Prima del concerto il responsabile della programmazione del Teatro Miela, quasi con le lacrime agli occhi, si è detto felice di essere riuscito a organizzare un concerto con un’artista internazionale di una tale caratura ma anche preoccupato e affranto per i sempre più stringenti protocolli anti covid che incombono come la spada di Damocle e che da un momento all’altro rischiano di far saltare spettacoli fissati da mesi. Ci sentiamo di aggiungere che nessuno vuole, nemmeno lontanamente, mettere in dubbio la necessità di certi provvedimenti che solo ai più sprovveduti appaiono irrazionali e punitivi, ma bisogna anche tener conto che il comparto dello spettacolo con tutto il suo indotto economico e culturale, già in precedenza agonizzante e trascurato, sta soffocando nel proprio stesso sangue e se tutto andrà bene ci metterà anni a riprendersi del tutto. Se soccomberà non sarà certo stato il maledetto morbo ad assassinarlo.

Shingai, inglese con profonde radici nello Zimbabwe, sua terra d’origine, propone nel suo primo album da solista, un pop molto sofisticato dalle atmosfere raffinatissime e morbide che concilia un’elettronica minimale e urbana con nostalgie ritmiche africane. Lontanissima dal primo afrobeat (Fela Kuti) dai suoi afrori, dai suoi ritmi e dalla sua militanza, propone un sound screziato del miglior soul più british che afro-americano seguendo quella linea sottile che si dipana dagli Style Council, Elvis Costello e passando per Sade Adu, Thomas Dolby, Incognito, Jamiroquai e arriva fino alla scena minimal del clubbing londinese.

Sul palcoscenico è quasi un apparizione, agile e felina sul palco, si contorce come un serpente, scalza, batte i piedi sulle assi, urla, sussurra, ride, è davvero euforica, incontenibile, pura energia. Mette in pratica tutto quello che ha imparato sulle arti performativi fin da quando studiava arte circense e si esibiva con i Lost Vagueness, un gruppo di burlesque della scena di Londra, prima di formare con l’amico chitarrista Dan Smith, i Noisettes band indie, punkeggiante di discreto successo. Per quello che valgono le definizioni, il genere di attuale di Shingai è Elettro-Afro-Punk qualunque cosa voglia dire; in definitiva si tratta di un sound molto interessante che soprattutto dal vivo risplende di luce propria e dimostra ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che le contaminazioni, il meticciato, lo scambio interculturale sono un vero e proprio toccasana per la musica e per tutto il resto.

Shingai, nella sua carriera già ventennale, non si è fatta mancare proprio niente: oltre che produttrice, compositrice, bassista, cantante e performer, scrive e dirige i propri videoclip, è modella, stilista, attrice (Faces, 2018 – Harry Hill Movie, 2013) e, naturalmente, influencer.

– Too Dark

Inguainata in un aderentissimo completo turchese con tramatura a scaglie di serpente, rivolgendosi direttamente al pubblico dice che farà un percorso in musica tra i suoni dove è nata e cresciuta: Lewisham South East London, Caraibi, Africa e out of Space. Certo dimostra di essere legata a tradizioni musicali. Le piace parlare e chiacchierare con il pubblico, non si fa proprio pregare introducendo ogni brano per raccontare un frammento della propria esistenza

Fantastica e flessuosa, interpreta, si muove sinuosa, danza, da sola riempie tutto il palcoscenico, è davvero “larger than Life”, esprime una gioia di vivere e di esprimersi; un’artista che regala musica ed emozione con ogni centimetro della sua pelle con, per di più, una grande estensione vocale.

Too Bold è il suo primo album solista dopo una lunga carriera in vari gruppi di un certo successo. Il titolo traduce in inglese il suo nome in lingua dello Zimbabwe, in italiano “troppo audace”; l’album è in vendita da pochi giorni e il concerto di Trieste è il primo in pubblico dall’esplosione dell’epidemia.

– Coming Home dall’E.P. Ancient Futures

Something Keeps calling me. Calling me right back home

Hold me Thigt, I won’t fight This is Where I belong

La canzone, che ha una prima parte pop inglese e nella parte centrale sfrutta tutta la vocalità, africana vuole esprimere la vicinanza della cantante verso quelle origine culturali cui fino adesso quasi si rifiutava di attingere. Essendo immigrata di prima generazione, sente il problema in modo particolare e vive una condizione di sradicamento come nemmeno i suoi genitori hanno provato. Appartiene affettivamente allo Zimbabwe ma è inglese che più non si può, perfettamente consapevole del fatto che la propria multiculturalità è una vera ricchezza nella quale le sue radici contribuiscono in modo determinante ad arricchire e a far prosperare l’albero della società che abitiamo. Possiamo anche venire da luoghi diversi ma dobbiamo procedere tutti nella medesima direzione che è quella della fratellanza, della pace e della condivisione.

