disincanto, una sotto traccia agrodolce, quasi un velo di tristezza che spinge l’ascoltatore ad una sorta di meditato abbandono.

Quelle morbide atmosfere permangono anche nel nuovo lavoro così come nel video de “La deriva” da alcune settimane su You Tube e con ottimi esiti per quanto riguarda le visualizzazioni; sono però i nuovi arrangiamenti a fare la differenza. Se il primo lavoro era intimo, confidenziale, meditabondo, questo si apre ad una nuova luce dai riverberi tipici della terraferma veneziana che è quasi una categoria dello spirito per chi ne sa cogliere gli incanti e sottendere gli enigmi.

Il merito, in questo senso, è del Maestro Max Ravanello che dimostra la nuova fase della propria creatività che attinge e spazia tra la più autentica tradizione popolare italiana e la moderna musica caraibica e jamaicana in particolare.

Come in una luminosa sagra paesana d’antan, risuonano così il valzer, il tango in mezzo ai ritmi in levare nel calore di una spiaggia piena di sole, il violino e la chitarra e la dolce voce del flauto nel piacere di una vecchia danza mezza dolce e mezza amara come dice l’Avvocato di Asti. Un connubio decisamente singolare e affascinante, che si sposa perfettamente con la sensibilità della D’Artizio e con la sua vocazione cantautorale indipendente ispirata dal meglio della cosiddetta scena Indie italiana che ha solide radici nella stagione del post punk militante in salsa emiliana. Il tutto si riempie di una nuova solarità che riguardano anche gli ultimi deliziosi lavori della North East Ska Jazz Orchestra di Ravanello, splendida realtà della nostra musica, che da anni ben conosciamo e che abbiamo visto scatenarsi sui palcoscenici di mezza Europa.

Giorgia D’Artizio presenta il suo nuovo singolo “La Deriva” che, accompagnato da videoclip, anticipa l’uscita del suo secondo EP autoprodotto di brani originali; in arrivo anche un secondo singolo e un nuovo intrigante video di imminente uscita “Animali liberi”. “La Deriva” si rivolge a chi vuole interrogarsi sui precari equilibri psicologici dell’essere umano nel particolare momento in cui stiamo vivendo; pone attenzione con le sue note e i suoi ritmi alle nostre fragilità e ai tentativi che facciamo nella vita per darci una ragione di esistere in un mondo oberato dalle nostre bugie e dalla nostra spazzatura.

Il vantaggio. Un dolce ritmo di Reggae sostiene un altro degli intensi e piacevoli brani di questo EP. Il sistema non ha coscienza e con questo crede di poterci superare, escludere, fagocitare. A volte sembra che non ci sia niente da fare nei confronti di un potere del tutto insensibile e crudele di una “Società opaca, corrotta, spezzata” che però si dovrà “trasformare, dimostrare all’altezza di una nuova umanità che è pronta a cambiare”.

Le note del flauto dai riflessi jazz ci dicono che tutti noi possiamo sfruttare proprio questo tempo sospeso che ci ha imposto l’epidemia per contrastare il Potere con quello che non ha e che noi dobbiamo sempre nutrire e conservare: la coscienza. Amministrando nel modo più efficacie il nostro tempo anche con i ritmi in levare possiamo togliere spazio a chi non ha dignità e morale. E’ una ricetta antica e sempre nuova. Alla forza bruta di chi non sa pensare perché non è capace di amare dobbiamo far sentire la forza del battito del nostro cuore.

Non esistono i padroni se non c’è qualcuno che accetta di farsi schiavo, così come non esiste la malvagità del potere se nessuno vi si sottomette scambiando la propria libertà con l’utile e il vantaggio personale. Come sempre c’è qualcuno senza coscienza come il sistema che pagherebbe per farsi comprare. Spetta a noi rifiutare, danzando felici con la nostra coscienza intatta e limpida.

