Kama è l’opera prima di Alessio Velliscig, uno degli artisti della scena friulana dotati di maggior talento, sia dal punto di vista strumentistico che vocale. Se ne sono accorti anche al di fuori dei confini regionali, se si considera che Alessio è la voce dei Quintorigo. La band emiliana lo ha recentemente chiamato a sostituire Moris Pradella e Velliscig ha partecipato alle registrazioni del nuovo progetto discografico “Opposites”, un doppio album di cover ed inediti pubblicato nel 2018 che vede anche la presenza come ospite di Enrico Rava. Una grande voce, quella di Alessio Velliscig. Un timbro forte, potente, personalissimo, che sa anche trasformarsi ed assumere sfumature dolci e raffinate. E’ un dono naturale, quello di Alessio. Mi viene in mente un aneddoto raccontato da Johnny Cash nella sua autobiografia del 1997. La madre aveva capito che “Dio aveva dato a suo figlio un dono” e lo mandò a scuola di musica.  Il suo maestro, un giorno, chiese al piccolo Johnny di cantare un brano di Hank Williams. Cash scrive: “Quando finii, il suo commento fu questo: non andare mai più a lezione di canto. Non permettere a nessuno di cambiare il modo in cui canti. Detto questo mi rispedì a casa”. Pur evitando strampalati parallelismi e tenendo costantemente conto di quello che spesso ripete Edoardo Bennato “L’arte non ha alcuna unità di misura”, posso dire che Alessio Velliscig ha una marcia in più rispetto a tanti artisti che si cimentano nell’impresa di creare opere: la voce. Ma non solo quella. Le canzoni di Velliscig hanno un’impronta mai banale, mai scontata. Ascoltando i brani di Kama uno può cadere nella tentazione di cercare affinità artistiche con gruppi più famosi, ma non affiora mai la sensazione del “già sentito”. E questo, per un’opera prima, è già un grande risultato.

Prima di scrivere le osservazioni su Kama, torniamo un attimo indietro. Alessio Velliscig proviene da una famiglia dove si è sempre respirata l’atmosfera di arte e cultura. I suoi genitori hanno fondato la formazione storica “Il canzoniere di Aiello” che negli anni ’70 e ’80 conobbe una stagione di intenso impegno e di grandi riscontri nello scenario culturale, rappresentando un’avanguardia nella ricerca musicale e nella proposizione di una nuova musica friulana sui testi di alcuni tra i più significativi poeti locali, tra i quali l’indimenticabile Leonardo Zanier. Anche il fratello Giuliano è musicista e cantante, oltre cha operatore nel campo dell’editoria. Con lui Alessio suona nel gruppo 4B Acoustic Trio, ove è presente anche il chitarrista Michele Pirona, uno dei più virtuosi musicisti del nostro territorio. Insomma, una famiglia dove la musica non è mai mancata, questa è una certezza. Velliscig ha studiato composizione al Conservatorio di Udine e anche pianoforte come strumento complementare. A tale proposito, con forte senso autoironico, dice: “Purtroppo sono ancora pessimo come pianista…”. Compone musica per film o documentari e ha svolto un’intensa attività live sia con i Quintorigo che con altri gruppi, girando diversi paesi tra i quali Stati Uniti, Gran Bretagna, Danimarca e Olanda. Di sé stesso dice: “Mi interesso di filosofia, psicologia e amo la cucina, arte che condivide con la musica degli elementi comuni molto profondi”.

Dopo questa doverosa premessa, passiamo finalmente a Kama e, diciamolo subito: è una perla. Senz’altro siamo di fronte a uno dei migliori album prodotti in Friuli nell’ultimo decennio. I brani sono composti e cantati sia in lingua italiana che in inglese. Pur sottolineando da subito che non esistono momenti di calo, premetto una osservazione generale, assolutamente personale e assolutamente criticabile. Ho una viscerale preferenza per i brani in italiano di Kama che, a mio parere, imprimono una maggiore originalità artistica. Ma è solo un’osservazione e null’altro e lontanissima da una qualsiasi forma di critica, sia chiaro!

