Scampato ad un temporale serotino che, come da previsioni meteo, alle 20,30 precise ha chiuso i rubinetti del cielo, il Banco del Mutuo Soccorso si è esibito sul palco di Majano promuovendo l’ultimo lavoro in studio dopo 25 anni di silenzio discografico.

Transiberiana è un capolavoro di rock progressivo che porta con sè una storia lunga cinquant’anni, con migliaia di chilometri di concerti alle spalle e altrettanti davanti, proprio come la strada ferrata che unisce Mosca a Vladivostok.

Stanotte in questa notte

Mi affaccio sopra la pianura

E il vento è una carezza

Estranea e fredda

Come i nostri sogni

Lasciati là, a congelare laggiù soli

così, da soli.

L’esibizione ha proposto alcuni brani del nuovo materiale, ma in scaletta a farla da padroni sono stati i materiali del glorioso passato della band. E’ naturale ed è stato molto stimolante ascoltare l’accostamento anche se forse l’ultimo lavoro avrebbe meritato un’esecuzione integrale proprio per il suo carattere concettuale di opera a sè stante; ci saranno di certo altre occasioni; quello che si è ascoltato è stato ottimo ed abbondante come il rancio in caserma.

Inutile dire qual è stata l’importanza del gruppo nella storia della musica italiana ed europea. Almeno i loro primi tre album ( B.M.S, Darwin!, Io sono nato libero) hanno segnato un solco e cambiato per sempre il rock progressivo, insegnando a cantare e a comporre a intere generazioni di musicisti. La rivista di riferimento del genere Prog UK lo ha recentemente ribadito proprio recensendo le ultime incisioni.

Certo, Vittorio Nocenzi è ormai un vecchio soldato con un pugnale nel cuore come dicono i versi di una sua meravigliosa canzone ma, come ha dimostrato durante il concerto di Majano, la musica del Banco è ancora tutta sulla punta delle sue dita. La sua creatività non si è per nulla esaurita, le sue mani continuano a sognare sulla tastiera tanto che ha annunciato di aver appena finito di comporre un’altra opera rock, questa volta tratta dall’Orlando furioso di Ariosto, un vecchio progetto che ci auguriamo veda presto la luce della sala d’incisione.

Il nuovo Banco, oltre a Nocenzi, naturalmente alle tastiere (Crumar Mojo, Studiologic e Minimoog d’annata) annovera lo storico chitarrista Filippo Marcheggiani da tanti anni fido collaboratore della band; l’altra ispirata chitarra di Nicola Di Già; la tonante batteria di Fabio Moresco; l’eccezionale basso dall’amplificatore valvolare di Marco Capozi e Tony D’Alessio dalla gran voce d’impostazione classica, drammatica e teatrale, tra metal e prog.

Cambiano gli interpreti ma la storia rimane la stessa. Il Banco è un’idea che non si può fermare. Tra il 2014 e il 2016 la nera signora si è portata via prima Francesco Di Giacomo e poi Rodolfo Maltese; voleva prendersi anche Vittorio Nocenzi che però è sopravvissuto ad un’emorragia cerebrale. Della line up originale rimane solo lui che è sempre stato, fin dagli inizi, l’ideatore e la mente del progetto musicale; può contare su una schiera di ottimi collaboratori e sull’aiuto del figlio Michelangelo anche lui compositore e musicista.

La musica che propongono è forte, robusta, strutturata con arrangiamenti versatili sia per i grandi volumi degli spazi aperti, sia per le esibizioni più intime e raccolte. I due chitarristi fanno un gran lavoro virtuosistico duettando spesso con le tastiere e con il moog con soventi virate verso l’Hard Rock; in primissimo piano anche il basso elettrico il cui tessuto ritmico è di gran pregio, con il suo sound particolarissimo connota stilisticamente alcuni brani storici e non è dir poco. Il tappeto sonoro della batteria è davvero imponente e massiccio com’è tradizione per la band, i colpi secchi di gran cassa, le potenti rullate spaccano e incalzano regalando agli spettatori la sensazione di una corsa a rotta di collo verso la stazione dove sta arrivando, sbuffante e sferragliante, il treno che tra poco ripartirà.