Animali liberi (Lockdown tune) Funebri e cupe sono le prime note che aprono questo brano, descrivono perfettamente un vagare sconsolato nelle vuote città di questo nostro pesante esilio dovuto alle misure anticovid. Il lockdown ci ha messo davanti alla più inquietante delle presenze. In questi mesi, al nostro fianco c’è sempre stato il silenzio a farci compagnia, ce n’eravamo dimenticati, abbiamo dovuto di nuovo imparare ad ascoltarlo. Non è stato per nulla semplice. Ma d’un tratto nel brano un orchestrina anni ‘40 ci annuncia qualcosa di inaspettato, ci indica qualcosa di totalmente inaspettato, una vera e propria sorpresa: “Una grande festa”.

Ad un tratto, calato il rumore nelle nostre città, spenti i motori delle grandi fabbriche, chiuse le automobili nei nostri garage, abbiamo ricominciato a sentire di nuovo il battito del nostro cuore e il respiro delle persone attorno a noi perfino a distanza; il rumore dei passi, il frusciare della carta, la musica dei nostri pensieri. Immediatamente dopo ci siamo accorti dei dolci suoni che il rumore bianco della nostra fretta erode e cancella.

Quasi risvegliati da un torpore, anzi da uno stordimento, ci siamo finalmente accorti che condividiamo l’ambiente con altri esseri viventi, creature che la nostra indifferenza e l’autentica violenza del nostro vivere aveva spinto a rifugiarsi nelle tenebre o ad allontanarsi dalle nostre case, abbandonandoci alla nostra solitudine troppo rumorosa. Abbiamo rivisto gli animali cosiddetti “selvatici” riappropriarsi non solo degli spazi liminari condivisi ma guadagnare anche il centro delle nostre città. “Vedeste come sono bravi” dice la D’Artizio descrivendo molto teneramente i cinghiali che portano a spasso i piccolini in mezzo ai negozi.

Accompagna la canzone un bel video girato in una luminosa Portogruaro tra le delizie del fiume e l’incanto di strade e piazze ma soprattutto in interni, nell’atelier del pittore Stefano Orsetti in pieno centro che, con i suoi pennelli e i suoi colori, interpreta visivamente le sfumature della voce della D’Artizio; poesia, musica e pittura diventano l’espressione di un paesaggio interiore dai delicati equilibri che sul finale scatenano l’allegria di una jazz band.

E’ proprio un brano pieno di luci e di allegre macchie di colore che contrasta con il paesaggio in bianco sciatto e nero cupo che il mondo dell’informazione spesso ci impone per farci tenere la testa bassa e lo sguardo fisso sulle nostre scarpe. La D’Artizio ci esorta, invece, ad alzare finalmente la testa e a guardare la luce delle cose belle e inaspettate che ci circondano.

Il ritorno degli animali ci costringe finalmente a pensare che la vita può anche fare a meno di tutta la nostra arroganza come diceva Federico Fellini: “Se tutti facessimo un po’ di silenzio forse potremmo imparare a capire”.

Ultima notifica. Un giro di accordi di chitarra, semplice ma sapiente, introduce e sostiene inizialmente il cantato di un brano che ci racconta dei ricatti della società dell’informazione via social che ci fa credere nelle sue false libertà e invece ci imprigiona in un sistema di controllo ancora più pervasivo e crudele.

Spesso ci illudiamo che mettere un like o esprimere un’opinione in un post, sia un modo autentico, egalitario e democratico di far sentire la nostra voce. Confondiamo la libertà di parola con il parlare a vanvera, il nostro gusto personale con quello che ci viene imposto dalla società dei consumi, le nostre scelte autentiche. Ed il pensiero razionale lentamente se ne va, ed il pensiero spirituale subdolamente se ne va”. Su questi versi entrano gli altri musicisti che placidi ci accompagnano a recuperare la realtà dei rapporti autentici “Nel presente ecco ora dove sei”. Siamo altro oltre alle immagini modificate che spacciamo come nostre e che invece sono solo specchi deformati e deformanti della nostra identità che, per fortuna, rimane sempre altro e oltre. La voce e la poesia della D’Artizio sanno indicarci dove.

