Stellare cine-concerto di Teho Teardo a Sesto al Reghena, un vero poema in musica dedicato a Man Ray in una vertigine sonora di immagini e vibrazioni metafisiche che hanno illuminato la notte di Sexto ‘nplugged, decennale rassegna di musiche d’avanguardia.
Ore 21,20: Opening act. Un marasma di voci registrate che si trasformano in un amalgama sonoro inestricabile introduce il DJ set di Gianluca Belluzzo con il suo progetto Anewart. I suoni sono violenti e immaginifici, tutti distorsioni chitarristiche estreme e ritmi ossessivi chiave dei riti tribali. Voci registrate all’aeroporto e basse frequenze e subwoofer da far tremare il rumine ai bovini, “una bass line bella cicciona” dice uno del pubblico. Il tutto rendeva l’atmosfera seducente ma altrettanto angosciosa e minacciosa.
Belluzzo ha una certa predilezione per i suoni minerali e metallici da vero carpentiere della tastiera sint ed è proprio questo il suo fascino, essere un costruttore di spazi sonori disanimati e meccanici. Ha suonato solo due brani ma ha sicuramente destato tra il pubblico un grande interesse. Più liquido e parcellizzato il secondo brano a volte perfino convenzionale e danzereccio, che scivola in profondità quasi nuotasse dentro agglomerati fluidi di suoni e vibrazioni, particella e onda globulare allo stesso tempo. Meno convincente del primo brano ma ugualmente d’effetto.
Sono stati complessivamente solo quindici minuti di ottima musica che ha convinto tutti. Belluzzo è un sicuro talento della musica sintetica che sempre più, in casi come questo, si declina verso gli orizzonti dell’arte. Finito, saluta e se ne va ma la musica dal palcoscenico continua senza di lui, un vero esempio di libertà sonora, la musica si svincola ed emancipa dal proprio esecutore continuando ad interagire con il proprio pubblico.
Qualche minuto di pausa e subito prende forma l’evento che tutti stanno aspettando trepidanti.
Diceva Pier Paolo Pasolini:
Il mondo delle canzonette è oggi un mondo sciocco e degenerato. Non è popolare ma piccolo borghese. E come tale profondamente corruttore. La Rai Tv è colpevole della diseducazione dei suoi ascoltatori anche per questo. I fanatismi per i cantanti sono peggio dei giochi del circo. (Vite Nuove, 1964)
Sono passati molti anni da allora ma certe cose non sono per niente cambiate. Cosa sono i talent se non degli spettacoli circensi con le bestie, i domatori e relativi pagliacci che tanto piacciono al pubblico?
Di tutt’altra pasta è fatto Teho Teardo che su Pasolini ci ha lavorato a lungo, così come sembra essere Sexto ‘nplugged che anche quest’anno, puntuale nonostante il flagello del Covid, propone un programma di concerti di altissimo livello. Archiviata la prima serata con l’ottimo concerto di Low Roar in esclusiva nazionale, si passa ad una stella di prima grandezza, uno space cowboy della sei corde di cui qualche volta ci dimentichiamo, Teho Teardo è uno dei musicisti più straordinari e creativi della scena italiana ed europea e il suo ultimo lavoro: Elipses dans l’harmonie dimostra ampiamente il suo attuale stato di grazia.
La sua inesausta iper attività lo porta a comporre continuamente, passando da un progetto musicale all’altro, dalle colonne sonore alla musica d’arte senza dimenticare la sua attività concertistica e di studio, senza alcun timore di sovraesposizione. Si sente che ha molto da dire e lo fa nel migliore dei modi. Tutto in perfetta controtendenza con il clima generale di squallore musicale che stiamo vivendo nel nostro Paese ormai da anni.
Teardo è un personaggio pubblico d’artista spesso scomodo che sa essere, giustamente, ruvido e intransigente con i meccanismi perversi dello show business. Si ricordano alcune sue dichiarazioni di fuoco ai giornali con duri commenti sulle politiche culturali non solo regionali. Il chitarrista non le manda certo a dire e fa bene; di pusillanimi e baciapile ne abbiamo a sufficienza. Questo suo carattere sanguigno e polemico si rispecchia anche nella sua musica che spesso risulta caustica, irredimibile, tellurica, materica.
