Tra le eccellenze della musica in regione brilla uno straordinario festival che ha pochi paragoni: Madame Guitar. Ad ogni nuova edizione si alternano su suo palcoscenico, senza soluzione di continuità, grandissimi virtuosi della chitarra, specialisti di tutti gli stili e di tutte le provenienze, maestri del folk, rock, jazz e illustri dotati, sconosciuti al grande pubblico. Lo scopo di tutti è deliziare gli attenti e preparati spettatori con della bella musica suonata come si deve, in un ambiente sereno e in un clima di partecipato divertimento.
Sembrano banalità ma nel mondo dello spettacolo, anche solo regionale, non sempre è così. I concerti, paradossalmente, a volte, sono concepiti non tanto per la musica ma solamente per lo show business, per il glamour e per l’immagine social dell’evento che magari serve solo a promuovere una località o peggio, un prodotto o un’azienda. A pochi interessa davvero cosa si suona e perché, a certi spettatori sembra importare di più la possibilità di scattarsi qualche selfie prima, durante e dopo le esibizioni da postare sui social o comprare qualche gadget. I promoter più cinici e smaliziati se ne sono accorti da tempo e forniscono i concerti di appositi chioschi con ogni leccornia e il merchandising più vario. Madame Guitar non è così, non lo è mai stata, l’atmosfera che vi si respira è genuina, verace e schietta, priva di tutte quelle false liturgie da società dello spettacolo che poco hanno a che fare con l’autentica passione per la musica.
Tra i molti concerti della tre giorni chitarristica se ne sono scelti alcuni tra i più significativi anche se ogni singolo artista della manifestazione si è guadagnato sul palco tutto il plauso e il riconoscimento del pubblico.
– Marcus Eaton (USA) Momenti elettro acustici nell’esibizione di un raffinatissimo artista americano che non fa alcun mistero della sua collaborazione con l’immenso David Crosby che gli è maestro e fonte primaria d’ispirazione. L’artista ha subito conquistato la simpatia del pubblico scusandosi per la scelleratezza del suo presidente Donald Trump. Anche se noi italiani abbiamo la classe politica più vergognosa del mondo e la borghesia più ignorante d’Europa, deve essere proprio imbarazzante farsi rappresentare da un personaggio così squallido. Eaton fa un uso continuo di effetti, loop e di una sofisticata pedaliera che restituiscono un suono sofisticato e tridimensionale apparentemente tutt’altro che acustico ma che si rivela calibrato e ipnotico pur conservando un importante radice folk.
– Anthony Basso Acoustic Trio, 50th Woodstock Anniversary. Per questa edizione il tradizionale logo di Madame Guitar è stato affiancato da una divertente caricatura di Leonardo da Vinci del quale si celebra il quinto centenario, realizzata dall’artista Ugo Furlan che lo ha immaginato come un barbuto figlio dei fiori Peace, Love & Music; esattamente nello stile della flower generation che affollò i prati di Woodstock esattamente cinquant’anni fa.
Anthony Basso è un artista con un’ottima carriera dietro alle spalle e una altrettanto lunga che lo aspetta. E’ di casa al festival fin da quando si esibì con il suoi W.I.N.D. in una passata edizione (2010). Basso è stato recentemente impegnato in una serie di concerti di grande richiamo di un proprio progetto musicale, Woodstock Love Caravan, che celebra il più grande Happening musicale degli anni sessanta. Sul palco del Garzoni ha eseguito la parte acustica di quel fortunato spettacolo alternando i grandi successi di Richie Havens, Tim Hardy, Crosby, Stills and Nash e altri ai propri brani originali. L’impatto è stato decisamente gradevole e a tratti efficace anche se a volte un certo virtuosismo troppo ruvido e muscolare è sembrato fuori tono.
Particolarmente toccante, invece, l’esecuzione dell’epocale Blackbird dei Beatles che si notarono per la loro assenza al grande raduno ma segnarono a fuoco quell’ultimo scorcio degli anni sessanta.
– Enrico Maria Milanesi: virtuoso raffinato e funambolico ha letteralmente irretiro il suo uditorio con la sua tecnica luciferina fatta di vertiginose scale e arpeggi ai limiti dell’umanamente concepibile. La sua abilità non è sembrata, però, mai fine a se stessa. La velocità d’esecuzione e il suo finger style spinti fino al parossismo permettendogli un grande risparmio sulla band che dovrebbe accompagnarlo così da tenere per se tutti gli ingaggi, come ha scherzosamente raccontato, non gli ha impedito di intessere con le sue corde un arazzo di colori ed emozioni rare. Si lasciano ricordare piacevolmente le sue interpretazioni di My Favorite Things in un originale arrangiamento; The Metronome Man, uno studio in blues in tutte le tonalità possibili; il brano Le petit sorciere in scala esatonale dedicato al compositore Paul Dukas e alla sua Fantasia disneyana, e ancora le sue divagazioni tra ragtime e sonorità cubane tra le più imprevedibili.
