“Sovrapposizione di antropologia e zootecnia”: qual’è il messaggio che volevi trasmettere con questo titolo?
Il messaggio insito nel titolo è qualcosa che mi balenava nella testa da diverso tempo: essendo io un accanito lettore della fantascienza più classica mi sono imbattuto molto spesso in romanzi che descrivevano situazioni non necessariamente terrestri nelle quali il popolo, la gente, venivano a trovarsi in situazioni nelle quali la sottomissione a regimi tirannici e totalitari avveniva per lo più in un modo tale che quegli stessi schiavi molto spesso non riuscivano a rendersi conto di che tipo di catene li imprigionassero, anzi molto spesso le catene divenivano essi stessi… Avendo ricevuto in dono da un amica il libro di Bruce Chatwin “Le vie dei canti” ho avuto modo di constatare attraverso i suoi scritti – e alle citazioni da altre fonti messe in luce da Chatwin stesso – che il passato oscuro della nostra specie è costellato da forme di coercizione più o meno volontarie, che ci hanno fatto arrivare al punto attuale in una situazione in cui si può affermare senza paura di sbagliare che a una parte dell’umanità tocca essere gregge e a un’altra pastore! Questo nella migliore delle ipotesi! In molti casi la meccanicizzazione esasperata dei sistemi produttivi mutata in biocapitalismo effervescente ha portato gran parte delle masse a lavorare in una situazione simile a quella vissuta dal bestiame nelle grande aziende produttrici di cibo: il tutto tende ad alimentare sovrapposizioni di contraddizione legate alla sopravvivenza … da qui il titolo del disco.
Perchè “Autostoppisti del Magico Sentiero”?
Il nome del gruppo prende spunto dal romanzo fantascientifico umoristico “Guida galattica per gli autostoppisti”. Leggendo Chatwin e scoprendo quale sia il reale valore della migrazione, non necessariamente legato a questioni di convenienza quali possono essere trovare terre più ricche e fertili, pascoli migliori, penso di aver capito che questa transumanza spirituale sia neccessaria alla nostra specie per continuare a sognare! Le vie dei canti e le vie dei sogni si sovrapposero e si sovrapporranno… Quindi diciamo che ho declinato il passato verso un futuro remoto o un presente distopico in cui la necessità dell’uomo di partire per nuove mete deve fare i conti con la tecnologia e il progresso scientifico!
“Ci vuoi raccontare come è nato questo progetto”?
Il progetto nacque circa un anno fa quando invitai a cena da me il giornalista che ora mi sta intervistando: diciamo che ognuno portò delle idee su come si sarebbe potuto sviluppare il progetto! Una cena luculliana, ottimo vino, molti spunti e qualche telefonata intercontinentale. Poi il sonno improvviso: Morfeo portò consiglio! Da li’ poi l’assemblaggio delle idee, la scelta di coinvolgere dei musicisti di valore assoluto. Direi che il diretto responsabile di questo progetto in questo caso e’ proprio il mio diretto interlocutore …
“Il disco è colmo di belle sonorità: lo avevi immaginato così da subito”?
Le sonorità del disco sono figlie delle scelte effettuate durante la conposizione delle musiche! Le strutture essenziali, ma mai lineari, riconducono il suono alle origini del blues e anche di un certo jazz primigenio… L’apporto di Giovanni Maier al contrabbasso credo sia stato la chiave di volta! Il lavoro è frutto di sovraincisioni in studio ed essendo stato lui il primo a trovare delle soluzioni armoniche da sovrapporre alle mie parti di chitarra lo ritengo responsabile in senso positivo della direzione intrapresa! In seguito le geniali intuizioni di Giancarlo Schiaffini al trombone hanno elevato il potenziale delle composizioni: questi attraverso un’attenta lettura e alla riuscita scelta di sonorità anche rumoriste è riuscito a valorizzare ogni singolo pezzo al meglio! Fondamentale poi il contributo di Martin O Loughlin, maestro australiano del didgeridoo, che ha dato profondità al tutto con il suo apporto di vibrazioni non convenzionali e in un pezzo, “Paleoword”, anche attraverso l’uso del Medusa, strumento di sua invenzione… Ultimo ma non per importanza Federico Sbaiz il quale mediante l’uso moderato e di indubbio gusto di piano e sintetizzatore è riuscito tramite anche il missaggio di cui si è occupato a dare al sound una finezza oserei dire piena!
