Presentato alla Biblioteca dell’Africa un interessante attuale testo sulle culture musicali che i migranti portano con sè dal Continente del leone e della gazzella.
Proprio nei giorni infuocati nei quali inqualificabili criminali dichiarano testualmente in sedi istituzionali e nel pieno esercizio delle loro pubbliche funzioni:
“Io sono uno di quelli che gli sparerebbe a quella gente lì. Tranquillamente. Tranquillamente.” oppure “Non preoccupatevi, stiamo organizzando gli squadroni della morte e nel giro di due giorni riportiamo la normalità…Quattro taniche di benzina e si accende il forno crematorio, così non rompono più”. E nelle stesse ore nelle quali, elementi dichiaratamente neofascisti hanno minacciosamente fatto irruzione in aula durante una sessione del Consiglio regionale che discuteva delle politiche sulla gestione dei migranti.
Bene fa la Biblioteca dell’Africa, pupilla di Time for Africa onlus, a rispondere nell’unico modo possibile a quelle infamie e cioè con l’arma della pace, dello spirito d’accoglienza e di fratellanza anche presentando uno splendido libro che ci indica un percorso obliquo e laterale e ci permette di cominciare a comprendere il fenomeno migratorio in modo inedito, nuovo e molto divertente. Alla presentazione è seguito un bel concerto con musicisti autoctoni e migranti della città di Udine in piazza della Repubblica davanti ai Giardini G. Pascoli
Luca D’Ambrosio ha scritto Musica migrante, Dall’Africa all’Italia passando per il Mediterraneo mosso dalla curiosità, apparentemente leziosa, di capire quale musica ascoltano i migranti che sbarcano sulle nostre coste, quelli che sono incarcerati nei cosiddetti centri d’accoglienza o quelli che raccolgono i pomodori come schiavi per i nostri squisiti sughi sotto il sole implacabile del tavoliere delle Puglie o ancora quelli che da sfruttati potano le vigne del prosecco che ci beviamo nelle nostre Happy hours.
Luca D’Ambrosio da vero etnomusicologo fa tutto questo nel modo più semplice e allo stesso tempo più efficace, senza mediazioni, senza fumosi progetti culturali di chissà quale organizzazione internazionale o incarichi di qualche sedicente testata giornalistica. Girando per la penisola, intervista e chiede personalmente, faccia a faccia, ai migranti dal continente africano quale sia la musica che stanno ascoltando in quel momento, qual’è la playlist caricata nei loro smartphone. La prima parte del testo è proprio il resoconto dei tanti incontri che ha fatto con presone venute dalle tante diverse culture e paesi dell’Africa che è, dovremmo tenerlo bene in mente sempre, un continente composito e plurale che non è inquadrabile attraverso i perniciosi stereotipi con i quali spesso lo pensiamo.
Di cosa si occupi questo libro lo dice bene un episodio tra i tanti magistralmente raccontato dalla penna di Luca D’Ambrosio. Mentre si trovava in un vecchio e dismesso hotel della provincia di Frosinone adibito a centro di accoglienza per migranti per alcune interviste:
Nell’attraversare il lungo e stretto corridoio, che dal refettorio conduce all’ingresso, incontro un drappello di carabinieri impegnati a chiedere documenti e informazioni ai responsabili della struttura. Si trovano esattamente davanti alla porta della segreteria. Al mio passaggio uno dei quattro si ferma e mi domanda se anch’io faccia parte dell’organizzazione. La mia risposta ovviamente è “No mi dispiace”, ma ancora prima che l’interrogatorio prosegua lo anticipo dicendogli che sonoli per intervistare i migranti. Al che mi chiede: “Giornalista, eh?”. E io: “Bè non proprio, diciamo che sono un blogger appassionato di musica”. Allora mi fa: “ Mi scusi, cosa c’entra la musica con i migranti?”. A quel punto mi tocca spiegare meglio: “Apparentemente niente, Capitano, però se lei si guarda bene attorno, qui, quasi tutti indossano cuffie e auricolari per ascoltare musica dal proprio telefonino. Ecco a me interessa sapere quali siano i loro artisti e generi preferiti e, se ci riesco, provo anche a raccogliere ricordi e sentimenti che questa gente si è portata dietro nel lungo e faticoso viaggio dall’Africa all’italia. Insomma, Capitano, la mia intenzione è ascoltare i loro racconti e cercare di farne un libro che metta i risalto musica e storie personali”.
