Il Visionario di Udine ha inaugurato nel migliore dei modi i cento posti della nuova fiammante sala Eden prima in Regione con sistema audio immersivo Dolby Atmos da 43 casse acustiche e proiettore 4K su schermo di 9 metri.
Non poteva esserci inizio migliore che la proiezione della nuova versione del capolavoro di Coppola, visto in prima europea in Piazza Maggiore a Bologna da oltre diecimila persone nell’edizione dello scorso anno del festival Il cinema ritrovato.
La sala è senza alcun dubbio straordinaria, promette e permette eccezionali esperienze sensoriali. Nessuna tecnologia però potrà mai surclassare la magia di un racconto cinematografico come quello di Coppola. Il cinema nella sua essenza ha di certo bisogno di un supporto tecnologico, non esisterebbe altrimenti, ma è davvero qualcos’altro di molto più astratto e immateriale che lo sostiene e che lo rende così importante per il nostro immaginario.
In questo senso, Apocalypse Now ha la statura dell’epica classica e la forza straniante della poesia per immagini. Ogni nuova versione della pellicola permette di coglierne ulteriori sfumature di senso e si apre a nuove interpretazioni com’è per le vere opere d’arte che si trasformano e integrano con il passare del tempo rimanendo contemporanee perché sempre in perfetta sintonia con lo spirito del proprio tempo. Coppola ha dichiarato:
“Dato che l’originale di Apocalypse now non era solo lungo ma anche insolito nello stile e nella sostanza per un film dell’epoca, abbiamo pensato di tagliare ove possibile non solo per questioni di tempo ma anche per tutto ciò che poteva sembrare strano (Quindici anni dopo rivedendolo) Mi sono reso subito conto che il film non era così strano come pensavo ed era diventato più contemporaneo. Aggiungiamoci che molti pensavano che fosse stato scartato tanto ottimo materiale. Tutto questo ha condotto a quello che è stato poi chiamato Apocalypse Now Redux. In quella versione veniva ripristinato tutto ciò che era stato tagliato. In seguito, quando mi chiedevano quale versione preferissi vedere in circolazione, mi capitava spesso di pensare che l’originale del 1979 fosse stato accorciato troppo brutalmente e che Redux fosse troppo lungo, così mi sono deciso a favore di quella che mi sembrava la versione perfetta, che è intitolata Apocalypse Now – Final Cut”.
Al di là delle diverse, successive versioni d’autore, non è per niente escluso che Coppola non ne abbia in serbo altre. Se si volesse tracciare concisamente il senso e la direzione di questo capolavoro, credo che la definizione più adatta sarebbe: una topografia dell’orrore esistenziale nel mondo contemporaneo.
Pochissimi altri film negli ultimi decenni hanno saputo interpretare così lucidamente l’orribile vuoto che ci abita.
Il lavoro di Coppola è un libero adattamento di Cuore di tenebra di Joseph Conrad, ma in realtà l’operazione letterario-cinematografica è solo un pretesto che permette al regista di compiere un percorso interiore che, grazie alla sua arte, coincide con un itinerario nell’immaginario collettivo.
La rappresentazione della guerra del Vietnam costituisce lo scenario che fa da sfondo ad un autentico percorso iniziatico. Come dimostra il magnifico documentario girato sui set del film da Eleanor Coppola (moglie del regista) e successivamente montato da Fax Bahr e George Hickenlooper: Viaggio all’inferno (Hearts of Darkness: A Filmaker’s Apocalypse, Usa 1992), Coppola ha concepito la propria opera principalmente come una sfida contro se stesso.
I tre anni di lavorazione della pellicola, buona parte dei quali spesi a girare nei set delle foreste tropicali delle Filippine a stretto contatto con le tribù indigene (la scena della macellazione rituale del toro nelle sequenze finali fu girata praticamente dal vivo), rappresentarono per il regista e la sua troupe un’autentica discesa agli inferi, un itinerario interiore al quale le droghe psicotrope non furono per niente estranee.