“Hai qualche aneddoto carino che ci vuoi raccontare”?
Un aneddoto carino legato al disco è per me il ricordo che il giorno in cui prenotammo lo studio di registrazione per incidere le parti di trombone, il treno che doveva portare Giancarlo Schiaffini da Roma in Friuli si guastò a metà strada e quindi la cosa rischiava di saltare: poi riuscimmo a spostare le registrazioni al mattino successivo e ci salvammo! Giancarlo arrivò quindi abbastanza tardi ma non troppo per passare una piacevole serata in sua compagnia nella quale ebbe modo di snocciolarci qualche gustoso aneddoto sui grandi del jazz americano con cui aveva suonato: ricordo che il padrone di casa stappò una bottiglia di Porto invecchiata venti anni di cui ricordo ancora il sapore perchè eccezzionale! E così anche un bel momento passato assieme ha contribuito a far si che il progetto a mio modesto parere uscisse così riuscito!
“Quanto ha influito sul processo creativo la partecipazione di uno scrittore/attore conosciuto come Angelo Floramo?”
Lo scorso anno ho avuto la fortuna di poter visitare la splendida Biblioteca Guarneriana in quel di San Daniele del Friuli: ricordo che Angelo quel giorno lavorava ad un antico manoscritto, ma in un ritaglio di tempo ebbe modo di mostrarmi alcuni scomparti segreti ricavati all’interno del mobilio nei quali celati ad occhi mortali stavano ben nascosti libri antichissimi! Ricordo particolarmente bene un tomo di carta di stracci veneziana contenente la prima mappa di Città del Messico disegnata da un friulano di Aviano al seguito di Cortez… Tra una meraviglia e l’altra esposi il mio progetto ad Angelo il quale ne fù subito entusiasta. In seguito, durante le registrazioni, mi raccontò di aver studiato recitazione e dizione con Vittorio Gassman! La sua grande capacità interpretativa ha dato a questo disco una voce forte, che caratterizza in modo decisivo il carattere dell’opera. Ciò che più mi ha stupito dell’uomo però è la sua profonda umiltà e disponibilità… Penso infine che le sole note di copertina da lui scritte valgano l’acquisto del cd: un grande personaggio, Floramo, indubbiamente.
“Cosa pensi di questa attuale emergenza e come pensi cambierà in futuro il mondo”?
Credo che il Covid 19 sia la risposta a tante domande esistenziali che a volte ci poniamo: diciamo che questo virus rappresenta l’avanguardia di tutti quei fenomeni che porteranno l’uomo inevitabilmente all’estinzione. Credo che dovremmo guardarci dentro e lasciare andare cose che ci accomunano tutti indistintamente quali narcisismo, egoismo, superficialità … Mi rendo conto che queste mie parole possano apparire scontate e buoniste, ma la cosa è semplice a tutti gli effetti: o cambia qualcosa, oppure saremmo scaraventati in un medioevo prossimo venturo dove i diritti che diamo per scontati ci appariranno solamente lontani miraggi. Inoltre voglio considerare un dovere morale dell’uomo quello di cercare di cominciare a rispettare il pianeta: non solo perchè questo ci mette in pericolo, ma perchè è giusto così a prescindere!
“Progetti futuri”?
In questo momento è difficile farne: come Autostoppisti abbiamo registrato un altro disco, ma aspettiamo di poter tornare in studio per rifinire alcuni dettagli, che al momento a causa di questa situazione non siamo riusciti a definire. Anche in questo caso abbiamo collaborato con musicisti di diversa estrazione ed il risultato al momento sembra abbastanza buono. Personalmente in questi anni ho accumulato abbastanza materiale per poter incidere un disco di ispirazione cantautorale: ecco il risultato finale che vorrei ottenere sarebbe quello di poter fondere atmosfere westcostiane alla Crosby, Stills, Nash & Young, al canto lugubre e supremo di Tim Buckley, arrangiando il tutto da farlo sembrare un disco di Captain Beefheart versione 2.0, registrato in qualche privata, frasca, osmizza … Mi rendo conto di essere ambizioso, ma fondamentalmente credo sia nella follia come porta e nel duro lavoro come chiave.
Luca A. d’Agostino © instArt