Subito dopo il trionfale concerto al Teatro romano di Verona, che da duemila anni guarda scorrere davanti a se l’Adige, Alice è tornata sulle rive del Tagliamento per un’emozionante esibizione al Settembre latisanese.
Da molti anni il comune di Latisana, per i suoi festeggiamenti settembrini, adotta una politica del tutto particolare: offrire ai propri concittadini spettacoli d’ottima caratura a titolo completamente gratuito.
In un mondo dove tutto sembra dover avere per forza un prezzo, emozioni e sentimenti compresi, è un bel modo di gestire la cosa pubblica e anche di attirare persone alla festa paesana.
Chi ha pensato di investire così i denari delle sempre più miserande casse comunali probabilmente ha fatto bene i propri conti, in ogni caso, una scelta vincente e in controtendenza non c’è che dire.
Si può discutere sul metodo ma è fuor di dubbio il gradimento del pubblico. Per Carla Bissi in arte Alice il pubblico non si è fatto certo pregare. I posti disponibili sono andati immediatamente esauriti a fronte di moltissime richieste che non si sono potute esaudire.
Le esibizioni di Alice sono relativamente rare e di sicuro preziose, la sua voce inimitabile è restata nel cuore di molti che continuano a desiderare la sua presenza e le emozioni che sa regalare.
Quest’anno, probabilmente per rispettare le stringenti norme anticovid, a Latisana si è pensato di attrezzare per i concerti, un parcheggio all’aperto del centro cittadino; palco, poltroncine numerate con prenotazione obbligatoria, ingresso presidiato dalla protezione civile e dalla croce rossa, termoscanner, gel igienizzanti, tutto organizzato con grande precisione, alla friulana insomma. Quello che è stato trascurato è un piccolo particolare: il traffico della contigua strada provinciale che si immette sulla statale 14, arteria vitale che, attraverso il ponte sul fiume Tagliamento, a poche centinaia di metri dal palco, congiunge il Friuli al Veneto
Detto questo, è assurdo che un’artista della grazia e levatura di Alice, che merita teatri prestigiosi e antiche arene, si sia trovata costretta ad esibirsi in condizioni così precarie; fa piangere il cuore.
Alice, però, da grandissima artista come è sempre stata, elegante ed eterea, non si è minimamente scomposta ed è salita sul palco improvvisato creando immediatamente con la sua classe un’atmosfera intima, raccolta e raffinata, incantando il pubblico con la sua arte raffinatissima.
Si è trattata proprio di una malia, in un attimo sembrava sparito anche il semaforo che al verde e al rosso frapponeva il giallo proprio a fianco del palco, svanito il vociare degli avventori delle bancarelle di dolciumi o salamelle, scomparso o appena percettibile il traffico e il rombare delle motociclette che comunque hanno continuato a passare per tutto il tempo a pochi passi dall’artista e dal pubblico.
La forza magnetica di Alice e della sua musica sono state talmente potenti che il contrasto tra la sua grazia e lo squallore che la circondava è quasi sembrato un effetto artistico voluto e di particolare creatività. In quel momento lei era come la Venere degli stracci di Pistoletto, un fiore germogliato sul cemento armato, letteralmente.
E’ quasi un discorso paradossale e forse consolatorio ma il Maestro ci ha insegnato come è difficile vedere l’alba dentro l’imbrunire e noi dobbiamo sforzarci di onorarlo anche nei momenti più assurdi. Proprio perché alcuni brani di Battiato sembrano essere costruiti per elevarsi al di sopra del rumore bianco dell’insensatezza dal quale emergono e si distaccano verso quell’Oceano di silenzio dove ogni contraddizione si risolve e ogni dolore si compone, quasi un ricordo del concetto di rumore di Stockhausen e delle lontane lezioni di Musica concreta che Battiato frequentò a Monaco:
“Tutti i rumori – diceva – sono musica di oggi, della nostra era determinata dal rapporto spazio tempo in cui il movimento, la direzione, la velocità dei suoni divengono elementi calcolati di una composizione. L’obiettivo è resuscitare l’arsenale tradizionale dei suoni e rinnovarlo con tutti i mezzi com’è successo in ogni periodo storico”.i
Si pensi al Quartetto per archi ed elicotteri composto dal musicista tedesco nel 1993 che in occasione del suo settantacinquesimo compleanno eseguì al festival di Salisburgo. Quattro elicotteri in volo, con quattro musicisti (due violini, una viola e un violoncello) che suonarono collegati da cuffie. Il pubblico ascoltò da terra, attraverso gli amplificatori, il mix d’archi e pale di elicotteri. Alla fine della straniante esecuzione dichiarò: “E’ andato tutto bene, solamente mi ha seccato il brusio del pubblico che ha disturbato il suono dei motori degli elicotteri”
Un brano di Battiato come Un’altra vita, interpretato magistralmente da Alice, si riferisce testualmente ai problemi causati dal traffico e al loro effetto deleterio sul nostro umore e relative relazioni sociali e non è certo l’unico su questo tono.
