Settembre, tempo di nuove stagioni teatrali! Questo pazzo 2020 non fa eccezione, e nonostante le preoccupazioni per cosa comporterà la stagione autunno/inverno in termini di Covid e relative restrizioni pian piano tutte le grandi realtà teatrali di Trieste stanno riaprendo le loro sedi per i primi spettacoli con pubblico in sala.

Venerdì scorso è stato il turno dello Stabile Sloveno, che per l’occasione ha riabbracciato il suo pubblico a suon di note. Non è stata infatti la prosa a calcare nuovamente il palcoscenico della sala principale del Kulturni Dom dopo tutti questi mesi, quanto una nuova co-produzione dei teatri del litorale (Stabile Sloveno, Teatro di Capodistria e Teatro nazionale di Nova Gorica) che vuole rendere omaggio al grande musical, principalmente quello di Broadway ma non solo: “Un secolo di musical” è un’antologia dei migliori brani che hanno fatto la storia di questo genere, sulla cresta dell’onda da -come il titolo stesso suggerisce- più di un secolo.

L’ideazione e la regia dello spettacolo sono a cura di Stanislav Moša, artista di riferimento per il genere musical nell’Europa centrale. Come lo stesso Moša ha dichiarato, “con la mia scelta non ho voluto mettere in evidenza i passaggi più ammiccanti o commerciali, ma quelli che in qualche modo rappresentano una pietra miliare nella storia del teatro musicale. Ho selezionato le scene dei musical che conosco meglio e che ho anche diretto, unendole nel format collaudato di uno spettacolo concertistico.”

Soffermiamoci subito su queste ultime parole: spettacolo concertistico. È importante farlo subito, per mettere in chiaro dall’inizio l’impostazione data allo spettacolo. Nonostante si parli di un genere normalmente molto “carico” di elementi, che oltre alla musica punta anche su un forte impatto visivo e coreografico, nonché recitativo, in “Un secolo di musical” si è voluto dare centralità e forza esclusivamente alla parte canora, procedendo per sottrazione degli altri elementi che avrebbero potuto togliere attenzione alle voci sul palco. Non sono quindi presenti parte recitate a introdurre i brani, che si susseguono intervallati solo dagli aneddoti raccontati dal compositore e arrangiatore Patrik Greblo (direttore musicale dello spettacolo che quindi veste anche il ruolo di narratore – e in parte di cantante, come vedremo in seguito). Allo stesso modo, nessuna particolare scenografia ingombra il palco: a rievocare le atmosfere delle opere originali sono i costumi dei cantanti e del corpo di ballo (per oltre 180 cambi di costume), oltre alle videoproiezioni a tema per ogni brano.

Una vera e propria maratona, che si è snodata attraverso ben 26 brani che abbracciano molti dei musical che hanno fatto la storia e che hanno raccolto le migliori voci dei tre teatri coinvolti: Lara Komar e Primož Forte dello Stabile Sloveno, Patrizia Jurinčič e Jure Kopušar del Teatro Nazionale di Nova Gorica, Anja Drnovšek e Rok Matek del Teatro di Capodistria. Oltre a due importanti guest star: Petr Gazdik, idolo dei musical sui palcoscenici della Repubblica Ceca, e Tinkara Kovač, famosissima cantante pop slovena che in passato ha anche rappresentato la nazione all’Eurovision Song Contest.

È proprio a Tinkara che viene affidato il “calcio d’inizio”, con la celeberrima “Aquarius” (da “Hair”): brano che da un lato esalta immediatamente le sue qualità vocali ma che dall’altro soffre un po’ l’impostazione minimale data allo spettacolo, laddove invece avrebbe forse giovato di un maggior coinvolgimento di corpo di ballo e coreografie. Comunque nulla di particolarmente drammatico, così come la mancanza di “Let the sunshine in”, brano che idealmente va a braccetto con quello rappresentato.