La musica è il collante che può tenerci insieme (Bound) in questi tempi difficili in cui il distanziamento rischia di far implodere l’architettura sociale democratica così faticosamente edificata sui principi della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948.

Thomas Mapfumo, called ‘The Lion of Zimbabwe’ and his band The Blacks Unlimited play the ‘Chimurenga’ music of struggle and resistance for which he is famous world-wide at a late-evening concert co-produced by Carnegie Hall and World Music Institute at Zankel Hall at Carnegie Hall, New York, New York, October 20, 2012. (Photo by Jack Vartoogian/Getty Images)

Lei si sente in qualche modo erede di suo zio Thomas Mapfumo, eroe della lotta di liberazione dello Zimbabwe. Cantante e musicista militante, ancora in attività, fonde la musica di tradizione Shona con il rock di denuncia politica in un genere ibrido che ha chiamato Chimurenga (lotta senza quartiere). Ha subito arresti, incarcerazioni, torture e una persecuzione giudiziaria che dura tutt’ora tanto che anche lui è stato costretto a fuggire dal suo paese, come il resto della sua famiglia rifugiandosi in Oregon (Usa) anche dopo che il suo paese, con l’indipendenza, si è dato una parvenza politica democratica, per paura delle vendette trasversali.

Il 18 aprile 1980 era sul palcoscenico del Rufaro Stadium in Harare con Bob Marley & The Wailers a cantare Zimbabwe nel giorno dell’indipendenza e della fine dello stato coloniale di Rhodesia.

Every man gotta right to decide his own destiny

And in this judgment there is no partiality…

We’ll ‘ave to fight (we gon’fight) fighting for our rights!

Forse Marley e Mapfumo si esprimevano in un inglese un po’ gergale e sgrammaticato ma di sicuro sapevano farsi capire dai reietti e dagli oppressi e ci riescono ancora.

Coming Home è dedicata proprio allo zio che da musicista rielabora antiche melodie lanciandole nel futuro, esattamente quello che cerca di fare anche lei. This is where I’belong. Nella sua danza scatenata si stende anche sulle casse spia e canta da distesa.

-We Roll

Ripete che è il primo show da quando è uscito l’album ed è un’occasione veramente speciale. I suoi possono di certo essere definiti Afrobeats ma non in senso tradizionale; come dicevamo, Shingai non è disimpegnata o disincantata ma la sua battaglia è segnatamente diversa da quella dei suoi predecessori militanti.

Con la sua musica esplora soprattutto le proprie emozioni cercando di condividerle. Canta la propria storia e la propria esperienza che già di per se è simbolica. Figlia di profughi di una sanguinosa guerra civile, è cresciuta cercando la propria identità culturale e personale combattendo per costruirsela in un ambiente che possiamo immaginare del tutto ostile. Essere riuscita a diventare un’artista acclamata che avvicina le sonorità dell’Africa a quelle dell’Europa continentale e insulare è già una grande vittoria. Shingai dice di essere bloody Exited per questo concerto e deve ballare. Sono mesi che non l’ho potuto fare. Divertente, entusiasta, una autentica scarica di energia incontrollabile. Continua a rivolgersi al pubblico con il suo fare seducente e magnetico: “Posso vedere i vostri sorrisi dietro le mascherine, lo so che vorreste muovervi e saltare con me ma non potete, perciò sarò io a farlo per voi”E lo fa davvero, senza sosta e senza risparmiarsi, prende fiato in un attimo e ricomincia da atleta del palcoscenico.

-Too Bold

Il brano che da il titolo all’album ha un significato particolare per la cantante perché, dice: “esprime diversi aspetti della mia tristezza e della mia felicità…erano 20 anni che mi tenevo dentro questa melodia forse non mi sentivo pronta o avevo paura che il mondo non fosse pronto per me”.

Decisamente il momento è arrivato, la canzone è molto coinvolgente e l’interpretazione è sensuale e affascinante. Se la piccola Shingai aveva timore di essere troppo audace, troppo intelligente, troppo piccola o troppo poco di tutto per affrontare il mondo, adesso, decisamente non lo è più, il momento di cantare la propria versione “drammatica e cinematica” al mondo intero, è finalmente giunto ed è un piacere ascoltarla.

