In occasione del trentennale della caduta del Muro di Berlino, Massimo Zamboni, condotto da fragili desideri, ritorna a riflettere su quei giorni e sul decennio precedente tra puro movimento immoto, con sospetti automatiche simpatie. Nel bel mezzo del progresso di diversi colori e si scopre ancora a tifare RIVOLTA.
Se le frasi di cui sopra dovessero risultare criptiche è solo perché sono una parafrasi dei versi di Trafitto, una delle prime canzoni che CCCP, il gruppo di musica melodica emiliana e di punk filosovietico, eseguivano nei club di Berlino a partire dal 1981.
Il gruppo si formò nella città tedesca dall’incontro di Massimo Zamboni e Giovanni Lindo Ferretti alla discoteca Superfly. Una comune amica in viaggio nella città tedesca li presentò: Vuoi conoscere uno di Reggio Emilia come te? Disse la ragazza a Zamboni che non ci teneva minimamente ad incontrare un compaesano proprio lassù ai bastioni d’Orione dell’Occidente tra i raggi B che balenavano alle porte di Tannhäuser, non sembri un accostamento blasfemo ma Blade Runner di Ridley Scott usciva proprio in quei mesi.
Zamboni ci pensò un poco e poi immediatamente decise il passo, anzi la stretta di mano che cambiò la sua vita e quella di milioni di esseri umani che si sentono ancora Fedeli alla Linea anche se la Linea non c’è più da un pezzo. E fu subito un percorso laterale, una fluida divinità, una convergenza stilistica, con il primitivo preistorico, i brani dei CCCP Noia e Allarme l’hanno ben sottolineato nel corso del concerto. Zamboni ha raccontato tutto questo e molto altro nello spettacolo-concerto andato in scena all’Astro club di Fontanfredda, un locale per la musica indipendente di qualità veramente unico in regione che rende facile immaginare cosa fosse il Nightclubbing anche in una grande città come Berlino qualche decennio fa.
Gli anni di cui si parla sono quelli immediatamente seguenti la trilogia berlinese di David Bowie, sono gli anni terminali dei Ragazzi del Bahnhof Zoo e di Christiane F., (il film uscì in Italia proprio nel 1981) quelli di Iggy Pop e di Lou Reed. Il furore del punk era appena passato e la città tedesca aveva saputo unire la propria tradizione elettronica e la nuova onda, al cosiddetta Neue Deutsche Welle. Esponenti di spicco del nuovo genere musicale erano i D.A.F. (Deutsch-Amerikanische Freundschaft) che il trio di Zamboni ha debitamente omaggiato durante il concerto con tre hit assolutamente significative come Der Rauber und der Prinz, Kebab-Träume e nell’ultimo bis con la celeberrima Der Mussolini, attualissima satira contro la marea nera fascista che continua a montare.
Al concerto dell’Astro club di Fontanafredda (PN) più di qualcuno si ricordava perfettamente della plumbea atmosfera berlinese che si respirava in tutta l’Europa sfregiata dalla cortina di ferro, almeno stando alle pance d’ordinanza, a certe pelate e barbe bianche da vecchi rocker di alcuni tra gli spettatori. I tanti giovani trentenni presenti, che erano appena nati durante quella stagione, se la sono potuta immaginare benissimo con la musica proprio di Zamboni, dai CCCP a oggi.
Soprattutto al nordest d’Italia, la Cortina di ferro non era solo qualcosa di pericoloso e lontano, era anche una realtà tangibile e crudele che divideva le città, le famiglie e le coscienze. I reticolati, gli sbarramenti, i muri, le guardie di confine, i lasciapassare non erano per niente racconti di viaggiatori che se n’erano andati a visitare i bastioni d’occidente. La cicatrice tra patto atlantico e di Varsavia era una realtà quotidiana, manufatto concreto e perfino visibile. Se allora Giovanni Lindo Ferretti dichiarava l’Emilia come l’estrema periferia berlinese, il Friuli e la Venezia-Giulia ne erano una specie di propaggine tanto che lo stesso muro correva dal nord Europa fino al nostro oriente più immediato. Questo spiega anche il grande seguito che musicisti come Zamboni e soci hanno avuto e continuano ad avere nella nostra regione.
Solo qualche mese fa si era potuto assistere ad una memorabile conferenza concerto del chitarrista del CCCP al Museo di Tolmezzo (11/05/19) durante la quale presentava quella sorta di diario di viaggio che è Anime galleggianti, altra meravigliosa fatica letteraria di Zamboni che racconta di un viaggio in barca dalla pianura padana verso il mare sul Tartaro, un canale navigabile del Polesine insieme a Vasco Brondi de Le Luci della Centrale elettrica, di cui si ricorda,sempre a Tolmezzo una memorabile esibizione il 10/01/19.
Anche quest’ultimo spettacolo-concerto ha avuto una laboriosa gestazione ed ha già alle spalle un lungo fecondo cammino. Nasce come rielaborazione scenica del testo autobiografico di Zamboni: “Nessuna voce dentro. Un’estate a Berlino Ovest “(Einaudi 2017), la colonna sonora è diventata nel novembre 2018 uno splendido album dal titolo: “Sonata a Kreuzberg” che in occasione del tour di quest’anno, si è arricchito lungo le strade del rock di suggestioni e ulteriori riflessioni in musica e poesia, diventando una celebrazione della caduta del muro ma anche la persistenza della memoria di un presente che non prevedeva futuro e che quindi ha fatto finta di non passare.
