D’un tratto, umile e ieratico come un francescano spirituale, Marco Colonna è apparso davanti al pubblico nella meravigliosa chiesetta di Santa Maria delle Grazie, ha imboccato il suo clarinetto basso ed ha cominciato la sua preghiera in musica dedicata a John Coltrane, gran sacerdote dell’Avant Garde e supremo innovatore della musica contemporanea.Quello per la rassegna di Musica in Villa 2020 non è stato un semplice, piacevole concerto; il suo significato è andato ben oltre. La Glesie Viere di Castions di Strada è uno dei più antichi e venerati luoghi di spiritualità del Medio Friuli, dai lacerti d’affreschi cinquecenteschi al suo interno ci guardano i volti severi delle storie del ciclo di San Biagio e di Maria Maddalena, dipinti dal veneziano Gaspare Negro (1475-1549).

La manifestazione, per questa edizione, nonostante le note restrizioni dovute all’epidemia, ha deciso addirittura di rilanciare arricchendo la propria proposta musicale. Musica in Villa 2020, organizzata e voluta con tutte le forze dall’encomiabile Gabriella Cecotti, mai ringraziata abbastanza per i miracoli in musica che realizza, diventa Social.

Oltre al fatto che tutti i concerti in cartellone saranno registrati e diffusi radiofonicamente da Radio Onde Furlane, sarà attivato anche un canale You Tube dedicato che trasmetterà i video delle serate con un’introduzione storico artistica che, di volta in volta, svelerà le meraviglie delle ville e del territorio nel quale sono inserite.

Un suggerimento per gli incontentabili sarebbe quello di aggiungervi anche una breve riflessione sulle musiche e sugli interpreti sempre di grande prestigio che il programma di Musica in Villa offre al suo pubblico da anni, ma diamo tempo al tempo. Essere riusciti a imbastire una lunga serie di concerti in luoghi magnifici nelle condizioni estreme di quest’anno è già un incredibile miracolo di competenza, determinazione e autentica passione.
Per qualunque sassofonista il confronto con Coltrane è imprescindibile tanto da essere quasi scontato. Il suono di quello strumento è stato profondamente influenzato dall’opera di Coltrane; niente nella musica contemporanea è stato più come prima dopo di lui, né lo sarà mai.

Il Jazz e l’Avant Garde, la Free form e perfino la musica concreta sono stati trascesi dalle meditazioni in musica di colui che ha saputo regalare una tale dimensione di sacralità alla musica afroamericana da aver meritato la gloria degli altari. Inutile ricordare e ripetere per l’ennesima volta che esiste una chiesa dedicata al suo culto. La Saint John William Coltrane African Orthodox Church utilizza musiche e preghiere di Coltrane nella propria liturgia che si incardina sulla celeberrima preghiera che costituisce il IV movimento della suite A Love Supreme. Il musicista scrisse un salmo religioso e poi suonò le parole come fossero note; Psalm nel finale recita:
Lo spirito di Dio è completamente
in tutta la sua Grazia e noi lo sentiamo fortemente,
è il nostro tutto.
Ti rendiamo grazie Dio
ESULTANZA, ELEGANZA, ESALTAZIONE
Tutto da Dio
Ti rendiamo grazie Dio, Amen

Nessuna sorpresa perciò se il concerto di Marco Colonna, sassofonista romano di lungo corso, nella raccolta chiesetta di Castions, pur non citando direttamente A Love supreme, ha voluto interpretare lo spirito più mistico del sassofonista afroamericano

Il clarinetto basso ha un suono arcaico e ancestrale che viene dai remoti recessi dei mega-secoli e degli eoni dell’inconscio e al contempo guarda nel futuro fin dentro i più lontani, reconditi e siderali spazi intrapsichici. Possiede sonorità ed estensioni meravigliose e profonde che, in questa occasione, s’infrangevano nell’abside della chiesetta generando un leggero effetto di rimbombo e una certa ridondanza che di solito disturbano ma che, in questo caso, garantivano il suono ancora più intenso, stratificato e straniante.

Quello strumento ha una voce che sa di amata solitudine, di abitazioni abbandonate, strade deserte, periferie dell’anima nella bruma autunnale. Marco Colonna, che è uno sperimentatore polistrumentista appassionato e riconosciuto nella migliore scena jazz italiana, ha scelto di fare il proprio omaggio a Coltrane, naturalmente a ragion veduta; ha utilizzato non casualmente il clarinetto basso e il sax sopranino che sono quasi due estremi opposti tra gli strumenti ad ancia semplice. Prima di tutto, come leggiamo in una sua intervista a Musica Jazz (04/01/2017), il musicista nasce come clarinettista ed è stato allievo di grandi maestri come Gaetano Zocconali, Lawrence “Butch” Morris ma anche Harry Sparnaay inventore del clarinetto basso moderno. Allo stesso modo, il clarinetto basso era uno strumento cui Coltrane era molto legato essendo anche lui di prima formazione clarinettista, ma anche per la sua frequentazione con Eric Dolpy che lo affiancò molto spesso in concerti, sessions e incisioni soprattutto nell’ultima stagione della sua carriera. Quando Dolpy prematuramente venne a mancare, la madre regalò a Coltrane lo strumento del figlio. Possiamo immaginare che significato poteva avere per lui far vibrare quell’ancia.
Il sopranino è la versione più compatta e dai registri più acuti (anche se adesso esiste anche il sopranissimo) del classico sax soprano che fu lo strumento a cui Coltrane diede notorietà nel jazz moderno liberandolo dalle tradizionali pastoie di una tradizione che lo relegava ad una posizione di secondo piano rispetto al sax tenore e contralto.

