Eugenio Montale scrisse nella celebre “Non chiederci la parola” che al poeta non puoi chiedere formule che mondi possa aprire ma solo qualche storta sillaba.
Mentre Montale scriveva questi pensieri, Guido Tavagnacco nasceva a qualche chilometro da Cividale e Moimacco, in una campagna assolata d’estate e grigia d’inverno, dove la natura offriva qualche “storta sillaba” di infiorescenze spesso spontanee, talvolta guidate dalla mano dell’uomo.
La dura vita contadina cadenzata dal sorgere del sole e dal faticoso lavoro si svolgeva in una continuità ripetuta e stanca, il giovane Guido Tavagnacco sentiva l’urgenza di un riscatto sociale e morale  di se stesso prima e di una comunità contadina poi.
Prima se stesso perche’ doveva prendere prima coscienza di essere e di divenire.
E cosi fu studente a Venezia e l’arte lo avvolse con il suo tattile fascino. E lo rapi’ il disegno. E cosi comincio’ a dare forma a qualche storta sillaba segnica, sinestesie e ossimori a colori, lavorando duramente sulla carta e sulla tela come un contadino che scava nella terra per ricavare cio’ che già appartiene alla terra ma che è in fieri, la cosa che verrà, il quid che esiste in potenza, ma in atto deve ancora giungere.
I rimandi furono ai grandi   del novecento, alle personalità che stavano edificando l’edificio affascinante che si chiama storia dell’arte, cosi apparve fin dall’inizio della sua ricerca, il richiamo al realismo, al post impressionismo, all’espressionismo , con qualche annotazione anche astratta e qualche inclinazione all’informale.
Guido Tavagnacco non fu mai assoluto, la sua pittura perlustro’ con umiltà  tutti i percorsi artistici senza prendere una direzione totalizzante.
Cosi lo sperimentalismo continuo’ e la sedimentazione della ricerca lo accompagno’ in un mondo che deve essere perlustrato, studiato e scomposto in tutte le sue storte sillabe.
Accanto alle immagini che ci portano sul ponte del diavolo a Cividale troviamo i contadini che lavorano nella danza della quotidianità, scopriamo i compagni di gioventu’ e di maturità nella ricca ritrattistica e il girasole fiore della campagna che anela alla luce cercandola, come il pittore anela ad essa per la tela.
Ma il riscatto sociale del giovane che cerca a Venezia nuovi modi di essere si accompagna al riscatto  morale  da lui testimoniato ai coetanei che assieme a lui raggiunsero la montagna per la prova della Resistenza, durante la seconda guerra mondiale. E anche in questo contesto nuovi segni e nuovi colori furono protagonisti della sua vita.
La ricerca si accompagno’ alla docenza e l’incontro con la scuola fu formativo perche’ il dare si congiunse con il ricevere, come accade ad ogni insegnante, la pittura quando è arte e creatività non è trasmissibile direttamente, ma in questo senso pesa l’esempio.
Gli anni della maturità furono vissuti  in un contesto di continuità con la riflessione e di instancabile attività, nello studio udinese a pochi passi dalle Gallerie e dagli studi degli amici con i quali condividere esperienze e pensieri.
Dopo la morte ,avvenuta nel 1990 ,una parte della vasta e articolata produzione di Guido Tavagnacco è stata donata dalla signora Liliana Tonero Tavagnacco alla Fondazione de Claricini, la metà di essa o quasi viene oggi proposta in questa mostra con la quale il Comune di Cividale vuole ricordare l’illustre friulano.  La Chiesa dei Battuti è la cornice piu’ nobile della città ducale per offrire alla cittadinanza e ai turisti un incontro con l’arte.
Sia profondo l’incontro con il maestro della storta sillaba, del segno rapido e istintivo, quasi riassuntivo, duro e docile al tempo stesso,fragrante e luminoso nel colore, struggente e malinconico, vitale e avvolgente come il vento di queste campagne.
Vito sutto per instArt