Il titolo, non c’è bisogno di ricordarlo, gioca letterariamente con l’epocale romanzo breve di Lev Tolstoj, La sonata a Kreutzer pubblicato, per altro, nel 1889 (giusto 130 anni fa per continuare a giocare con gli anniversari) che a sua volta fa riferimento all’omonima Sonata di Ludwig van Beethoven.
Kreuzberg, però, è ancor oggi un enorme quartiere popolare e multiculturale di Berlino da circa 150.000 abitanti. Se oggi è ancora culturalmente vivo lo si deve ai lunghi anni in cui fu una delle zone marginali della città delimitata da muri e reticolati dove vivevano gli emarginati, i ribelli e i reietti.
In questa zona liminale, si svolsero le avventure d’esperienza culturale e musicale di Zamboni, la sua vera e propria educazione sentimentale. Durante lo spettacolo si è ricavato lunghi preziosi momenti nei quali ha letto, dal suo testo, momenti di vita e di sogno scritti con rara sensibilità immaginifica. Zamboni possiede il singolare carisma della scrittura virtuosistica ed al tempo stesso di chiarezza cristallina, le sue non sono descrizioni ma evocazioni. Da vero musicista della penna stilografica o del tratto-pen che dir si voglia, è capace di schizzare situazioni e paesaggi interiori di bellezza straziante e livida, insieme a momenti di una tenerezza insostenibile e diafana.
A un certo punto dell’esibizione, lasciando da parte il basso elettrico che per l’occasione imbracciava, ha raccontato del Caffè Kaos, un ritrovo spoglio e scabro del underground punk berlinese d’inizio anni ‘80, un misero stanzone dove la gente andava non per sentirsi parlare o atteggiarsi a rappresentare qualcosa o qualcuno, ma per condividere probabilmente quel senso d’incolmabile angoscia che strozzava le loro vite. A tutti i presenti dell’Astro club è sembrato d’essere là in un altro tempo e in un altro spazio; eravamo tutti a Berlino quella sera degli anni’80 ad ascoltare Lou Reed che cantava:
We were in a small cafe
and you could hear the guitars play
it was oh-so nice
Hey baby,it was, uh, paradise.
Eravamo tutti là attraverso la voce calda e ruvida della meravigliosa Angela Baraldi, davvero splendida e intensa anche visivamente, come solo Patti Smith in Horses ha saputo essere, e ogni tanto agli spettatori sembrava d’avere le traveggole. La Baraldi in più ci mette tutto il proprio carisma e il proprio fascino magnetico d’animale da palcoscenico. Davvero ammaliante e stupenda in un’interpretazione da vera rocker che sa sputare l’anima al momento giusto e scotennare e scuotere anche le pellacce più conciate, spesse e dure tra il pubblico.
Ci si spostava poi da un whiskey bar all’altro senza chiedere un perché in compagnia di Brecht, di Weill ma anche di Bowie e Jim Morrison sotto la guida sapiente del pianoforte e delle tastiere di Cristiano Roversi che nel trio è tutt’altro che un comprimario. Infatti, tutta l’atmosfera allucinata ed elettronica era affidata alle sue dita e ai suoi circuiti di Kraftwerk Robot.
C’è stato ancora tempo per una reinterpretazione di In the Garden degli Einstürzende Neubauten e poi Wild ist die Welt di Mona Mur, Afraid di Nico e altre. Carnosa, disperata e sensuale l’interpretazione della Baraldi nella sorprendente Bette Davis Eyes della biondissima e algida Kim Carnes, sogno segreto di tutti i ragazzini impuberi del 1981 compreso lo scrivente. E come diceva Peppino in Totò e Peppino divisi a Berlino: “Ho detto tutto!”
In conclusione, dopo l’invalicabile muro apparso durante il dolente, evocativo brano La città imperiale, tra i bis, il momento decisamente più emozionante, è stata la lettura a due voci, Zamboni-Baraldi, di alcuni versi di Canto per i miei compagni del poeta-musicista Wolf Birmann:
Ora canto per tutti i miei compagnia
la canzone della tradita rivoluzione
per i miei compagni traditi canto
e canto per i miei compagni traditori
La grande canzone del tradimento canto
e la canzone più grande della rivoluzione
E la mia chitarra geme di vergogna
e la mia chitarra esulta di felicità
e le mie incredule labbra pregano ferventi
l’UOMO, il dio di tutta la mia fede
…
Canto la pace in mezzo alla guerra
Ma canto anche la guerra in questa
trimaledetta assassina pace
che è una pace di cimiteri
che è una pace dietro i reticolati
che è una pace sotto il manganello
E perciò canto la guerra rivoluzionaria
per i miei compagni tre volte traditi
e anche per i miei compagni traditori:
in tenace umiltà io canto la RIVOLTA.
Flaviano Bosco © instArt