Relative apre l’album. E’ un brano trascinante con un riff vocale e chitarristico molto efficace. La chitarra elettrica in primo piano ci porta immediatamente nell’universo artistico di Alessio, composto di energia e trame musicali molto articolate.

La perdita della bellezza, splendide la melodia e il testo, è una delle canzoni più “forti” di Kama.  “Perdere quella che credi essere l’immagine / l’immagine di te per cui sei qui / con la paura di essere senza identità / è poco male se la puoi creare / svuotandoti di eccessi e vecchi limiti / di storie e pregiudizi deboli / che han fatto il loro tempo ed ora cadono / che tanto c’è chi li raccoglierà”.

La raffinata ed eterea Higherevidenzia la versilità vocale di Alessio e la straordinaria abilità del gruppo di musicisti che lo ha accompagnato in questo affascinante viaggio.

Horror vacui è un altro pezzo forte dell’album. Alessio e i suoi compagni strumentisti creano un groove davvero perfetto, con il supporto della magica sonorità della tromba di Federico Mansutti, altro valore aggiunto dell’opera e anche della voce di Alessandra Caravaggi. “Poi però non recriminare il poco tempo, zero vita e rock’n’roll / davvero non ti lamentare per ogni giorno perso in rete per un troll… timido”.

Il Mistero è un altro pezzo pieno di energia con cambi ritmici e arrangiamenti eleganti e pienamente in linea col testo. “Questo è il mistero dell’amore / che quando non lo trovi in te è un egoismo d’autore / con un autografo per me”.

Jesus Christ Syndrome (dedicata a Actualized.org) è una canzone che all’inizio è simile alla sensazione di una nevicata, basata su splendidi arpeggi e interventi chitarristici. Potrebbe essere una hit, con le opportune promozioni mediatiche, è senz’altro un brano di grandissimo livello.

Crossing è una ballata di straordinaria fluidità. Al primo ascolto ha immediatamente catturato la mia attenzione, evocandomi sonorità alla Sade, eleganti, orecchiabili e nello stesso tempo mai scontate.

L’ascolto del CD scorre senza nessuna caduta di tensione emotiva, ogni pezzo è il giusto tassello che compone il mosaico finale. New Age Rock’n’roll fa l’occhiolino ai Red Hot Chili Peppers e a quel geniaccio di John Frusciante, evidenziando ancora la chitarra elettrica di Luca Moreale, al quale Velliscig dedica un ringraziamento speciale nelle note finali (senza Luca Moreale, dice Alessio, di Kama “non ci sarebbe nulla da ascoltare”.

Vulnerabile è l’ennesimo brano di sorprendente intensità di questo bellissimo disco. Una melodia perfetta con trame imprevedibili, soprattutto nel ritornello, ma pienamente a servizio della canzone. E’ un manifesto d’amore, espresso in modo poco “sanremesco”, ma molto emozionante ed autentico. “Lascio il porto sicuro che, senza te, è tentazione e limite / perdo tempo a cercarti ma sei sempre tu che trovi me”. E ancora: “con quegli sguardi tuoi dimentico ogni mia preoccupazione, ogni presunzione”. Alessio trova l’artificio di inserire una serie di rime atipiche (più / tabù / tu / blu) che sarebbero sicuramente apprezzate da uno delle penne italiane più ispirate, Massimo Bubola, che ha più volte utilizzato questo tipo di scrittura.

The day will come (sembrerà strano ad Alessio e a chi legge), mi porta misteriosamente alle atmosfere dei canadesi Rush. Le soluzioni sonore e la melodia, anche in questo caso, sono assolutamente originali e a tratti sorprendenti.

In Apnea Velliscig dà prova di quanto sia versatile e particolare il suo timbro vocale, supportato magnificamente dalle tastiere di Valerio Simonini e da ottime soluzioni ritmiche.

Kama si chiude con la scintillante New Gipsy Boy con un ritornello perfettamente cadenzato sul ritmo swing  “I live closet o Venice / dreaming of Miami / her I’m a New Gipsy Boy”.

Abbiamo incontrato Alessio per chiedergli una serie di cose sul suo album.

Alessio, innanzitutto complimenti per “Kama”. Ci racconti com’è nata l’idea di produrre questa tua prima opera e il percorso artistico che ti ha portato a scrivere queste canzoni?