Lei, splendida come sempre, dotata di un talento e di un’eleganza unici e fuori dall’ordinario con una voce setosa e calda in pieno risalto. “Io non invecchio, niente più m’imprigiona” canta ed è vero sia dal punto di vista fisico che artistico. Con la sua sola presenza e una classe eccezionale riempie il palcoscenico e attira gli sguardi e l’attenzione con gesti aggraziati, movimenti delicati eppure flessuosi.
Da anni magistrale ed insostituibile anche l’accompagnamento al pianoforte di Carlo Guaitoli con efficacissimi arrangiamenti dei brani di Battiato. Guaitoli “è musicista eclettico, interessato ai diversi linguaggi contemporanei, da più di vent’anni è stretto collaboratore di Franco Battiato; al suo fianco ha registrato numerosi dischi sia come pianista che come direttore alla guida di prestigiose orchestre come la Royal Philharmonic Orchestra e l’English Chamber Orchestra”. (www.furcht.it)
La scaletta dello spettacolo è in parte tratta da uno splendido omaggio di Alice al Maestro che era “Gioielli Rubati” del lontano 1984, non mancano però gli altri brani del loro lungo sodalizio. Ognuno merita di essere ricordato con qualche verso del testo perché già da soli diventano un percorso nella trascendenza, cantati da Alice sono quasi un’esperienza estatica, forse solo il maldestro tentativo di cut-up burroghsiano che segue può cercare di restituire quella magia, altrimenti del tutto irriproducibile attraverso queste modeste considerazioni.
Luna indiana, il tempo passa e noi non siamo dei; E’ stato molto bello si prolungano le ombre oltre la sera, non domandarmi dove porta la strada seguila soltanto; Eri con me, siamo detriti, relitti umani, trascinati da un fiume in piena, che non conosce soste né destinazione; Lode all’inviolato ne abbiamo attraversate di tempeste; riconoscersi è la chiave che aprirà qualunque porta Veleni, veleni…Quando la terra si dissolverà saremo liberi; Segnali di vita nei cortili e nelle strade all’imbrunire le luci fanno ricordare le meccaniche celesti; Non servono più eccitanti o terapie ci vuole Un’altra vita; La luce si unisce allo spazio sono una cosa sola, indivisibili. Io sono, Io chi sono? Povera patria schiacciata dagli abusi di potere di gente infame che non sa cos’è il pudore; Volano gli uccelli volano oh oh; Passammo l’estate su una spiaggia solitaria (Summer on a solitary Beach); Il vento caldo dell’estate ci sta portando via; ti lascio un messaggio: vai via dalla mia vita con I treni per Tozeur; Chanson egocentrique self centred song; La stagione dell’amore tornerà; E ti vengo a cercare, ti salverò da ogni malinconia (La cura) sulla Prospettiva Nevski; Per Elisa non sai più distinguere che giorno è, e poi non è nemmeno bella; E l’animale che mi porto dentro vuole te; spero che ritorni presto L’era del cinghiale bianco.
Spero si perdonerà questo gioco linguistico che non vuole essere per niente solo un esercizio di stile o un grottesco, caricaturale e maldestro tentativo di richiamare alla memoria tanta bellezza e poesia. Alice non è solamente una delle voci più belle e intense della storia della musica italiana, in questi concerti dedicati a Battiato, è anche una musa che canta il proprio poeta ormai silente, è una sorta di manifestazione di Calliope “dalla bella voce” o di Euterpe “colei che rallegra”.
Certo è che anche in un parcheggio riadattato, a fianco di un semaforo, con il rombo del traffico, nel bel mezzo di una sagra paesana si può lodare l’inviolato se a guidarci c’è la grazia di Alice. Un mazzo di rose bianche, simbolo di purezza e di candore d’intenzione, donate dal pubblico all’artista, ha suggellato un’esibizione indimenticabile e d’inarrivabile eleganza.
iIn Stockhausen: la musica dal rumore di Antonio Lodetti, il Giornale 08/12/2007
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