Udin&Jazz, 1998 – Lee Konitz con Glauco Venier, Salvatore Maiore e Roberto Dani – Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency © 1998

La recente notizia della scomparsa del grande Lee Konitz ha lasciato tutti noi, amanti del jazz, attoniti. Abbiamo sempre la convinzione che tutti questi straordinari musicisti, che ascoltiamo nei dischi o abbiamo la fortuna di conoscerli dal vivo, siano eterni: una sorta di supereroi che non debbano scomparire mai.
Ne parlavamo proprio pochi giorni fa con il nostro più che conosciuto pianista Glauco Venier, che con Lee ha avuto lunga frequentazione, una splendida registrazione su cd Artesuono (“Ides of March”, del 2001) e moltissimi viaggi insieme. Con lui, colpito ed emozionato, abbiamo pensato di farci raccontare qualche aneddoto, un modo per sentire Konitz sempre accanto a noi e per svelarne anche qualche lato più umano a noi sconosciuto.

“Una meraviglia! Il primo ricordo è proprio in macchina, più di venticinque anni fa, poco prima di fare un concerto a Feletto con il mio trio di allora (Salvatore Maiore e Roberto Dani, ndr). In quegli anni, giovane e spaventato, preparavo una sorta di scaletta: per quella sera avevo pensato a tutta una serie di stantards che conoscevo e sapevo piacere a Lee. Non la guardò neppure: tirò giù il finestrino della macchina e la lanciò fuori … Poi serissimo mi disse “di questa ne parliamo dopo l’esibizione di stasera!”

“Ricordo bene agli inizi, che per saggiarmi in concerto, senza alcuna precedente prova come al suo solito, suonò un vecchio standard, “The Days of Wine and Roses”, che aveva già registrato con Bill Evans, e che io conoscevo benissimo. Si era sparsa la voce, che per testarti, cambiava la tonalità dei brani senza avvisare … fortuna volle che riconobbi subito il brano, lo trasposi istantaneamente, e da allora con lui non ebbi più alcun problema: mi volle subito bene!”
“A Lee piaceva moltissimo anche cantare: una volta a Pistoia facemmo metà concerto improvvisando dei canti fra io alle linee di basso e Lee con uno splendido scat! Un’emozione per tutti, con il pubblico in visibilio e divertiti … Eravamo due simpatici pazzi“.
“Altro aneddoto fantastico” – mi racconta Glauco sulla strada del ricordo – “mi svelò che dopo la scomparsa di Charlie Parker, la critica e tutti i giornalisti si appoggiavano a lui come precursore di un nuovo linguaggio del jazz (era uscito il famoso Birth of the Cool con Davis, Gil Evans, Mulligan, Lewis, Roach …). Chiaramente Lee continuava a suonare come sempre, preoccupandosi poco di tutto quello che dicevano e scrivevano su di lui. Nel girovagare in tournée fra i locali si rese conto che ad ogni suo concerto c’era un signore strano, sempre da solo, con il soprabito, una penna ed un block notes in mano, che lo seguiva ovunque … Ad un certo punto, anche preoccupato e spaventato, gli chiese alla fine chi fosse …” Era Jack Kerouac che gli svelò che, scomparso Charlie Parker, oramai lui era divenuto la sua fonte di ispirazione.
“Oppure la volta che quasi si dimenticò della sessione di registrazione con Miles e Gil per il disco Miles Ahead, perso a Manhattan fra riflessioni e sostanze … Arrivò, dopo che gli altri ebbero provato per ore tutti i brani, giusto per le takes … Mi svelò che fu un’esperienza incredibile!”
“Uno dei ricordi più belli è quando lo lasciai solo nella mia camera – mia madre gli aveva appena offerto un the – ad ascoltare La Mer di Debussy … me lo ritrovo dopo una ventina di minuti che girava su sé stesso, ad occhi chiusi … allora mi svelò che lui, quando è completamente rapito dalla musica, va in trance… ma soprattutto, in confidenza, che, dopo aver ascoltato Debussy, o tanti altri grandi della musica classica, si rendeva sempre più conto di quanto lui, Miles o Gil, fossero in confronto dei dilettanti …”

Lee Konitz e Glauco Venier a Codroipo nel 2001 – Foto Luca A. d’Agostino / Phocus Agency © 2001

Un bellissimo ricordo riguarda anche il disco inciso in duo dal grande Stefano Amerio: “parlandone con Lee, mi lanciò l’dea del titolo, visto che eravamo a marzo. Quando finalmente arrivò “Ides of March” e ebbi modo di darglielo mi guardò divertito e mi disse “Ma no, Glauco, è vero che lo abbiamo registrato a marzo, ma non mi hai capito, io intendevo giocare sul titolo e doveva essere Ideas of March, no Ides …”

“Con Lee” – prosegue nel ricordo Glauco – “abbiamo veramente cantato tantissimo: ricordo uno splendido viaggio fra Napoli e Messina tutto dedicato al blues, dove ci alteravamo fra melodia, linee di basso ed improvvisazione… Konitz cantava continuamente, e mi svelava sempre: tutto quello che suoni devi controllarlo, devi essere sempre onesto! Lui era in totale connubio con il suo corpo, fondamentalmente era uno che cantava anche con il suo strumento!”