Nocenzi, oltre che grande musicista, è un grande oratore e adora intrattenere il pubblico anche con racconti, riflessioni personali, divagazioni d’ogni tipo che rendono il concerto una vera conversazione in musica e aiutano il pubblico a concentrarsi sulle cose che ascoltano in modo attivo e amichevole. La dimensione familiare e accogliente del Festival di Majano è stata proprio l’ideale per godere di quelle note. Il pubblico era come raccolto intorno alla coda di un enorme pianoforte, la musica è un’arte immateriale che è bello condividere faccia a faccia in uno scambio continuo tra i musicisti e gli spettatori. La musica nasce da sola ma non può esistere se non siamo in tanti a goderne. E’ proprio come in un Canto di primavera:

La primavera è altro che un cielo chiaro

e’ grandine veloce sui tuoi pensieri

ti cresce all’improvviso dentro la testa

E scopri che hai bisogno di questo sole

E non ti fa paura la sua allegria

…arriva all’improvviso, arriva come il mare

che non sai mai da dove

Ma dopo cinquantadue anni dal primo disco ufficiale ha ancora senso ascoltare la musica del Banco e perché dovremmo farlo? Cosa ci dice di attuale? Perché, negli ultimi tempi, anche molti ragazzi stanno riscoprendo le gioie del Rock Progressivo?

Risponderemo con le parole di Nocenzi tratte da varie interviste, cucite insieme alle cose che ha detto al pubblico dal palco di Majano tra un brano e l’altro. Come per il vino, esistono solo due tipi di musica: quella buona e quella cattiva. Non basta un tempo dispari, per fare del prog bisogna avere qualcosa da dire.

L’Italia è in un ritardo culturale mostruoso, è il tempo dell’ignorante presuntuoso, che ci amministra e decide per noi. Oggi un qualunque idraulico (con tutto il rispetto per gli artigiani) che arraffa la poltrona politica giusta si permette di mettere in discussione il lavoro di un biologo o di un virologo.

Uomo

non so

se io somiglio a te

non lo so

sento che però non vorrei

segnare i giorni miei con i tuoi

no no

Come nel brano Metamorfosi, primo nella scaletta del concerto, eseguito insieme alla parte strumentale di Stelle sulla terra in un meraviglioso corto circuito tra gli esordi della band e l’ultima incisione.

Con questi presupposti politici e culturali può essere importante la musica? E’ ovvio che no, la musica in queste condizioni è solo intrattenimento che è pur cosa piacevole ma l’errore è considerarla solo così, come un ornamento inessenziale. La vera musica è spiritualità, profondità, emozione, identità, poesia. Per fortuna sono ancora in tanti a pensarla così, solo che non riescono ad avere voce, i media evitano rigorosamente di occuparsene e lo show business non ci pensa proprio. Ragionare in quel senso è finanziariamente controproducente, l’essenziale è abituarsi a pensare sempre un po’ meno e incassare di più.

Come si dice nel brano Il ragno:

Io da sempre ho usato l’astuzia

Coi miei giochi di geometria è sciocco rischiare

Io sono il ragno che fila

Lungo i più oscuri buchi

Tendo l’agguato.

…Sono per tutti un saggio

Ma certo scrupoli non ne ho

Dentro i miei pregiati sudari

Delicato cullo la preda

Se potessi avvolgerti intero

Oggi forse la mia più preziosa preda

Saresti tu, prendi questo filo

Il Prog nasce libero è un crossover tra molti generi (classica, funky, jazz, hard rock, elettronica, ecc.), è una musica senza frontiere. Per superare lo schifo nel quale ci troviamo immersi, ognuno deve fare la propria parte. Come nella canzone Di Cento Mani è la nostra forza e Cento occhi fanno a noi la guardia. Un musicista deve costruire ponti con l’immaginazione e con il cuore. Transiberiana, l’ultimo concept album, è proprio un ponte tra quello che dobbiamo ancora realizzare e quello che non c’è perché ci hanno detto che l’utopia non vale più niente, contano solo i soldi.