Questa è la vera funzione del libro: insegnarci ad ascoltare gli altri prima di aprire le nostre bocche e dargli fiato per niente; ci aiuta ad entrare nell’immaginario e nei sentimenti di quelle persone che spesso ci appaiono così strane e che proprio per questo chiamiamo stranieri quando va bene.
Siamo abituati colpevolmente a considerarli quasi come degli strani incomprensibili animali che vanno prima di tutto respinti come insetti nocivi, poi se non è proprio possibile devono essere identificati, cioè marchiati come bestiame, rinchiusi in recinti con sbarre e filo spinato e successivamente rimandati da dove sono venuti. E’ questa, in massima sintesi, la politica che si sta attuando contro il fenomeno migratorio, quasi si trattasse di una calamità naturale, un’invasione di cavallette o la peronospera delle patate. Qualche scriteriato considera il fenomeno alla stregua di una guerra, di un’invasione militare e si bulla dicendo d’aver difeso i confini della patria come Enrico Toti perché ha lasciato per settimane una nave di soccorso italiana piena di naufraghi in balia delle onde.
Ci dimentichiamo che i migranti sono prima di tutto esseri umani, persone, creature con diritti inalienabili sacrosanti sui quali abbiamo costruito i fondamenti delle nostre democrazie. Mai a nessuno che venga in mente che queste persone hanno dei sentimenti, provano emozioni, portano con sè tradizioni e culture meravigliose che dovremmo essere curiosi d’apprendere; oltre a permetterci di capire quali sono le speranze, le prospettive, i desideri, le sofferenze, la gioia di questi nostri fratelli in difficoltà, ci migliorano raccontandoci di esperienze e visioni di altri mondi e di altre esperienze.
A fondamento della civiltà d’occidente c’è il concetto di Xenia che riassume il dovere sacro dell’ospitalità presso gli antichi greci così ben espresso nel mito di Filemone e Bauci che mutatis mutandis si trasferisce nel precetto evangelico che possiamo leggere in Matteo 25 e nella relativa condanna al fuoco eterno:
“Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria…poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me”. Mt.25, 41-45
La cultura greca, latina così come quella giudaica, islamica e poi quella dell’illuminismo hanno generato la dichiarazione universale dei diritti Umani, indiscutibile fondamento del nostro vivere comune che all’articolo 1 recita:
“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.
Allontanarsi da questi precetti e valori universali non è questione di libertà personale o di opinione diversa, è un crimine che va combattuto e perseguito a norma di codice penale così come qualunque forma di apologia del fascismo.
La musica con il suo linguaggio apparentemente universale è lo strumento perfetto per costruire ponti tra le culture più diverse. Di una melodia, di un ritmo, di una canzone non è necessario comprendere subito le parole se è cantata, la possiamo amare ugualmente. Quante canzoni pop anglo americane abbiamo amato senza comprendere una sillaba d’inglese?
Lo stesso è per le musiche dell’Africa; ascoltarle, prima di tutto ci fa capire quante diverse tradizioni musicali esistano e ci rende aperti al confronto. Anche solo ascoltare uno strumento, al quale non siamo abituati, ci suggerisce atmosfere lontane e stranianti che ci tolgono dalla nostra Comfort zone, la prigione di stereotipi nella quale ci siamo molto spesso volutamente rinchiusi, guardando il mondo dall’oblò dei social che sono lo strumento peggiore per riuscire a capire qualcosa di ciò che ci succede e di ciò che vediamo. Confrontandoci in modo aperto e franco con il time “diverso”, la nostra identità e i nostri valori culturali, anche i più antichi, riaffiorano e si rigenerano.
La Biblioteca dell’Africa di via Battistig a Udine, con i volontari che animano Time for Africa sotto la guida dell’infaticabile presidente Umberto Marin, si adopera per il medesimo obiettivo, favorire l’incontro e la comprensione dell’altro.
