Govind Khurana è l’editore dell’etichetta musicale New Model Label con sede a Ferrara. Ha prodotto oltre 150 album prevalentemente in cd e da anni aperto alle varie soluzioni di editing della rete con un catalogo di oltre 1.500 brani. Da due anni grazie all’esperienza nel mondo della comunicazione musicale si è aperto al booking e management vero e proprio per artisti del mondo jazz e contemporaneo collaborando con Patrizio Fariselli, pianista autore co-fondatore degli Area, un nome rappresentativo della nuova generazione del jazz italiano, Marco Colonna e una vecchia volpe world music italiana Alfio Antico.
A giudicare dal tuo lavoro parrebbe che non possiamo ancora fare a meno della plastica dei cd nonostante l’espansione dello streaming, del self editing. Mi pare un fatto significativo… Ce ne stiamo staccando, ma è un percorso lento e non lineare. Esistono persone che sono consumatrici e appassionate che non hanno mai installato Spotify e non capisco quest’ansia nel voler pensare che Spotify sia l’unico media possibile, tanto da essere diventato quasi sinonimo di streaming. Penso che per chi suona generi musicali con una visione culturale, jazz, world music, un certo tipo di elettronica, siano altre le piattaforme di riferimento, Bandcamp su tutte, focalizzate davvero su un rapporto diretto e sull’idea di community tra musicisti e pubblico. Gli altri canali spesso sono come un centro commerciale, dove ci arriva qualcosa che è già famoso, già posizionato. Più interessante la posizione di YouTube e Google che può essere un misto di queste due esperienze e, anche se frutto delle ricerche della più grande multinazionale, è riuscita a sviluppare un algoritmo basato sugli ascolti e i “consigli”, ovvero pubblicità e proposte di brani musicali che arrivano da li, sono spesso pertinenti. Non ultimo, il fatto che spesso non si tratta solo di streaming audio ma video.
Già con gli mp3 c’era stata la rivoluzione. Quanto ha cambiato internet il mondo della musica? Lo streaming a pagamento in Italia è esploso all’incirca nel 2012, giusto nel momento in cui sembrava possibile vendere gli mp3. Un mondo diviso è stato fagocitato davvero con facilità da compagnie telefoniche, e in fondo, senza musica gratis, film e partite, a cosa serve una connessione in fibra ottica? Il cambiamento maggiore si verifica su generi più mainstream, esiste una generazione di ventenni che non ha mai avuto un CD in casa e che chiama il giradischi “lettore di vinili”. Non è un elogio del passato, allo stesso tempo c’è la possibilità di raggiungere un pubblico immenso senza o con pochi intermediari e, nel pubblico più giovane, ci sono meno pregiudizi. Non esiste più un percorso iniziatico che ti porta a scoprire certi stili musicali, le loro sottoculture. Spesso è un algoritmo, un consiglio di una persona, un evento casuale, una playlist che può portare un ascoltatore giovane da un cantautore indie a scoprire il gruppo industrial o Pharaoah Sanders.
Lo stop fisico ai concerti provocato dal distanziamento fisico dell’emergenza sanitaria ha interrotto il canale “emotivo”, il rapporto dal vivo con la musica e l’artista. Come si fa a suonare in un teatro vuoto per andare in streaming? Questo è uno dei più grandi interrogativi, forse può funzionare per Nick Cave o per chiunque ha uno storico e un pubblico consolidato, disposto a pagare, che li segue come un culto. Per farsi, si può fare, non so quale senso abbia però fare lo stesso spettacolo pensato per il pubblico e a questo punto, l’idea stessa di live (a meno che non si tratti di jazz e improvvisazione). Parlerei piuttosto di produzioni audio visive, potrebbero avere più senso, ma si parla di qualcosa che richiede un livello di investimenti ancora più elevato.
Ma in questo periodo come etichetta hai accelerato sulle produzioni o questa situazione ha in generale depresso la creatività artistica? Io ho cercato di mantenere costanti tutte le attività che possono essere svolte online, per essere pronti in caso di qualsiasi tipo di ripartenza. La risposta qui non è stata univoca ma ho visto tutti i musicisti che conosco, quelli più attivi live che non hanno perso tempo per creare nuove opere.