Spazio poi a “Les Miserables”, con “On my own” e “The confrontation” entrambe promosse a piene voti. In particolare la seconda risulta davvero riuscita, con le voci maschili Jure Kopušar e Rok Matek molto in sintonia nel “duello vocale” che caratterizza il brano e che è sicuramente uno dei punti più alti dell’intero spettacolo.

Cambio radicale d’atmosfera per i due brani successivi, che ci portano tra i celeberrimi gatti di Andrew Lloyd Webber. Si inizia con l’emozione e l’intimità di un brano che non ha nemmeno bisogno di presentazioni, “Memory”. Il difficile compito di confrontarvisi (e di riflesso con i grandi nomi che l’hanno interpretata a Broadway) spetta a Lara Komar, che riesce a fare un buon lavoro nonostante non sia probabilmente il tipo di voce migliore per il brano: come dimostrerà anche in pezzi successivi, la sua è una voce molto “ariosa”, che più sale su note alte e più mostra un’inclinazione lirica. Una scelta certamente atipica per un brano normalmente interpretato in modo più “terreno”, con voce di petto anche sui registri più alti e una tendenza generalmente più pop. È poi nuovamente la volta di Rok Matek, che convince nei panni suadenti e misteriosi di Mr. Mistoffelees.

Dal quartiere di Jellicle si vola poi in Argentina, per un musical che -le stranezze dello show business!- oggigiorno viene ricordato quasi più per il volto che l’ha rappresentato al cinema invece che su un palco, quello di Madonna. Ottima la prova di Patrizia Jurinčič (che aveva comunque già convinto appieno in “On my own”) nei panni di Evita: sia per il trasporto mostrato in “Don’t cry for me Argentina”, sia per la prova vocale in una rutilante “Buenos Aires” che l’ha vista cimentarsi con la difficoltà aggiuntiva del ballo, fattore che ha sempre notevole impatto su diaframma e gestione della voce.

A seguire un trittico, dedicato a “My fair lady”. “On the street where you live” vede l’esordio di Petr Gazdik, che mette subito in chiaro perché venga considerato un idolo del musical: voce potente, con un controllo perfetto, che incanta sin dal primo secondo. Poi una “I could have danced all night” con una Lara Komar per cui si rinnovano i dubbi vocali del brano precedente (voce di stampo lirico non completamente adatta al brano) ma che piace e diverte dal punto di vista attoriale, complice una scelta coreografica intrigante che la vede ballare con degli specchi e con la sua immagine riflessa. Infine una divertente “Get me to the church on time” affidata (con scelta perfetta) a un Primož Forte che dimostra di avere un phisique du role ottimale per questo genere di pezzi “leggeri” e che stampano un sorriso sulle labbra.

È poi ancora la volta di Petr Gazdik, con il difficilissimo “Confrontation” da “Jekill and Hide”: un brano che mette a dura prova qualsiasi voce maschile lo affronti, con continui cambi di tono e registro mentre le due parti del povero dottore dialogano e lottano tra loro. Prova che comunque Gazdik supera egregiamente, nonostante la parte di Jekill sia quasi al limite del suo range. E anche in questo caso nota di merito per la messa in scena, che pur essendo molto semplice è davvero d’impatto e rende appieno il lancinante duello interiore del protagonista.

Dopo Miss Saigon e il duetto tra Jure Kopušar e Anja Drnovšek in “The last night of the world” (buona la prova di entrambi), due pezzi anche per “West side story”, la versione moderna di Romeo e Giulietta firmata da Bernstein. Per primo “America”, bel brano corale promosso a pieni voti sotto tutti i punti di vista. Buone le prove vocali di tutti, ottime le coreografie e perfetta l’atmosfera restituita alla platea. A seguire l’intima “Maria”, con l’ennesima ottima prova solista di Petr Gazdik.