“Gli ho dedicato proprio nel giorno della scomparsa tutta una lezione: ai ragazzi ho sottolineato che un buon settanta percento di quello che insegno loro viene dalla scuola di Konitz e di Lennie Tristano … tutto quello che io stesso potevo chiedergli sulla didattica e la pedagogia e quello che ora insegno viene proprio da lì, dalla scuola di Konitz e Tristano: loro basavano tutto sull’orecchio, sulla partizione dei soli, sulla memoria …”

Glauco ci conferma che nel periodo dove tutti si ispiravano a Charlie Parker e lo copiavano, al contrario Konitz, avendo inventato un nuovo linguaggio tutto suo, fu semplicemente geniale!

“Lee, tra l’altro, è stato anche in tournée con Bird!” gli confidava nei loro lunghi viaggi “Giovanissimo, aveva sostituito il grande trombettista Red Rodney, che allora aveva grossissimi problemi di droghe e talvolta spariva … Parker allora lo chiamava in sostituzione. Quando insomma si trovavano al sud degli States, in zone parecchio razziste, ed entravano a prenotare camere negli alberghi, mandavano avanti lui, ma poi vedendo il resto del gruppo, li cacciavano immediatamente. Dopo un po’ di volte di questo “entrare ed uscire”, Parker lo invita a cercare eventualmente da dormire nella zona “nera” “Ti andrebbe di stare con noi?” gli chiedeva Bird “Non solo mi va, ma sono onorato di venire con voi!” la pronta risposta di Lee … e quando me lo raccontava, cambiava addirittura tono ed espressione … Quasi si vergognava di essere bianco …”

Lee Konitz a Codroipo nel 2001 – Foto Luca A. d’Agostino / Phocus Agency © 2001

“In tournée, io stavo sempre zitto e lo lasciavo sbizzarrirsi con manager, organizzatori, giornalisti, perché era veramente unico. Una volta, mi pare in Toscana, un giornalista gli fece la fatidica domanda su come fosse aver suonato con Miles Davis… Lee andò du tutte le furie, gli rispose che forse era meglio parlare della musica della serata. Il giornalista allora gli chiese di parlare lui del nuovo progetto … Figurati, Lee si arrabbiò ancora di più ed inizio a rispondergli con la voce falsata alla Paperino …“

“A me, poi, quando eravamo in duo, diceva sempre di smetterla di provare prima lo strumento … “Glauco, tu devi fare come Paul Bley: arriva, posiziona due, tre elenchi del telefono sul seggiolino e suona! Tu devi suonare e basta, senza provare!”
“Sai quante volte abbiamo poi suonato in acustico? Arrivava ai soundcheck, vedeva una infinità di casse e strumenti ed invitava i tecnici a smontare tutto confermando che tanto noi due avremmo suonato in acustico!!!”

“Lee, tra l’altro, è stato quello che più mi ha spinto a suonare! Sai che io ho sempre amato anche l’insegnamento. Non mi sento uno con un grande talento naturale, ho studiato e studio tantissimo, questo sì. Lee, Kenny Wheeler, John Taylor, sono quelli che mi hanno spinto a suonare molto di più dal vivo e a vincere le mie ritrosie, ad essere molto più coraggioso…”

“Uno dei ricordi più belli ha una data precisa: l’8 settembre del 1999. Mi chiama Andrea Marini, amico e manager di quel tempo, mi fa gli auguri di compleanno e mi invita a correre in serata a Verona che c’era una sorpresa tutta per me: arrivo in questo locale e trovo Kenny Wheeler, da Londra, e Lee Konitz da Colonia! Erano venuti apposta, pagandosi il viaggio, per voler festeggiare insieme a me il compleanno con un concerto in trio! Un regalo unico, una serata speciale, semplicemente indimenticabile!”

Questo era Lee, con la sua umiltà, la sua umanità, la sua straordinaria semplicità.

Luca A. d’Agostino © instArt