Ciao Franco e grazie mille per l’apprezzamento! Dopo lo scioglimento della mia rock band The Morning nel 2014, sentivo fosse arrivato il momento di lavorare ad un progetto solista in cui potermi dedicare alle mie tante direzioni creative ma senza quei compromessi che una band a volte richiede. Per questo ne è venuto fuori un disco eclettico dalle sonorità più disparate, perché ho cercato di dare spazio alle mie varie personalità musicali senza cercare un “concept” in partenza, cosa che avevo fatto spesso in passato ma anzi lasciando la possibilità di concettualizzarlo all’ascoltatore, quasi come se fosse un disco interattivo… 

Quanto è stata importante la tua esperienza con i Quintorigo nello sviluppo del tuo percorso artistico? 

Con i Quintorigo non smettiamo mai di metterci alla prova e credo sia un progetto sui generis che non ha molti paragoni anche a livello internazionale, è una band in cui il ruolo del cantante non può mai essere banale, perché gli arrangiamenti e le melodie vocali sono sempre in un equilibrio molto delicato ma proprio per questo mi motivano a dare il meglio e a cercare la linea “perfetta” per l’intreccio con le parti strumentali.

Scrivi in inglese ed in italiano. La scelta della lingua non sembra condizionata da ragioni di “genere”. Ci racconti qualcosa in proposito? 

Fin dal primo giorno ho amato cantare e scrivere in inglese, perché ho sempre pensato alla mia carriera come ad un mezzo per girare il mondo, conoscere culture e condividere arte ed emozioni e inizialmente mi sembrava l’italiano fosse più limitato in questo senso (devo dire che di recente ho un po’ rivalutato questa mia posizione), direi che al momento continuo a scrivere in inglese o perché mi sembra che il sound e il tema ci si sviluppino meglio o proprio perché il tipo di argomento e l’attitudine del brano mi mandano in quella direzione. Kama è il primo disco in cui ho inserito diverse canzoni in italiano ed è una scelta di cui sono felice, anche se spesso il mio pubblico si divide tra chi mi preferisce in una e chi nell’altra lingua… Di recente mi è stato detto (da uno che ne sa) che se voglio continuare anche in inglese dovrei emigrare…

A differenza di molti (troppi?) artisti che si propongono nella scena artistica con un approccio della serie “Sono io l’artista, ascoltatemi” ho l’impressione che tu riesca a trasmettere tanta energia. Anche quando canti piano si sente quest’energia. Cosa ne pensi? 

Quando canto cerco sempre il modo di immergermi nel flow del momento e per questo ho bisogno di una interazione intensa con il pubblico, anche se a prima vista potrebbe non sembrare sempre così, dato che spesso chiudo gli occhi o posso avere uno sguardo sfuggente… In realtà, anche se non sul piano visivo, per me sono proprio quelli i momenti in cui sono più connesso e probabilmente in quel modo trasmetto le sfumature più sottili. Credo che l’intensità emotiva sia una caratteristica che ha poco a che fare con quella dell’emissione vocale (potenza, volume, tecnica) ma molto con la connessione al testo, alle vibrazioni sottili di musica e ambiente e con gli ascoltatori. Ricordo che da piccolo mi imbarazzava molto cantare in pubblico perché non mi sembrava fosse mai il luogo e momento opportuno, come se sentissi che lo spirito di chi canta e quello di chi ascolta debbano essere sintonizzati in un luogo appropriato e inizialmente questo lo trovavo solo sui rari palchi scenici che calcavo… Ora ho superato questa cosa e riesco a connettermi con più facilità anche in situazioni più raccolte, per quanto mi risulti preferibile una dimensione in cui poter prendermi spazi, muovermi ed essere creativo su tutti i fronti.

I testi delle tue canzoni hanno una forte impronta autobiografica, vero? 

