Claudio Mario Feruglio, che presentiamo in questa rubrica, possiede nella sua pittura una tensione epifanica. E ci spieghiamo per non indurre in fraintendimenti. La pittura di Feruglio è manifestazione di tre ambiti della sua riflessione, il primo filosofico, il secondo storico, il terzo teologico.
La manifestazione filosofica si spiega per quella ricerca di tensione caratterizzata dal silenzio e dall’attesa, da una sorta di shalom, intesa non come tranquillità o atarassia, ma impegno e ricerca interiore, sedimentazione. Pace attiva, scavo nell’io per trovare se’ e scoprire l’altro nelle periferie dell’esistenza.
La manifestazione storica invece rimanda ai grandi paesaggisti dell’ottocento e del novecento, con richiamo persino postimpressionisti e soprattutto espressionisti, con un’analisi che ricostruisce la storia dell’arte sedimentata  negli anni dello studio accademico e maturata nel corso del tempo.
La manifestazione teologica suggerisce la ricerca di Dio, la rilettura dei Salmi, la consapevolezza della forza della Parola, in un sussulto mistico, ieratico, in una ricerca intima e silenziosa, nella coscienza etica ed estetica che il mistero che ci avvolge ha un Nome e una viva lucida restaurazione dell’anima, potendo trovare anche nell’arte la traiettoria dell’esistere, una sorta di outdoor da una contemporaneità materialistica.
Ecco dunque la tensione epifanica di Feruglio, emanazione di un indubbio scavo nei recessi di un io saturo di pienezze, ma ancora insoddisfatto, le illuminazioni sulla tela non sono dunque solamente cromatiche, ma sorgono da una sostenuta attività intellettuale che si nutre di urgenze spirituali e di attese irrinunciabili.
© Vito Sutto per instArt