Nella canzone L’imprevisto:

Essere unici, prendere le distanze

Annullare il nulla seminato nei nostri giorni

Essere soli, mettere spazio in mezzo

Annullare il nulla che ha affogato i nostri giorni

Nocenzi ha spiegato, al pubblico di Maiano, la visione utopica del Banco introducendo una struggente versione di un loro brano degli anni ‘80: Moby Dick.

Fernando Birri, regista argentino di origini friulane per cui Nocenzi ha scritto la colonna sonora del documentario Elegia friulana (2007) raccontava sempre che un tale gli aveva chiesto perché più camminava verso l’orizzonte più questo appariva lontano, ogni volta ci riprovava ma non riusciva mai a raggiungerlo. A cosa può servire una cosa così? Birri rispose che è ciò che ci spinge a metterci in cammino proprio come l’utopia.

Grande Moby Dick, regina madre segui le stelle che sai

Non fidarti della croce del sud, la caccia non finisce mai.

E danzerai sopra una stella marina.

E danzerai colpendo al cuore la luna.

Chi impazzì dietro di te non tornò mai più.

La sorte corre nella tua scia colpo di coda e vola via.

E’ proprio questo il momento di dare una risposta alle domande di tanti che si chiedono perché dovremmo cedere davanti ad una globalizzazione progettata non per i colori ma con un grigio topo partorito dalla finanza e non dalla vita quotidiana della gente. Stiamo scambiando l’ignoranza per un modo di vivere che ci permette di rimanere inconsapevoli di una realtà che ci spaventa ma anche colpevoli delle nostre mancanze e omissioni. L’ignoranza è nemica della libertà, ci rende burattini dei quali chiunque può tirare i fili.

Contro il potere che ci opprime, la musica intelligente può essere uno sberleffo come O’ Pernacchio di Eduardo De Filippo ne L’oro di Napoli di De Sica: Il pernacchio classico è un’arte ci si può fare la rivoluzione, deve unire cervello e passione e deve significare: Tu si ‘a schifezza ra schifezza ra schifezza ra schifezza ‘e l’uommene!

Il Banco è sempre stato una band di rock progressive, ma è soprattutto uno strumento per esprimere un progetto di vita, l’utopia dell’arte totale: il balletto come espressione del suono, il quadro della musica e la poesia come canto. La parte letteraria di un brano musicale amplifica e dilata le immagini indirette che la musica evoca quando l’ascoltiamo.

Ce lo ricorda l’incantato bis con una versione spericolata di Non mi rompete:

Non mi svegliate ve ne prego

Ma lasciate che io dorma questo sonno,

sia tranquillo da bambino

Sia che puzzi del russare da ubriaco

Perché volete disturbarmi?

Se io forse sto sognando un viaggio alato

sopra un carro senza ruote

trascinato dai cavalli del maestrale.

Nel maestrale …in volo!

Prima di concludere il concerto, Vittorio Nocenzi si è dilungato in un caloroso ed emozionante ringraziamento al Friuli e ai suoi abitanti per il grande calore sempre dimostratogli nel corso degli anni e per tutto quello che questa terra gli ha donato. La sua prima morosa, per esempio, a undici anni era proprio una coetanea friulana con la quale “manco un bacetto” ma tante cartoline e lettere d’auguri. Tra gli applausi e l’ilarità del pubblico felice ha anche raccontato di aver scoperto dell’incredibile legame tra culturale e folklorico tra le frasche friulane e le fraschette dei Colli romani, rustici luoghi di ritrovo contadini dove passare belle serate in amicizia, dove come diceva Alan Lomax, si possono unire le voci di lunghi, dolci accordi, con lacrime ubriache di vino e di piacere.

Ma c’è un altro legame fortissimo, che forse Nocenzi non conosce, tra l’ultimo lavoro del Banco (Transiberiana) e la storia d’emigrazione e sacrificio proprio dei luoghi in cui si è svolto il concerto di Maiano.

Dalle macerie di una casa di Buia (UD) poco lontano, dopo il terremoto del 6 maggio 1976 emerse un vecchio libro di preghiere con una strana invocazione scritta molti anni prima.