– Ghost Town (Battle Scars)

Imbraccia la chitarra e canta su semplici accordi che pizzica. E’ mancina come il diavolo, Paganini e Jimi Hendrix. La canzone è la storia della sua vita, la voce setosa ricorda a tratti quella di Nina Simone; non è una grande chitarrista, ma i suoi quattro accordi funzionano soprattutto perché uniti alla sua incantevole voce e al suo savoir faire da grande intrattenitrice.

Perse il papà all’età di nove anni e durante tutta l’infanzia e l’adolescenza soffrì moltissimo per la mancanza di questa figura di riferimento. Ma, spesso, le difficoltà ci rendono anche più forti e determinati. “Prima avevo paura a scrivere di certe mie esperienze”, canta tutto il brano con un microfono aggiuntivo Life voice changer. Andare avanti vuol dire onorare chi abbiamo perduto (I’m Living in a Ghost town). Si vede che è molto emozionata e perfino commossa. Il pensiero è quello di una bambina triste che pensa al papà che non c’è più. Take me Anywhere, urla e grida con un enfasi drammatica da far venire i brividi, in una specie di trance dal quale poi lentamente si “risveglia” ansante. Come dicono i giovani: ”Da paura!”.

-War Drums

You don’t wanna know about the war

Cause this is your war. Recollect

Hard Times yeah, Stand up & be counted

Stand up, nourish, flourish

Dice ancora rivolta al suo pubblico: Abbiamo bisogno della musica che ci parli in questi tempi terribili e che ci faccia sentire uniti”.

I miei genitori sono passati per la guerra in Rodhesia dalla quale sono scappati come profughi a Londra”. La loro è stata una storia e una drammatica situazione di abbandono, sradicamento, paura, persecuzione, le cui ripercussioni, fisiche e psicologiche, ha vissuto anche lei che è cresciuta in tutt’altro ambiente ma con pur sempre quel rullare sinistro. I tamburi della guerra non sono solo quelli che riguardano simbolicamente un conflitto bellico ma anche tutti quegli atteggiamenti aggressivi che ci complicano la vita da una parte ma che dall’altra possono anche essere uno stimolo a migliorarci. Cantando si arrampica sulla batteria restando in equilibrio sulla grancassa e poi salta, danza, balla raccontando dei bambini soldato nelle tante guerre che dilaniano ancora oggi e, continuando il suo vorticare forsennato, sembra quasi che si spezzi giuntura per giuntura seguendo i versi della canzone (Recollect, recollect, recollect) si contorce dal dolore

La sua musica è contro la segregazione e la discriminazione. Con vere doti da attrice drammatica racconta la storia di un ragazzino che dormiva sulle scale della metropolitana e la gente, invece di aiutarlo, lo scavalcava imprecando, tutta presa dalla propria frenesia di arrivare presto alle proprie occupazioni lasciando indietro la propria umanità. Non è empatia questa, non è la Londra in cui sono nata e cresciuta, dice, mi spaventa l’indifferenza e la meschinità di tanti, è un luogo incattivito e brutale nel quale la gentilezza è un atto rivoluzionario, l’unico vero possibile.

-Afterglow

Canta scalza come Miriam Makeba, Patti Smith, Joan Baez, Joan Armatrading e riassume in se le caratteristiche migliori di tutte queste meravigliose artiste e ci aggiunge qualcosa di assolutamente originale. L’unico vero difetto dell’esibizione è che a volte le basi che si sovrappongono alla sua voce sono troppo invadenti. Un suo concerto solo acustico deve essere un esperienza stupefacente, speriamo che Shingai conceda questo privilegio ai suoi spettatori più fedeli in un prossimo futuro.

L’accompagnamento musicale è essenzialmente basato sulla ritmica elettro acustica di Toby Coulinge sulle tastiere di Aron Kyne detto “Arancini” probabilmente per la sua predilezione per la ben nota prelibatezza della cucina siciliana. Una musica da ballo tra soffici accordi e sussurri e uno spietato martellante Drum’n’bass.

E’ chiaro che molti tra il pubblico vorrebbero ballare ma il protocollo lo vieta assolutamente

– Revolutions dall’E.P. Ancient Futures

Easy now I can see the future cleary now

Now’s the time, the time is now

Da Ancient Futures suo primo ep intona Time for a Revolution che ripete ad libitum…are you redy for the revolution of Kindness.

– God save the Queens

Incredibilmente l’acclamato encore riguarda una canzone dei Sex Pistols completamente rivisitata e “corretta” in salsa soul: God save the Queens

The Queen in me. What future for you canta con i suoi musicisti a cappella nel finale gridando poi “Voglio un bel futuro per tutti noi… See you in the Future”.

© Flaviano Bosco per instArt