La musica indipendente negli ultimi 20 anni ha avuto una straordinaria espansione facendo emergere nuovi artisti. Però ci sono migliaia di artisti e gruppi che ci provano nonostante mezzi limitati. Come puoi aiutare con la tua etichetta un percorso artistico? Case discografiche, stampa specializzata, stampa generalista, televisione, radio penso che non sia facile essere ascoltati forse con youtube è più semplice? Non ci sono formule prestabilite, penso che ogni artista e ogni disco sia una storia a se. Ci sono progetti che nascono per avere una circolazione underground (si sarebbe detto “indipendente”, una volta) e possono raggiungere un pubblico in tutta Italia con un’attività live significativa e continuativa ogni anno, ma magari non riescono a fare il salto verso il professionismo. L’etichetta non può fare tutto, così come l’agenzia o il management ma tutte queste strutture possono essere degli ottimi compagni di percorso, sia per il lancio sia in fase successiva.
E quindi, strutturare un progetto, dare degli obiettivi, dei tempi e dei budget. Youtube è un ottimo strumento, arriva senza intermediazioni, ci sono video che partono ed hanno scelto proprio te come target e a volte queste proposte sono perfette. A me viene spesso suggerito Pharaoah Sanders e poi di seguito Cymande e Kokoroko. Youtube ha deciso (o forse, chi programma gli algoritmi e le inserzioni) che io debba essere appassionato di un certo jazz / world / afrobeat, scena jazz inglese e in effetti, non sbaglia, o, per lo meno, è una delle cose che mi interessano. Anche qui, non sono cose che accadono per caso, neanche con i soli investimenti di marketing. Non era così neanche prima, nel mercato tradizionale, non bastava solo pubblicità o airplay.
Ci sono inoltre musicisti di professione che non molleranno mai e creperanno sul palco (ridendo). La loro arte è preziosa e la loro esperienza non può essere dispersa. Come approcci dal punto di vista del management fra musicisti navigati e di nuova generazione? Mi sa che non molleremo nemmeno noi e saremo al loro fianco, c’è una storia e anche una responsabilità. Certo, non l’abbiamo creata noi, ma chi è venuto prima, spesso etichette hanno rischiato, lottato e hanno dovuto anche chiudere, ma ci hanno consegnato dei capolavori. Mi piace sempre pensare, con un artista di una generazione precedente alla mia che quello che sta proponendo è attuale, mai un revival o essere la cover band di se stessi. Con artisti di un’altra generazione, come potrebbe essere la mia o anche più giovani è diverso. Non abbiamo mai visto l’età dell’oro, almeno, non nel mondo del lavoro, però siamo ben allenati alle difficoltà. C’è un mondo che a partire dall’inizio della crisi della discografia, si sta reinventando continuamente, e non ha ancora raggiunto una sua forma compiuta, stabile, e lo streaming così come è non riesce ad essere un modello di sostegno per tutti i generi musicali, soprattuto quelli con un’ottica più culturale. Dobbiamo essere creativi e allo stesso tempo stare dietro a questioni operative ed organizzative, e devono esserlo anche i musicisti, in questo trovare un equilibrio richiede molta dedizione e sacrificio.
Da mesi stiamo dicendo che da questa crisi usciremo migliori. Ma se non fosse vero a parte un solo aspetto, cosa vorresti fosse cambiato nell’ambito musicale? … Una maggiore coscienza di musicisti e operatori come rappresentativi di un’industria importante, che necessità delle stesse attenzioni e tutele delle altre. Quale sarà la realtà non lo so, penso solo che non vedo l’ora di avere un minimo di certezze e regole per fare qualcosa, più ancora che per il business per ricreare la fiducia tra pubblico, operatori e musicisti, nessuno può vivere senza gli altri.
Stefano Buian © instArt
Playlist Govind Khurana
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