Ci si perdoni la banalità dell’introduzione, ma non si può iniziare non citando il claim di questa stagione “e infine uscimmo a riveder le stelle”. Finalmente concreto, dal momento che ieri è stata ufficialmente inaugurato il cartellone 2020-2021 del Politeama Rossetti. E come da tradizione, si è iniziato con una produzione dello Stabile del FVG, in collaborazione con il Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale.
Per l’esordio dopo la pausa forzata dal lockdown Franco Però (regista) e Letizia Russo (adattatrice) hanno scelto un testo controverso, che all’apparenza può sembrare “semplice” ma che in realtà si apre in mille venature: di significato, di interpretazione, di atmosfere e sensi. Ventaglio che è stato addirittura accentuato in quest’adattamento rispetto all’opera originale di Jean Giraudoux, eliminando o modificando alcune parti per lasciare molte più zone d’ombra e di nebbia.
La vicenda narrata è -come già detto- tutto sommato semplice e lineare: un gruppo di affaristi, maneggioni e ricchi truffatori vuole far esplodere una bomba a Parigi, per poter poi estrarre petrolio dal sottosuolo. Qualcosa va storto e “la Contessa” (la pazza del titolo) viene a conoscenza del piano. Assieme a due amiche altrettanto folli e a un gruppo variopinto di poveri e sventurati deciderà di sventare il piano, attirando tutti i “cattivi” nel sotterraneo di casa sua con la promessa di un giacimento petrolifero, per lì sterminarli e salvare il mondo.
Tale semplicità si è voluta riflettere anche nella messa in scena, con un’unica scenografia rappresentante un grande prato erboso di un bel verde vivo. Più in generale tutti i colori visti in scena sono accesi, spesso con accostamenti azzardati e volutamente cacofonici (soprattutto nei vestiti delle tre pazze), a sottolineare l’aspetto scanzonato di quella che è a tutti gli effetti catalogata come commedia. Ma lo è davvero?
Risposta breve: no. O meglio, non solo. Il più grande pregio di quanto visto ieri sul palco è lo sfuggire a qualsiasi catalogazione netta, rimanendo sempre in bilico su molteplici aspetti, sia in merito al senso della trama sia per quanto riguarda i singoli personaggi.
Prendiamo ad esempio i due gruppi che si vengono a formare nel corso delle quasi due ore di spettacolo: i “buoni” e i “cattivi”. Disegnati in modo da piazzarsi agli estremi nello spettro della bontà/non bontà, concentrati solo o sul godere delle bellezze del mondo o sul volerlo sfruttare per il proprio tornaconto. Diametralmente opposti anche visivamente: coloratissimi i primi, in completi eleganti rigorosamente in bianco e nero i secondi. La divisione iniziale così netta inizia però a incrinarsi e sfumarsi man mano che si procede, per culminare nella scena del finto processo ai malvagi, in cui il Cenciaiolo si presta a rappresentare (ottimamente, tra l’altro) uno dei Presidenti/Amministratori Delegati/Prospettori e a difendersi da una sentenza che in realtà è già scritta e sotto sotto serve solo a placare la coscienza di chi – ergendosi a difensore del popolo- sta pianificando nient’altro che uno sterminio di massa.
Altro bilico importante è quello tra commedia e dramma: come già detto il testo dovrebbe appartenere alla prima categoria ma l’unica scena che si avvicina in modo quasi completo a tale catalogazione è quella del dialogo tra le tre pazze, che pur spolverato di momenti seri o malinconici (come il lento svelarsi delle motivazioni che porta ciascuna di loro ad essere accompagnata da un amico immaginario) si sostiene principalmente sui giochi linguistici/equivoci tra le tre, leggeri e divertenti. Non che momenti delicati e gioiosi manchino nelle altre scene: ad esempio sono a loro modo divertenti tutte le introduzioni dei quattro “cattivoni” al tavolo del bar, così esagerate in perfidia da risultare surreali. Ma si parla sempre di momenti dal sapore fortemente dolceamaro, dove i sentimenti positivi si alternano molto rapidamente ad altrettante inflessioni gravi, drammatiche, di forte riflessione sociale. Non è d’altronde un mistero che il testo originale voglia essere una metafora del vecchio dilemma “l’uomo contro la natura”, quindi l’umanità vista come cancro di una natura bella e spensierata, che non potendo difendersi da sola ha bisogno di qualcuno che si erga a suo paladino.