Forse non esplicitamente autobiografica, non mi capita di raccontare “la mia giornata” o esperienze riferite ad un momento specifico, ma molti in effetti sono il frutto di meditazioni sugli eventi della mia vita sociale o interiore. Passeggiare mi ispira molto, sia a livello musicale che testuale (“New Gipsy boy” per esempio è nata così), ma anche starmene alla finestra nelle giornate uggiose a vedere come scorre la vita nel mio quartiere (nel caso di “Higher”). Alcuni raccontano di viaggi, altri di persone a cui voglio bene con storie straordinarie, altri sono un po’ critici verso certi sviluppi sociali ( e forse non sono i miei preferiti, ma ogni tanto sento il bisogno di sfogarmi un po’…). Mi piace l’idea di scrivere testi che siano riferibili tanto a me quanto a ciò che di me vedo nel prossimo e anche viceversa, nel bene e nel male…

Per me il valore aggiunto dell’album è la tua voce. Lo prendi per un complimento? 

Ti ringrazio e lo prendo volentieri come un complimento anche se mi sono sempre considerato più un autore che un cantante, in ogni caso sono felice del lavoro vocale di KAMA perché mi sono concesso di esplorare in lungo e in largo il mio range, timbro e attitudine, senza fissarmi sui modi a cui ero più abituato e con cui di solito sono riconosciuto da chi mi ascolta.

I complimenti e gli elogi vanno estesi a tutti i musicisti che ti hanno supportato in Kama. La scena friulana negli ultimi anni ha fatto emergere tanti strumentisti dotati di grande talento. Potresti raccontarci qualcosa di particolare sui tuoi compagni di viaggio? 

Hai fatto benissimo a ricordarlo Franco, ultimamente sento davvero un grande fermento in regione e i talenti sicuramente non mancano… Speriamo quindi che i luoghi e le opportunità possano svilupparsi altrettanto nei prossimi tempi per dare la giusta visibilità a chi vuole esprimersi con arte. Per questo progetto e la sua line-up ho voluto fare delle scelte accurate per capacità ma anche per sintonia umana e attitudine al lavoro, a partire da Luca Moreale che è chitarrista, co-produttore e sound engineer del disco, un amico e musicista straordinario, a Valerio Simonini alle tastiere che mi ha emozionato tantissimo nella sua performance di “Apnea”, a Michele Orselli al basso che ha davvero arricchito il groove di tutto il disco insieme a Michele Di Gleria e Ian Zavan che si alternano alla batteria ( questo in studio, mentre dal vivo solo Di Gleria), fino ad arrivare al bravissimo Leonardo Duranti che ha impreziosito il disco con alcune splendide tracce di Lapsteel guitar e che dal vivo suona le restanti chitarre… Come ospiti in studio abbiamo avuto anche la tromba di Federico Mansutti e le bellissime voci di Alessandra Caravaggi e Barbara Disnan come coriste.

La perdita della bellezza per me una delle perle di Kama. Io ho captato in questo pezzo il disincanto, la presa di coscienza del diventare adulti. E’ questo il messaggio che volevi trasmettere? Ci racconti come è nato il testo? 

Direi che ne hai intuito correttamente una buona parte, io comunque lo trovo un testo che vuole incitare a non fermare mai la propria crescita e ad abbracciare nuove prospettive e liberarsi di fardelli che non arricchiscono intimamente, in particolare quando la vita ti mette alla prova con cambiamenti repentini o particolarmente tosti, quasi quasi la vedrei come un invito a “incantarsi” nuovamente ma con maggior consapevolezza, perché credo sia questo che l’arte possa e debba fare, da un lato risvegliare gli spiriti fiacchi, dall’altro incantare quelli troppo amari.

Horror Vacui è un pezzo trascinante e trovo ci sia molto del tuo modo di pensare, di concepire l’attuale stile di vita di tante persone. Quanto pesa questo “Orrore del vuoto” nell’attuale società? 

Pesa tantissimo, saper amare il silenzio nei pensieri e nella vita quotidiana è vitale per poter avere un ruolo da creativi/creatori e non solo da consumatori. Siamo intossicati di dopamina e ne vogliamo in continuo… Gran parte dei nostri momenti liberi li “investiamo” alla ricerca di una piccola dose, che venga dai social, dalla tv, dall’alcol-sigarette-caffè (le droghe che vanno bene a questa società) e questo ci distacca dalla nostra vita pro-attiva e creativa perché diventiamo troppo facilmente afflitti dalla NOIA, che invece può essere una saggia consigliera se viene ascoltata e non zittita.