Il tutto è riassumibile analizzando i retroscena della sequenza iniziale del film: il delirio di Martin Sheen è una vera trance indotta da chissà quali sostanze (forse più semplicemente era ubriaco fradicio). Nelle immagini di Eleanor Coppola si vede l’intera sequenza che poi fu montata solo in parte, alla fine della quale Sheen, dopo essersi ferito profondamente una mano per aver rotto uno specchio con un pugno, ebbe un vero attacco cardiaco le cui conseguenze lo tennero fuori dal set per i successivi due anni.
La musica che accompagna quel delirio, lo sappiamo bene, è The End dei Doors; Jim Morrison, Ray Manzarek anima del gruppo, erano amici di Coppola, erano stati studenti dello stesso corso di cinema alla UCLA di Los Angeles. I versi della canzone sembrano anticipare la trama e il senso del film e non è escluso che il regista si sia proprio ispirato ai versi dell’amico poeta, facendo iniziare il proprio film proprio da The End (L’inizio della fine); in un loop temporale che nelle prime versioni prevedeva la canzone durante il bombardamento finale (la fine dell’inizio) in un’autentica palindromia che lascia ancora oggi lo spettatore a domandarsi in quale dimensione e scansione cronologica si sia svolta la vicenda, in una “tenaglia temporale” che anticipa di quarant’anni quella bolsa e fiacca del recente sopravvalutato Tenet di Cristopher Nolan (Usa 2020)
E’ proprio ai tempi dell’università che nella mente del giovane sceneggiatore John Milius, che allora viveva nella propria auto e si definiva surfista pazzo, germinò l’idea di trasporre allegoricamente Cuore di Tenebra di Conrad ambientandolo durante la guerra del Vietnam che già allora compiva i suoi orrori. In seguito, l’amico George Lucas gli presentò il giovane Coppola e il viaggio prese forma. Sono solo aneddoti certo, interpretazioni cinefile, ma in qualche modo rappresentano perfettamente l’ambiente dal quale è scaturito il lungometraggio di Coppola. A questo proposito, spesso ci si dimentica di sottolineare, la breve sequenza nella quale Jay Hicks detto “Chef”, uno dei compagni del viaggio all’inferno del protagonista, legge Sexus di Henry Miller nel quale viene colta la realtà umana in tutta la sua contraddittoria spinta verso l’abiezione fisica e morale fino all’annullamento nella bestialità e il contemporaneo anelito verso l’ascesi spirituale e la metafisica.
Mentre girava, il regista aveva in mente un modello preciso cui fare riferimento: la lavorazione del Napoléon di Abel Gance. Le testimonianze su quel set degli anni che vanno dal 1925 al 1927 sono tra le più incredibili di tutta la storia del cinema. Gance come un condottiero incitava comparse ed attori in modo talmente convincente che questi, durante le varie scene di battaglia, si immedesimavano talmente nella loro parte da finire col ferirsi davvero.
Quella di Gance era l’illusione di un pazzo visionario: la ricerca impossibile di un realismo estremo, assoluto. Negli immensi studi della Cinéfrance Film e nei grandiosi set in esterna, la ricostruzione degli ambienti e delle situazioni di epoca napoleonica fu maniacale e in alcuni casi furono utilizzati costumi e armi originali prestati, seppur a malincuore, dal Musée de l’Armée.
Coppola, cinquant’anni dopo, quasi a voler celebrare la grandezza del suo illustre predecessore, volle cimentarsi in un’impresa per proprozioni e intenti ugualmente titanica.
Apocalypse Now però non rappresenta solo il viaggio di Coppola dentro se stesso ma anche la messa in scena di un’intera generazione che guarda se stessa. Sono i giovani degli anni ’60 che, allora pieni di speranze e di progetti, in quel momento, si vedevano costretti a fare i conti con la disillusione e con gli orrori della guerra.