Facciamo un po’ d’ordine: Ma di chi stiamo parlando? Sempre Luca D’Ambrosio ci tiene a spiegare nei particolari chi sono le persone con le quali ci confrontiamo, proprio perché noi tutti “imbesuit”i dalla propaganda, dalla televisione e dalle stupidaggini di Facebook raramente ne teniamo conto. Uno dei ragazzi migranti che intervista nel libro è Martin che viene dal Camerun, dice che il cantante del suo paese che ama di più è:
“General Valsero un rapper molto amato dal mio popolo poiché denuncia il malaffare, la carenza di cultura e l’anomalia di un presidente di stato, Paul Biya, in carica dal 1982”. Schiacciato dal peso di un’evidente ingiustizia sociale o chissà cos’altro, Martin ha detto addio alla famiglia, agli amici e all’università per incamminarsi verso la Libia, dove è arrivato dopo un paio di mesi, trovando purtroppo una situazione che mai avrebbe immaginato. Catturato dai soliti mercenari, è stato costretto a farsi quattro mesi di carcere duro, fino a quando un pastore libico ha deciso di comprarlo per un centinaio di euro affinché si occupasse del proprio gregge. Per un attimo ho la sensazione di essere dentro una pagina di Radici, il romanzo di Alex Haley, e quell’uomo di fronte a me sia Kunta Kinte. E’ strano insomma rendersi conto di come la realtà talora possa superare l’immaginazione e come orrori del passato, dalla schiavitù ai campi di sterminio, siano sempre terribilmente uguali e attuali.”
Ecco che parlare di un semplice rapper, come tanti ce ne sono, può portarci a scoprire una realtà alla quale forse non abbiamo mai pensato con attenzione.
La musica africana nella sua lunga storia che Luca D’Ambrosio riassume piacevolmente nella seconda parte del suo libro analizzando strumenti, generi e protagonisti vecchi e nuovi, è spesso stata di protesta o quantomeno ispirata dalle ingiustizie e dai soprusi che le sue genti hanno subìto e continuano a subire. E’ espressione delle sofferenze ma anche della grande gioia e della forza vitale dei popoli dell’Africa; di certo nella musica che ascoltano i migranti c’è anche tanta nostalgia per la casa, i familiari, gli amici che hanno dovuto lasciare o che hanno perso, è una musica che li ha aiutati ad andare avanti e ad affrontare le spaventose difficoltà che hanno passato ma anche a continuare a sopportare tutte le ingiustizie cui sono ancora sottoposti, la povertà e lo sradicamento. Le musiche dei loro paesi li fanno restare in contatto con la loro identità personale e culturale e leniscono i tanti traumi psicologici che gli sono stati inferti.
Non è possibile in queste poche righe nemmeno accennare all’importanza e alla bellezza della musica di artisti come: Alpha Blondy, Manu Dibango, Cesaria Evora, Mory Kantè, Kaled, Angélique Kidjo (che ha fatto una prefazione al libro), Fela Kuti, Miriam Makeba, Hugh Masekela, Youssou N’Dour e i centinaia di altri cui fa riferimento Luca D’Ambrosio nel suo testo. Si lascia al lettore la gioia di scoprirlo, certi che il meraviglioso fascino di quelle melodie e ritmi saprà trascinarlo in un’esperienza ricca ed esotica che gli farà guardare in modo diverso e più benevolo alle persone che arrivano nelle nostre città da paesi che, in fondo, non sono così lontani, o almeno non dovrebbero esserlo dai nostri cuori.
Certo la musica non è la panacea di tutti i mali ma è un ottimo supporto per le nostre angosce.
Nel flauto magico di Mozart si parla proprio del potere taumaturgico delle note e degli strumenti musicali. Pamina in un momento di estremo pericolo dice a Tamino:
“Hai con te il flauto magico?…Suonalo dunque, perché esso proteggerà il nostro cammino (lo prende in mano e lo osserva) , il mio vecchio e amato padre lo ricavò dalle profonde radici di una quercia secolare, durante una magica ora mentre una terribile tempesta imperversava con tuoni e fulmini. Cavalchiamo il potente suono e attraversiamo le oscure braccia della morte…E’ un fuoco sacro, lo sento, con esso, chi sa morire, vive. Adesso dobbiamo lottare contro l’impeto delle acque; che questo magico suono ci protegga!”
© Flaviano Bosco per instArt