Proprio la prima esecuzione di queste musiche per i film di Man Ray commissionategli alcuni anni fa in occasione di una celebre mostra sul maestro surrealista, generò un diverbio dovuto alle sacrosante rimostranze del musicista che si lamentava dell’inadeguata promozione dell’evento.
Minacciava di far saltare il concerto che poi, infine, per fortuna si fece. I brani vennero poi incisi dando vita ad uno dei capolavori della musica d’arte contemporanea e non si tratta di un’esagerazione ma di chiamare le cose con il proprio nome.
E’ proprio quella meraviglia che è stata riproposta nella corte interna della millenaria Abbazia di Santa Maria in Silvis a Sesto al Reghena, creando un corto circuito artistico dalle incredibili suggestioni tra le architetture medievali del luogo, le sinuose e liriche immagini stranianti di Man Ray e le fredde rasoiate di certi accordi di Teardo in netto contrasto con entrambe e perciò perfettamente Dada, l’avanguardia cui apparteneva il fotografo (Dada c’est partout). La sua musica è tutt’altro che di commento alle immagini ma agisce per sovrapposizione, accostamento e accumulo anche cacofonico e di contrasto alle sculture nel tempo che scorrono sullo schermo. Con l’aiuto della viola di Chiara Michelangeli, del violino di Elena De Stabile, le sue manipolazioni elettroniche e digitali, le sue ossessioni chitarristiche, il suono evocativo di una campana tibetana hanno regalato vibrazioni che si trasformavano in immagini e il contrario.
–Le retour à la Raison (1923). Passano sullo schermo fantastiche immagini realizzate con un metodo inventato da Man Ray, per l’appunto la rayografia che, in sostanza, permette di impressionare la pellicola senza poi bisogno di svilupparla. Quello che si ottiene è una figura molto suggestiva in negativo. Nel particolare chiodi, puntine da disegno e quella che sembra ghiaia montati insieme a riprese notturne delle luci della città, lampioni, insegne al neon, fontane di luce con un effetto complessivo decisamente stranianti e affascinanti al contempo. La musica martellante e ipnotica rivela le sue lontane origini ancestrali e risveglia sopite forze telluriche, sposandosi perfettamente con le immagini senza mai sovrapporsi ad esse, senza didascalismi figurativi ma anche in totale autonomia. Entrambe funzionano l’una senza l’altra, chi scrive ricorda un meraviglioso emozionante concerto notturno di Teardo sugli stessi temi in un giardino storico della bassa friulana con il palco allestito sotto una farnia di 600 anni e senza lo schermo. Sono opere d’arte che possono assemblarsi in incastri di rigore matematico e creare un’incredibile alchimia oppure restarsene ognuna nella propria dimensione. La bravura del musicista è stata proprio quella di affiancarsi con la propria musica all’opera del fotografo, intersecandola di tanto in tanto senza volerla mai schiacciare presuntuosamente. Indimenticabile nel film il corpo nudo della modella Kiki alla finestra con la luce che disegna sul suo corpo le ombre dei ricami della tenda. Quando si dice un’immagine iconica.
– Emak Baika, cine poème de Man Ray, Paris 1926. Oggetti di tutti i giorni fotografati con doppie esposizioni, in prospettive inconsuete, deformate dai filtri e dagli obiettivi diventano stranianti e alieni. Rotazioni meccaniche, prismi di luce, ombre fluide, luci accecanti. Sul sito di Teho Teardo compare una splendida lettera che il musicista scrisse al grande fotografo per confessare la propria emozione nel mettere la propria musica al servizio di quelle immagini.
Dal canto suo Man Ray diceva di credere ad un legame profondo tra fotografia e musica ed è proprio da lì che traeva la sua ispirazione. La liaison sembra proprio evidente in questo breve cortometraggio fatto come al solito di immagini che si susseguono sinuose ed incongruenti tra volti, fiori, occhi bistrati, automobili, marine, fogli di giornale al vento, piedi femminili, colletti di camicia mentre la musica incombe incalzante e drammatica come il ricordo della certezza dell’inevitabile accadere e del ritorno del rimosso. La raison de cette extravagance… dice una didascalia ma resta sospesa come se non ci fosse una risposta esprimibile a parole, ci prova la musica sul filo di una vertigine.