Sei legato a qualche brano in particolare di “Kama”, e per quale motivo?

Senza dubbio “Apnea” è un pezzo di cui sento molto il contenuto del testo e credo sia complessivamente una delle tracce più intense. Essendo in un periodo molto introspettivo e “metafisico” della mia vita, con questa canzone ho voluto mettere in discussione anche questa stessa fase, riportandomi brutalmente a fare i conti col tangibile. E’ incredibile quanto possa essere educativa l’esperienza di trattenere il respiro qualche secondo in più rispetto alla soglia di comfort… Ti fa capire quanto sia importante venire sempre e comunque a patti con la nostra mortalità e di conseguenza rispettare profondamente tutto ciò che ci circonda a prescindere che sia un oggetto materiale, mentale o un’emozione e a fanculo chi vuole privare l’esistenza della sua autentica complessità, che sia in politica o nella vita quotidiana e spirituale.

Pur essendo giovanissimo, visto il tuo percorso già pieno di riconoscimenti e esperienze, che consiglio daresti ai più giovani che sentono la necessità di esprimersi dal punto di vista musicale? 

Beh, grazie per il giovanissimo… 😉 Un piccolo consiglio che darei a chi sta cominciando e lo dico perché cerco di ricordarlo anche a me stesso continuamente, è di essere coraggiosi. Il coraggio tante volte, più che il talento, è ciò che manca per liberare una grande creatività. La forza di abbracciare la propria unicità, invece che farsi piccoli per allinearsi e conquistare misere nicchie di popolarità, questo credo sia quello che nel lungo termine sarà la misura del nostro contributo artistico.

E’ evidente che sei un divoratore di musica e letteratura. Non sono riuscito a trovare nulla di scontato in quello che hai scritto, cantato e suonato. Sono incuriosito da un fatto. Nelle note finali di Kama hai citato come tuoi ispiratori Terence McKenna, Alan Watts e Bill Hicks. Tutti grandi pensatori, ma nessun musicista o gruppo musicale. Come mai? Ci racconti qualcosa a questo proposito? Ci potresti dare qualche coordinata sulle tue preferenze musicali?

In verità non credo di essere un gran divoratore di musica, non ne vado orgoglioso ma, particolarmente di recente, mi rendo conto che ne ascolto davvero poca e se lo faccio in gran parte si tratta di musica classica… Ho avuto la fortuna di ascoltarne tanta e buona da bambino grazie alla mia famiglia e in questo senso posso dirti che passavamo dagli Inti Illimani a Bruce Springsteen, da Jesus Christ superstar a De Andrè, Area, Genesis… poi durante i miei anni di formazione come chitarrista ho divorato Jimi Hendrix, Steve Vai, un sacco di progressive, però da un certo momento in poi è venuto meno il bisogno di ascoltarne quotidianamente… Non vorrei sembrare uno che se la tira ma mi piace ascoltare il mio mondo interiore, comprese le sue sonorità e musiche e cercare un canale personale per farle emergere… Diciamo che non soffro di Horror vacui dai! Poi di tanto in tanto, se voglio “tornare in qua” un po’come ho fatto scrivendo Apnea, butto su un disco dei Meshuggah e faccio tabula rasa… 🙂 Per quanto riguarda McKenna, Watts e Hicks, direi che sono stati dei veri e propri punti di riferimento per la mia formazione più recente e credo siano tragicamente misconosciuti in Italia e in futuro vorrei contribuire ad una adeguata diffusione della loro arte e conoscenza.

La critica ha ben accolto “Kama” e i lettori di InstArt qui troveranno una conferma del suo valore. Chi è interessato come può acquistarlo o ascoltarlo? 

Il disco è già online su tutte le principali piattaforme di streaming, se qualcuno desidera supportarmi ed avere una copia fisica del disco o un download ufficiale o del merchandise, lo può ordinare sul mio sito: velliscig.com o dalla mia pagina Facebook.

Grazie Alessio in bocca al lupo per la tua carriera artistica. 

Grazie a te Franco e a tutto il team di InstArt per questa bella chiacchierata!