Oggi, il primo dell’anno 1900 sfida i rigori più intensi del freddo in una lugubre e lorda baracca Giordani Luigi, in compagnia di altri tredici friulani stando sempre allegri in aspettativa di un avvenire prospero e lucroso. Sta quindi a Dio il approntarcelo al quale noi tutti altri rendiamo unito i ringraziamenti. Anche il quore, Massovaja (Babuskin) Siberia.

Non appena cominciarono i lavori per la costruzione della colossale ferrovia nel 1881, dal Friuli cominciarono subito a partire operai specializzati (scalpellini, cavatori, tagliapietre ecc) per la Siberia. Da Gemona del Friuli ci volevano dai quaranta ai sessanta giorni di treno per arrivare fino ai primi cantieri.

Nel giugno 1894 uno di loro, Francesco Concina, scrive alla moglie nel suo precario italiano:

Abiamo pasato dei posti che abiamo avuto il giello alla barba 10 centimetri longhi, che abiamo pasato un lago di 7 chilometri con 15 cari tuti dietro all’altro con cinque persone per caro senpre al caloppo di sopra il giello, e arivando in un paese all’altro tuti igiellati e pieni di fae; e non trovando nulla da mangiare e in tanti posti si trovava solo pan negro e tuto ingiellato di non poterlo rompere, che se lo vedete in nei nostri paesi credete che sia un piezo di tera ingielata…Altro più ti dico che non ho mai pasieduto tanta sporchizia che toca posiedere qui in Siberia, che hanno ragione a dirsi Siberia cha sempio di tuto cimici , pulzi, pidochi, di tuto: er le case non lavano mai la roba che si mangia.

Da un altro racconto veniamo a sapere di Napoleone Locadin di Pradis che d’inverno cadde nel Lago Bajkal riuscendo a sopravvivere ai cinquanta gradi di temperatura esterna accendendo un fuoco nella taiga e da un branco di feroci lupi arrampicandosi sugli alberi.i

I dimenticati della Transiberiana di Christiane Rorato (Prelude media 2017) e’ un docu-film che ricostruisce in modo molto attento ed avvincente la vicenda, con riprese sul posto e ricostruzioni d’ambiente.

L’album del Banco racconta proprio delle difficoltà del viaggio, dei lupi, del lago Bajkal, del gelo e della speranza di un mondo nuovo. Lo fa come metafora della vita e come segno di speranza nel futuro, la stessa cui anelavano quelle centinaia di friulani che quel viaggio lo intrapresero davvero cento anni fa per guadagnare un pezzo di pane “gelato come un pezzo di terra nera” per sè e per le proprie famiglie.

Pensando ad un treno che sfida i ghiacci siberiani e all’eroismo dei suoi passeggeri viene in mente un vecchio film di Andreij Koncalovskij A trenta secondi dalla fine (Runaway Train 1985) su soggetto di Akira Kurosawa che l’aveva pensato per la Siberia. Come non pensare poi al meraviglioso Dersu Uzala, il piccolo uomo delle grandi pianure basato su resoconti di esplorazioni nei primi anni del ‘900 nei territori siberiani più estremi (Nel profondo Ussuri di Vladimir Klavdievic Arsenev).

Ma il film che forse può essere più proficuamente avvicinato al concept Transiberiana del BMS è di certo Snowpiercer di Bong Jon Ho dal quale è stata recentemente tratta anche una serie dallo straordinario successo. In un mondo futuro nel quale l’inquinamento e l’azione dell’uomo hanno generato una nuova spaventosa era glaciale planetaria, sopravvivono solo i passeggeri di un treno intercontinentale che percorre ininterrottamente una colossale ferrovia costruita attorno al mondo tra i ghiacci. A bordo vige una rigida differenziazione gerarchica: in prima classe se la godono i belli, facoltosi e di pura razza, nei vagoni di terza sopravvive un’umanità misera, meticcia, schiava e miserabile.

E da un branco, una tribù che va

da un villaggio una città

Gente che respira a tempo

Uomini rinchiusi dentro scatole di pietra

dove non si sente il vento

ma la voglia di fuggire che mi porto dentro

non mi salverà.

iElvira Kamrnscikova, Italiani sulle rive del Don, a cura di Elena Gori Corti e Angelo Floramo, Gaspari ed., Udine 2012.

© Flaviano Bosco per instArt