Ma sarebbe semplicistico ridurre Apocalypse Now ad una mera riflessione sulla fine di una delle tante età dell’innocenza che la gioventù americana ha attraversato. Tutto il film ha un altro scopo, il suo scopo è Kurtz.
La vicenda narrata è quella del capitano delle forze speciali Willard, interpretato dall’ottimo Martin Sheen, che durante la guerra del Vietnam viene incaricato di risalire il fiume Nang che dalla foresta vietnamita lo porterà nel cuore della Cambogia, al fine di rilevare un colonnello dell’esercito americano impazzito che gestisce una guerra privata in quel paese. Durante il viaggio, Willard prende coscienza degli orrori e dell’inanità di quella guerra, di tutte le guerre. Ma è solo al suo arrivo a destinazione che la sostanza del male gli si manifesta.
Il colonnello Kurtz è la personificazione del Male, ma non di quello metafisico e astratto della teologia, ma di quell’umore nero che pervade in particolare la società occidentale.
La civiltà cosiddetta democratica per difendere i propri valori che dovrebbero basarsi sugli ideali universali di giustizia e libertà, nelle loro varie interpretazioni, non esita a commettere i più efferati crimini per annichilire ciò che avverte come minaccia, diventando così paradossalmente più crudele ed efferata della barbarie che vuole contrastare che, altro non è se non il diverso, l’atipico, il non omologabile.
Kurtz è il migliore esecutore di questa politica, colui che ha portato alle estreme conseguenze il processo in atto nelle nostre società. Non si nasconde più dietro principi fasulli, ma fa fino in fondo quello che deve essere fatto. Porta alle estreme conseguenze senza pusillanimi infingimenti l’orrore che è la vera sostanza dell’Occidente, soprattutto nella sua fase coloniale che ancora dura. Tutto il processo è sintetizzabile dalla seguente frase del film, che peraltro riassume anche le dinamiche della politica estera americana degli ultimi cinquant’anni: Drop the bomb, Kill ‘em All! Su un muro dell’approdo nel malvagio regno di Kurtz nel folto della jungla cambogiana si legge: Our motto, Apocalypse Now!
Un’aberrazione certo, non c’è alcun metodo e Coppola non ha dubbi in proposito, è il volto dell’orrore, ma è anche il risultato della falsa coscienza con la quale la civiltà occidentale è solita mascherarsi. E’ stato così fin dall’inizio o comunque almeno dal sorgere delle democrazie moderne. Gli ideali di fratellanza, uguaglianza e libertà sui quali in linea di massima tutte si fondano, sono da subito stati barattati sugli altari del profitto e della convenienza politica, naturalmente con l’effetto di spargere il sangue di milioni di innocenti. Basti pensare, a titolo di esempio, alle vicende dei rivoluzionari francesi in salsa napoleonica, nell’isola di Haiti alla fine del XVIII° sec.
Kurtz ha la piena, dolorosa consapevolezza di questa sconfitta esistenziale. E’ un angelo caduto, un demone nel fondo della Gheenna che, non a caso, nel film legge, tra l’altro, anche il Paradise Lost di John Milton. E’ un Lucifero gnostico, conscio della tragicità del proprio compito. Non aspetta altro che qualcuno che lo sollevi dal proprio insopportabile orrore. Willard è il solo degno di porre fine alle sue insopportabili sofferenze.