– Martin Barre Acoustic Trio 50° di Jethro Tull.
Martin Barre senz’ombra di dubbio è stato ed è uno dei chitarristi più famosi e influenti della storia del rock. I suoi 43 anni di militanza nei Jethro Tull ne sono un’inequivocabile prova. Capolavori assoluti come Stand up, Aqualung, Tick as a Brik, Bursting out (Live) e tanti altri non sarebbero stati i medesimi senza la sua presenza. Lo si è potuto constatare direttamente, anche se non ce n’era bisogno perché è un’ovvietà, durante il più recente concerto della band, che vede ormai la presenza come unico membro fondatore di Ian Anderson, durante il Festival di Majano (Ud) lo scorso luglio.
I Jethro Tull senza Martin Barre conservano un certo fascino per gli appassionati più sfegatati ma, in tutta sincerità, sono solo l’ombra di quello che sono stati, hanno perso non solo in creatività ma anche in brillantezza e vivacità, fino a sembrare una cover band di se stessi. Il sound del flauto di Anderson, bisogna riconoscerlo, non ha perso in piacevolezza ma è evidente che da quando il chitarrista è stato brutalmente messo alla porta qualcosa si è irrimediabilmente infranto.
Tutt’altra l’emozione che il chitarrista scozzese, con il suo prestigioso trio, ha regalato agli spettatori di Madame guitar. E’ salito sul palco in tutta umiltà, con un piglio grintoso e del tutto informale. E’ stato uno spettacolo fin da subito mentre lo si vedeva armeggiare con il suo strumento sistemando i cavi dell’amplificazione, regolando i volumi, il microfono, accordando le sue corde davanti al pubblico mentre il patron della manifestazione si prodigava nell’intrattenimento. Barre aveva l’aria di un vecchio roadie, senza alcun atteggiamento da grande star anche se potrebbe permetterselo essendo uno dei grandi profeti della sei corde del nostro tempo.
L’empatia con il pubblico è stata immediata, poi ci sono state in più la sua verve da vecchio lupo di mare, la sua caustica ironia e lo splendido tocco delle sue dita. Il palcoscenico del Garzoni, tanto essenziale da sembrare spoglio, è stata la scenografia ideale per permettere al pubblico di concentrarsi sull’esecuzione dei tre chitarristi.
Al fianco del leader il non meno prestigioso bassista Alan Thomson, per tre decenni a fianco di John Martyn il leggendario chitarrista scomparso vent’anni anni fa. A differenza di quel che resta dei Jethro Tull, Barre non ha scelto il percorso della riproposizione nostalgica di un passato glorioso ma ormai asfittico e senza prospettive. I nuovi arrangiamenti acustici e intimi degli storici brani che lui stesso aveva contribuito a rendere immortali, ridonano energia e spessore del tutto nuovi a quelle note dimostrando la loro versatilità e la vena più autentica e creativa del chitarrista scozzese. Per niente snaturate nella nuova veste, alcune vecchie canzoni sono state accompagnate dagli applausi ritmati del pubblico che ha perfettamente colto la raffinatezza del lavoro di Barre che ha recentemente pubblicato un interessante doppio album, MLB Celebrates 50 Years of Jethro Tull, che contiene un concerto e tutta una serie di vecchi brani in versione piacevolmente intima e acustica.
Oltre a brani del tutto originali appartenenti alla carriera solistica del chitarrista, spiccano tra tutte le canzoni la classica Skating Away con i suoi versi sognanti e malinconici (Skating away on the thin ice of the new day) la divertente Fat Man (Roll us both down a mountain and I’m sure the fat man would win) e, naturalmente, la definitiva e iconica Locomotive Breath (The train it won’t stop going. No way to slow down). Del tutto inaspettato, invece, l’omaggio al padre del Delta Blues Robert Johnson e al suo diabolico crocicchio (Cross Road Blues) dove, al quale almeno una volta nella vita ogni appassionato di musica afroamericana ha sognato di recarsi in devoto pellegrinaggio.
Giorgio Vasari, nel suo Le vite de’più eccellenti pittori, scultori e architettori, scrive che Leonardo costruì una lira d’argento a forma di teschio di cavallo, grazie alla quale vinse una sfida tra musicisti organizzata da Ludovico il Moro al Castello Sforzesco di Milano. A questo punto, ricordandoci dei suoi autoritratti con barbone e capelli lunghi anche da vecchio, con un pizzico di irriverenza, possiamo riconoscerlo tranquillamente come il primo rocker con tanto di chitarra a teschio. Leonardo da Vinci, in quel di Woodstock, non avrebbe certo sfigurato nella line up dei Jefferson Airplane o accanto a Gerry Garcia nei Grateful Dead.
Lunga vita a Madama la chitarra! Evviva Madame Guitar!
© Flaviano Bosco per instArt