La deriva. Il video attraverso il quale si racconta questa canzone ha deliziose suggestioni cinematografiche e fa venire in mente, non solo agli impenitenti cinefili, da una parte l’ultima scena di Amarcord di Fellini con l’allegra festa di matrimonio e l’addio della Gradisca in aperta campagna al suono di una fisarmonica e gli scherzi e i lazzi dei ragazzacci, dall’altra parte alcune sequenze ben più meste degli Ultimi di David Maria Turoldo con il piccolo protagonista che si confronta con lo spaventapasseri che sembra avere vita propria. Lo spazio della campagna accomuna entrambe le visioni cinematografiche e, in modo del tutto non intenzionale, riaffiora anche nel video di Davide Mauro. La vena poetica della D’Artizio è sempre in bella evidenza e già solo la frase: “Un caffè da portare via” che apre la canzone è in grado da sola di evocare un mondo e un’atmosfera “Sotto lo stesso cielo a mentire e difenderci sopra cumuli di rifiuti non riusciamo ad arrenderci, a mentire per pura fantasia tu non confondere la mia deriva è sintomo di empatia”.

Dove il tempo vola La voce sardonica e beffarda di Freddy Frenzy ci guida in una riflessione che parte da un piccato “Hai hai hai” sottolineato dal trombone che fa la voce grossa e dal flauto che gli fa il controcanto come un uccellino che infastidisce un grosso cagnone bonario e paziente.

Il tono è divertito e pensoso allo stesso tempo, ma non c’è proprio niente da stare allegri, lo scenario che disegnano drammaticamente i primi versi è apocalittico: “Non c’è più salvezza nè riparazione…la speranza sembra condannata ad essere esiliata; la sofferenza è certamente ostinata” il futuro si annuncia peggiore e si avvicina a gattoni.

La musica non perde la propria verve e l’atmosfera musicale sembra quella di una favola nella quale sono il gatto e la volpe a fare da narratori. Questa dimensione onirica e fanciullesca non è per nulla disincantata, il messaggio che il testo vuole fare passare è davvero profondo: “La verità è un fuoco che è meglio conoscere, diventare cenere e poi rinascere”. E’ vero che nella nostra società il tempo vola e sembra che non ci sia mai tempo per fare niente, soprattutto, per guardarci dentro.

Questo brano dagli arrangiamenti raffinati e allo stesso tempo paciosi e rotondi è, in fondo, un inno alla speranza in musica, ci insegna a fermarci un attimo e facendoci trasportare dalle note cercare di riacchiappare il tempo che, come diceva Bowie in Changes: Time may change me
But I can’t trace time (Il tempo può cambiarmi
Ma io non posso determinarne il corso).

We don’t want this world. Cosa ne resta della Rivoluzione? E’ una parola che sembra sparita dal vocabolario di molte persone, non ci si pensa più tanto; siamo presi da un mondo che a qualcuno sembra l’unico possibile. Questo brano basato su un ritmo reggae da dolce risacca del mare salato, come una ballata di un altro spazio ci ricorda, invece, quanto importante sia riportare al centro delle nostre attenzioni la necessità di tendere verso un cambiamento continuo.

Parafrasando il comandante Ernesto de la Serna, el Che, la Rivoluzione non è un obiettivo ma è uno stato, un modo di vivere. La Rivoluzione è sempre. Deve esserlo nei nostri cuori e nelle nostre azioni, che non necessariamente devono essere violente, come purtroppo qualcuno ancora pensa. Deve essere un desiderio di cambiare in meglio prima di tutto noi stessi. Giorgia D’Artizio dimostra di aver capito che è possibile farlo anche attraverso una canzone. Solo l’arte è in grado di fornirci gli strumenti per dipingere e cantare un mondo nuovo che dobbiamo progettare e perseguire soprattutto nei nostri cuori. La voce di Freddy Frenzy contribuisce a dare profondità al cantato e completa lo scenario vocale che la D’Artizio sa evocare in modo sottile e lieve. E’ una sorta di accompagnamento verso l’orizzonte di un mondo a venire dall’atmosfera più limpida e tersa, preannunciata dal trombone e dalle ottime idee compositive del Maestro Max Ravanello.

Cara Giorgia, arrivederci ai prossimi palcoscenici dei tuoi concerti, speriamo tutti il più presto possibile.

© Flaviano Bosco per instArt