Un altro momento rivelatore è la lettura da parte di Kurtz, immenso Marlon Brando, di alcuni versi di The Hollow Men di T.S. Eliot che il poeta scrisse in riferimento al Kurtz di Cuore di Tenebra di Conrad, assimilato ad un’entità sciamanica nel suo rapporto con il mondo selvaggio e primitivo degli uomini della foresta. Il tema è quello della degradazione dell’umano attraverso il rigetto del bene e la conseguente, inconsolabile disperazione dovuta al senso di colpa. Gli uomini vuoti sono quelli al di là della morale, esseri di puro istinto e ferocia, capaci di qualunque brutalità o tenerezza senza possibilità di discernimento. I primi versi dicono:
We are the hollow men We are the stuffed men Leaning together Headpiece filled with straw. Alas! Our dried voices,when we wisper together are quiet and meaningless as wind in dry grass or rats’feet over broken glass in our dry cellar Shape without form, shade without colour, Paralysed force, gesture without motion; Those who have crossed with direct eyes, to death’s other kingdom Remember us – if it all – not as lost violent souls, but only as the hollow men the stuffed men |
Siamo gli uomini vuoti siamo gli uomini impagliati che appoggiano l’un l’altro la testa piena di paglia. Ahimè! Le nostre voci secche, quando noi insieme mormoriamo sono quiete e senza senso come vento nell’erba rinsecchita o come zampe di topo sopra vetri infranti nella nostra arida cantina Figura senza forma, ombra senza colore, forza paralizzata, gesto privo di moto; coloro che han traghettato con occhi dritti, all’alto regno della morte ci ricordano – se pure lo fanno – non come anime perdute e violente, ma solo come gli uomini vuoti gli uomini impagliati. |
Sono proprio gli uomini di cui Kurtz dice di avere bisogno per vincere la guerra: “se avessi dieci divisioni di uomini così, i nostri problemi sarebbero finiti da tempo. C’è bisogno di uomini con un senso morale ma allo stesso tempo capaci di utilizzare il loro primordiale istinto di uccidere senza sentimenti, senza passione, senza giudizio, perché è il giudizio che ci indebolisce”.
Non si creda che l’assassinio (sacrificio rituale) di Kurtz da parte di Willard risolva il problema. E’ vero il contrario, Willard riesce nel suo intento proprio perché il viaggio iniziatico che ha compiuto lungo il fiume che conduce al regno della morte l’ha trasformato a propria volta in un essere feroce e amorale proprio come Kurtz al quale è destinato a sostituirsi. Così lo percepiscono i selvaggi della foresta, che assistono e preparano un rituale come quello dell’avvicendamento dei re tramite sacrificio umano descritto da J.Frazer nel suo Ramo d’oro, citato in una sequenza del film.
Ma il male non è così facilmente emendabile dal nostro sistema, è un cancro praticamente inestirpabile. Geniale a questo proposito la scelta del finale aperto nell’opera di Coppola che, nelle tre conclusioni girate prevede nell’ordine: che Willard, dopo averlo ucciso, si sostituisca a Kurtz nella sua follia demoniaca (inedito), che Willard abbandoni tutto per tornare alla civiltà, che un bombardamento cancelli ogni cosa (uno dei tanti Arc Light Bombing messo in atto dai famigerati B-52D Stratofortress citati più volte nel corso della vicenda). This is the End?
All’inizio del film quando il subdolo Generale Corman incarica il sicario capitano Willard della sua missione omicida dice:
In questa guerra tutto diviene confuso laggiù, il potere, gli ideali, un certo rigore morale, esigenze militari contingenti…ma laggiù con questi indigeni si può essere spinti a credersi dio…perchè c’è un conflitto in ogni cuore umano tra il razionale e l’irrazionale e tra il bene e il male…però non sempre il bene trionfa…a volte le cattive tentazioni hanno la meglio su quelli che Lincoln chiamava “i migliori angeli della nostra indole”, I buoni istinti morali…Ogni uomo ha un suo punto di rottura, noi due l’abbiamo, Walter Kurtz ha raggiunto il suo, e evidentemente è uscito di senno.
Ogni uomo è diviso in due parti, una che ama e una che uccide, non sempre è facile mantenere l’equilibri. La pellicola ci mostra in modo anche straziante come ognuno di noi sia stabilmente abitato dall’orrore. Dice il colonnello Kurtz: Ho osservato una lumaca strisciare lungo il filo di un rasoio, questo è il mio sogno, è il mio incubo: strisciare, scivolare lungo il filo di un rasoio e sopravvivere.
This is the End?
© Flaviano Bosco per instArt