Secondo e ultimo musical ad avere in scaletta tre brani, a chiudere il primo atto è “Jesus Christ Superstar”: si inizia con un ironico e antipatico (ma è esattamente così che deve essere!) re Erode/Rok Matek che sbeffeggia ripetutamente il Cristo, per continuare con un’emozionante “I don’t know how to love him” e una Tinkara che sa ben rappresentare il triste e rassegnato dilemma interiore di Maria Maddalena. Figura solo di contorno, presente sul palco ma in disparte e in silenzio, Gesù Cristo prende voce nella finale “Gethsemane”, dove Petr Gazdik mostra ancora una volta la sua padronanza pressoché totale della voce e dello spirito del musical.

Dopo la pausa è il momento di due “toccata e fuga”, due musical rappresentati da un solo brano ciascuno. Si inizia con l’intimità piena di speranza di “Maybe this time” da “Cabaret” (ha sorpreso un po’ questa scelta al posto della title track) con Anja Drnovšek, per continuare con la spensieratezza di “If I were a rich man” da “Il violinista sul tetto” e un Primož Forte ancora molto a suo agio nel ruolo).

Non poteva mancare il musical più longevo della storia: e quindi “The phantom of the opera is there!”, con “All I ask of you” e il celebre duetto che da il titolo all’opera. A vestire i panni di Christine in entrambi i brani è Lara Komar, qui decisamente più a suo agio rispetto ai brani precedenti. Non a caso stavolta la protagonista è una cantante lirica e la voce della Komar appare infatti finalmente nel posto giusto al momento giusto. Inclusa la difficilissima parte finale del secondo pezzo, con Christine che sotto le esortazioni di un bravissimo Patrik Greblo (”guest voice” nei panni del Fantasma) si esibisce in vocalizzi sempre più alti, fino al riuscito acuto finale.

Ancora una volta ottima la prova successiva di Tinkara con l’intramontabile “Summertime”, che lancia la volata finale passando il testimone ai musical targati Disney. Forse un po’ debole la Mary Poppins di Anja Drnovšek in “Supercalifragilistichespiralidoso” ma a bilanciare c’è la riuscita ed esilarante (in senso buono) prova danzereccia di tutto il corpo di ballo. Atmosfere più rarefatte e suadenti per “A whole new world” da Aladdin e un Rob Matek bravo ma un po’ sottotono rispetto ai brani interpretati nel primo atto. Abbastanza inspiegabile invece il fatto che sia stata completamente tagliata dal brano la parte cantata dalla principessa Jasmine.

Torna infine Tinkara con “Circle of life” da Il Re Leone, con una prova vocale di alto livello come le precedenti e un’inattesa parentesi da flautista. Peccato solo si sia deciso per la sua presenza solista sul palco, laddove nel musical originale (o nel film, per chi non lo avesse mai visto a teatro) il brano sia un’enorme festa visuale e visiva, con tutti gli animali accorsi per la nascita di Simba.

C’è ancora il tempo per un cambio totale di atmosfera, con la chiusura affidata a “Moulin Rouge” e a un passionale “Tango de Roxanne” emozionante sia dal punto di vista canoro (ottime prove di Petr Gazdik e Primož Forte, col secondo che stupisce con una voce roca e “cattiva” che non aveva sfoggiato prima) che coreografico, con il tango sensuale messo in scena da Sinisa Bukinac e Dana Petretic.

Una lunga maratona, quindi. Oltre due ore e mezza di spettacolo che nonostante la durata non pesano e volano via facilmente. Non tutti gli ingranaggi funzionano perfettamente, come si è indicato nella descrizione dei vari brani, ma l’impatto generale è promosso a pieni voti e un plauso va agli ideatori perché non è certo facile mescolare con successo una simile quantità di “hit”, così famose da innalzare di molto il rischio che ogni brano “mangi” gli altri. C’è inoltre tempo per rodare meglio il tutto e sistemare quelle piccole cose che qui e lì fanno scendere un po’ il ritmo della messa in scena: lo spettacolo sarà infatti in replica fino all’11 Ottobre, sempre al Kulturni Dom di via Petronio. E ovviamente (per chi se lo stesse chiedendo) con gli immancabili sovratitoli, sia in italiano che in sloveno, per gustare appieno non solo il suono ma anche il significato di tutti i testi.

Luca Valenta /©Instart