Colonna sa bene che il clarinetto basso gli permette anche di mettere in assoluta evidenza la ricerca stilistica di Coltrane fatta di suoni multipli, di sovrapposizione di armonici e frasi musicali semplici ma incatenate tra loro in una teoria infinita di variazioni senza alcuna tregua. Il suono legnoso del clarinetto rende possibile anche un abile gioco percussivo sui bottoni e sulle chiavi della tastiera che forniscono al musicista suggestioni ritmiche sulle quali intesse ulteriori trame di significato.
Al sopranino si esprime in una classica sheet of sounds davvero intrigante e complessa che da impetuosa si fa via via più rarefatta ed elevata per poi riprendere impeto e perfino irruenza in un equilibrio intricato e instabile ai quali seguono brevi momenti d’assoluto silenzio che interrompono il meditabondo procedere.

Per confrontarsi con Coltrane però non è sufficiente possedere una tecnica raffinata e degli strumenti adatti, bisogna anche essere disposti ad intraprendere un percorso interiore di elevazione spirituale e di trasformazione del proprio sentire e del proprio essere. Considerare quella musica come semplice intrattenimento o espressione virtuosistica di una certa tradizione significa perdere completamente l’orientamento e il significato stesso di quel particolare tipo d’espressione musicale.

La musica di Coltrane nell’accezione di Marco Colonna, che si concentra soprattutto come stile sulle ultime esperienze del musicista, quelle comprese tra la fine del quartetto classico (Jones, Tyner, Garrison) e le postreme avventure negli spazi interstellari (Interstellar space) con il percussionista Rashied Alì o ancora con Pharoah Sanders, è ritualistica, spirituale, ascetica, orientaleggiante; è un’esortazione alla conversione e alla redenzione non tanto ad una fede in particolare ma ad un atteggiamento che ci permetta di salire, attraverso la musica e la lode alle creature, verso le dimensioni spirituali i cui accessi conserviamo ma non vogliamo vedere nella nostra interiorità.

La musica era il veicolo attraverso il quale Coltrane esprimeva la propria particolare religiosità che non era fatta di dogmi o di chiese ma di amore supremo e incondizionato verso ogni singolo frammento di questo universo e di questa nostra esistenza. La sintesi di questo atteggiamento è quello di rendere grazie e di lodare quello che la vita ci regala in ogni istante.

Lo sa bene Colonna che quando dialoga direttamente con il pubblico, fa capire perfettamente l’importanza dell’azione cui insieme partecipano. Il suo salmodiare con il fraseggio del proprio clarinetto esattamente come Coltrane, in brani lunghi che estenuano il musicista ed il pubblico, si spinge fino a creare effetti collettivi ipnotici ed estatici tipici degli stati di meditazione profonda e di pienezza di coscienza.

Un concerto è una vera e propria interazione tra musicista e spettatori che non si da in altro modo. L’energia spirituale che si sprigiona durante un esecuzione di quel tipo non ha paragoni e può permetterci di aprire la nostra mente all’incontro con l’altro con la sua gioia e la sua sofferenza. Sono momenti di altissima condivisione emozionale e psichica, un concerto come quello di Colonna lascia un segno indelebile nel cuore di ogni appassionato di musica ma anche in quello di chi si avvicina per la prima volta ad un contesto sonoro del genere.

Rispondendo alle prime feroci critiche di chi messo davanti la prima volta alla radicale novità della sua musica l’aveva definita: “distruttiva, nihilista, anti-jazz…un insensato agglomerato di musica, di rumori, di scale, di grugniti, di strida” Coltrane aveva detto: “Penso che la cosa principale che un musicista vorrebbe fare sia dare all’ascoltatore un quadro delle tante cose meravigliose che conosce e sente nell’universo. Questo è ciò che la musica è per me: una delle maniere per dire che l’universo in cui viviamo, che ci è stato donato, è grande e bello”.i
Con grande rispetto ed umiltà, interpretando con la propria sensibilità “inni di lode all’inviolato” come My Favourite Things, Naima, Offering, Giant steps, Ogunde e altro, Colonna ha fatto capire ai presenti quanto vivo sia ancora, a distanza di più di cinquant’anni dalla scomparsa, il messaggio spirituale di pace di Coltrane e quanto sia importante, soprattutto in questi momenti, pregare in musica, sentendo la presenza viva e reale dei nostri fratelli in un luogo reale e fisico degli altri, al di là delle fedi, delle confessioni e delle differenze, per sentirsi di nuovo liberi nell’uguaglianza e nella fraternità che sono da sempre i cardini della nostra esistenza anche se facciamo finta di dimenticarcene.

Grazie Gabriella, Grazie Marco, Grazie John Coltrane.

ELATION-ELEGANCE-EXALATION
In Arrigo Polillo, Jazz, Mondadori, Milano 1997, pag.727

© Flaviano Bosco per instArt