– L’Etoile de Mer (1928) Protagonista anche di quello che forse è la più celebre pellicola di Man Ray è Alice Prin, nota universalmente come Kiki de Montparnasse, modella di una generazione di pittori surrealisti e musa ispiratrice di un’intera epoca. Molti si sono scervellati per capire di cosa parli questo film e gli altri della serata, senza tenere minimamente in conto la relazione che la modella ebbe proprio con Man Ray durata ben sei anni, assolutamente decisiva per entrambi.
Il fotografo la vide, per la prima volta, pochi giorni dopo essere arrivato a Parigi dagli Stati Uniti nel 1921; era seduta ad un tavolo di un bistrot e protestava veemente perché il cameriere credendola un prostituta di strada non la voleva servire.
Le propose subito di fare la fotomodella e la loro relazione artistica, amorosa e passionale iniziò quel giorno stesso. Kiki si esibiva con grande successo come cantante e ballerina in un famoso locale notturno. Non erano certo le sue discutibili doti artistiche ad interessare il pubblico ma la sua verticale con spaccata durante il can can che destava un grande scalpore perché Kiki non indossava mai indumenti intimi. Man Ray ne era gelosissimo e tra i due spesso scoppiavano furibonde liti che, all’interno del locale, finivano in risse distruttive. Anche questo doveva essere uno spettacolo interessante. Sembra quasi una storia tratta da Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Celine, romanzo inarrivabile dal quale è tratto l’incredibile spettacolo che Teardo sta portando in giro per i teatri d’Italia con l’attore Elio Germano.
La stella di mare racconta di una bizzarra sfocata storia d’amore durante la quale l’uomo scopre la bellezza aliena, inafferrabile e distante di lei che sembra quasi venire da un’altra dimensione. E’ la storia di desideri insoddisfatti quasi di natura onirica durante i quali la bellezza femminile viene paragonata a quella dei fiori, degli elementi naturali e animali senz’alcun spirito romantico ma, al contrario, per sottolinearne l’estraneità e la pericolosità. Giochi di parole e associazioni in pieno stile Dada la paragonano a pericolosi fiori di vetro, di carne, di fuoco, alla dea castrante Cibele. Alla fine lei se ne va e lui resta con l’inquietante stella di mare che in sostanza possiede quella bellezza perturbante e misteriosa che secondo Man Ray è del femminile.
Vera e propria apoteosi della serata è stata l’esecuzione di L’Etoile de Mer (Marcia funebre del ‘900) quando interviene la violoncellista Laura Bisceglia con un caschetto alla Louise Brooks tanto per restare in tema e una schiera di ben quaranta tra chitarristi e bassisti, (c’era perfino un violoncello elettrico) che intonavano insieme l’unico accordo.
Non c’è dubbio che il suono prodotto dalla strana orchestra di corde amplificate era davvero devastante e pauroso, metteva in risonanza le viscere con le corde del cuore. Era un suono impetuoso, angoscioso, destrutturato e claustrofobico, amplificato ancor di più dal luogo. Più il suono si ripeteva, s’intensificava nel suo incedere e più si veniva travolti da una sorta di sgomento, una sensazione d’horror vacui cui nemmeno la prolungata vibrazione dopo lo stacco finale liberava.
Grandi applausi ad un vero Maestro della nostra musica. Teardo, intanto, se ne va senza bis e ne avremmo voluta ancora tanta. Generosissimo, rimane a bordo palco per incontrare amici, fan e semplici conoscenti. In fondo, il suo è un ritorno a casa una sorta di Retour à la Raison (Maison) che speriamo si ripeta il più spesso possibile.
Per quanto abbiamo detto, Teho Teardo è assimilabile a quell’eroe della fantasia di Ippolito Nievo che nelle Confessioni di un italiano parla di un tale fornaio Spaccafumo, un po’ guascone e ribelle che, a metà del XIX sec. con il suo veloce destriero, si era dato alla macchia per combattere i soprusi dei più forti contro la popolazione inerme proprio nelle zone dove si è tenuto il concerto. Un carattere in fondo romantico ma con solidi ideali che prosegue dritto per la propria strada armato solo della sua chitarra in un mondo che spesso non sa meritarsi tanta meraviglia.
© Flaviano Bosco per instArt