In bilico, dicevamo. Ed il prossimo è fondamentale, perché è un qualcosa introdotto dall’adattamento di Letizia Russo e che dona allo spettacolo un ulteriore motivo d’interesse e fascino. Ed è il bilico tra realtà e sogno… o meglio, immaginazione. O forse delirio, pensando alla pazzia della protagonista. Il testo di Giraudoux termina con una forte nota di speranza, con i “buoni” a formare un festoso corteo di ringraziamento per la Contessa salvatrice del mondo e -come ciliegina sulla torta- la nascita di quell’amore tra Irma e Pier anticipato già nella prima metà dello spettacolo, dopo il monologo di Irma sulla sua situazione sentimentale.
La versione vista ieri ha però un finale diverso che cambia completamente la visione della vicenda, soprattutto se messa in relazione a un altro elemento di discontinuità con il testo del 1945. In quest’ultimo, infatti, l’attesa dell’esplosione della bomba da parte dei “cattivi” si risolve solo nell’apparizione di Pier quasi annegato; mentre sul palco del Politeama si sente distintamente l’esplosione e solo a seguire compare Pier.
Con questo in mente, torniamo agli ultimi minuti sul palco: anche qui i “buoni” tornato tutti sul prato erboso ma non fanno in tempo a festeggiare la Contessa perché un’altra esplosione li manda tutti a terra, svenuti. Rimangono in piedi solo Irma, Pier e la pazza, con quest’ultima a gridare disperatamente agli altri due di baciarsi, perché “se due esseri che si amano permettono a un solo minuto di frapporsi, quello diventa subito mesi, anni, secoli”. Ma il suo appello finisce nel nulla perché anche i due amanti cadranno a terra privi di sensi, prima di coronare il loro amore. E quando anche la Contessa sarà caduta ecco di nuovo in scena i quattro malvagi, a ridere sguaiatamente e ballare tra i corpi di tutti gli altri.
E’ stata davvero un’ “altra” esplosione quella appena sentita, oppure è proprio quella di inizio spettacolo e tutto ciò che abbiamo visto è accaduto solo nella mente della pazza, nel tentativo di aggrapparsi alla sua convinzione -mostrata in altre scene e purtroppo non realistica- che l’umanità sia buona? Hanno dunque vinto i “cattivi”?
Per quanto riguarda gli attori sul palco, molto buona la performance di tutti, per una prestazione generale decisamente “corale” in cui ognuno sa trovare il proprio spazio. Piccola nota di merito per Giovanni Crippa nei panni del Cenciaiolo, che nella scena del processo regala una “recita nella recita” accorata e coinvolgente.
Ovviamente c’era grande attesa per Manuela Mandracchia, una delle interpreti più affermate del teatro italiano, celebre anche per gli innumerevoli ruoli cinematografici. Non ha deluso la sua “pazza”, capace di reggere molto bene sulle proprie spalle le scene con pochi attori sul palco (il summit tra le tre matte, l’arrivo dei “cattivi” alla villa della Contessa) ma di non essere mai soverchiante nelle scene più affollate, lasciando il giusto spazio agli altri. Oltre al dare un’interpretazione che -in piena linea con i mille significati dello spettacolo- riesce a produrre l’ennesimo bilico: quello tra un’eroina che da sola salva il mondo (mostrandosi l’unica davvero sana di mente) e un’invasata che nel suo delirio quasi mistico si sente investita dall’unico vero senso di giustizia.
Cosa dire quindi in chiusura, per riassumere tutta l’abbondanza di significati che “La pazza di Chaillot” porta con sé? Possiamo forse solo darvi un consiglio: preparatevi a quasi due ore dense di spunti e possibili significati. Se vi aspettate una “semplice” commedia spensierata rimarrete delusi, ma se siete disposti a mettere in gioco le vostre idee e a sentirvi spiazzati e stimolati, troverete pane per i vostri denti.
Luca Valenta / ©Instart