Folgorante, politica e militante esibizione del cantautore di Bagnoli all’Arena Alpe Adria di Lignano sotto l’egida di Azalea promotion che, in questa stagione estiva, continua ad inanellare clamorosi successi.

Chi si aspettava un concerto morbido e nostalgico di un musicista con più di cinquant’anni di carriera alle spalle che ha già tirato i remi in barca ha sbagliato indirizzo. Non erano proprio “solo canzonette” quelle di Lignano. Bennato, pur attingendo a piene mani anche dal suo primo repertorio, ha volutamente selezionato una teoria di brani che in molti casi sembrano più attuali e graffianti oggi di allora.

Bennato è sempre stato ed è un rinnegato della musica italiana; un artista che con una straordinaria coerenza, in questi dieci lustri, non si è mai piegato al facile successo; la sua chitarra è sempre stata ed è una spada che ha brandito contro tutto e contro tutti. La sua arte ruvida, spigolosa, auto-ironica non ha mai fatto sconti a nessuno denunciando in ogni occasione i soprusi dei “cattivi” ma segnando a dito anche l’ipocrisia dei “buoni” o di coloro che credono di esserlo: Arrivano i buoni ed hanno le idee chiare ed hanno già fatto un elenco di tutti i cattivi da eliminar…”

Bennato è stato spesso indigesto e indigeribile per lo show business nostrano anche per il suo carattere aspro, per il suo essere caustico e irriverente, fuori degli schemi da grande outsider e da vero fuoriclasse.

Pur dimostrando fin da subito un eccezionale talento di compositore e musicista, la sua voce sgraziata, particolarissima e unica, i suoi versi queruli e spesso perfino scimmieschi, inizialmente, non furono capiti soprattutto dai produttori discografici che per anni gli impedirono di avere i giusti e meritati riconoscimenti dal pubblico e dalla critica. Le avversità lo resero ancora più determinato nell’intraprendere la strada della musica fino a che, grazie alla propria caparbietà, arrivò alla notorietà che ancora gli arride.

Proprio per tutta la gavetta e le sofferenze che dovette affrontare pur nella riservatezza che lo caratterizza, non ha mai avuto atteggiamenti da star o di snobismo classista. E’ vero il contrario; visto che prende molto sul serio la propria professione, sta ben attento a non prendersi troppo sul serio perdendo di vista la direzione e la prospettiva della propria arte che, come ha dichiarato davanti al pubblico, vuole farla finita con il vittimismo, il fatalismo e l’assistenzialismo per stimolare le giovani generazioni, ma anche le vecchie, a fare qualcosa di concreto per cambiare le cose costruendo un mondo nuovo possibile.

Senza alcuna retorica trombona salendo sul palco da solo armato di chitarra, armonica, Kazoo e tamburo a pedale da autentico “one man show”, si è rivolto al pubblico dicendo che in questi tempi di caos politico, di catastrofi ambientali e quant’altro, l’unica cosa sulla quale non avrà mai dubbi è sull’autentica carica sovversiva e rivoluzionaria del Rock’n’Roll.

Può sembrare un’affermazione velleitaria e fin troppo convenzionale e perfino qualunquista, ma quando sono partite le prime ruvide note di “Abbi Dubbi”, tutto il pubblico ha avuto subito chiaro in mente che non si sarebbe trattato della solita esibizione rituale, spenta logorata, e di maniera, ma di un’autentica scarica di energia ad alto voltaggio; musica per le viscere, il cuore ma soprattutto per il cervello, perché “chi dubbi non ne ha chissà cosa farà” strofe semplici e immediate solo all’apparenza ma che contengono messaggi assolutamente importanti. Io Dubito dunque sono, perciò esisto diceva quel tale francese, chi si lascia scorrere la vita addosso senza mai chiedersi cosa stia succedendo attorno a lui e senza farsi troppi problemi, è lui stesso la causa del diffondersi del male. L’indifferenza è proprio l’origine della maggior parte delle piaghe che affliggono l’umanità.

Un tuffo al cuore quando tutti cominciano a ricordare quella canzone sentita dentro un bar da un jukebox che suonava e allora sono state davvero Solo canzonette”ma di quelle pazze, incoscienti, irriconoscenti, sovversive e da mezzi criminali e non c’è stato più gioco né finzione. “Perchè l’unica illusione è quella della realtà, della ragione”.

Un boato ha accolto Il Gatto e la Volpe”, il brano immortale con il quale Bennato si è scagliato prima contro i produttori e gli operatori dello spettacolo arruffoni che promettono facili successi, solamente per i loro lucrativi interessi (la musica di oggi ne è ricolma) ma anche contro tutti quelle bestie, in forma di uomini, che non esitano a sfruttare i più ingenui per la loro ingordigia, e sappiamo bene quanti Pinocchi, a causa loro, finiscono a penzolare da un albero per quattro denari sporchi di terra.

Sulle note della splendida e amara Il paese dei balocchi è salita sul palco la corposa band formata da due energici chitarristi, un basso, tastiere e un percussionista. Il suono si è fatto decisamente più Southern rock stradaiolo, sporco e sudato proprio come deve essere.

L’immaginario di Bennato è sempre stato incentrato con un particolarissimo rapporto con la fiaba e con il racconto popolare. La sua chiave di lettura delle favole (tutti e tre i termini usati hanno un preciso riferimento alla nota opera di Propp che però non è il caso di approfondire in questa sede) attiene ad una trascendente rielaborazione della quotidianità non tanto come fuga nella fantasia ma come prospettiva e anelito “concreto” verso l’utopia.

Se prendiamo ad esempio due delle canzoni più struggenti e significative tra quelle composte dall’artista ed eseguite nel concerto, siamo in grado di capire immediatamente qual’è il segno della sua arte e della sua poetica. “Ogni favola è un gioco” ci esorta a non credere troppo alle nostre fantasticherie ed a restarcene con i piedi ben piantai per terra perché “non è la realtà ed è vera solo a metà”.

Allo stesso tempo “L’isola che non c’è” ci indica perfino la via verso il non luogo per eccellenza dove tutti i nostri sogni si possono avverare: “Seconda stella a destra, questo è il cammino e poi dritto fino al mattino”. Sembrano due messaggi contraddittori ma non lo sono per niente. La disillusione e le difficoltà quotidiane non devono per niente impedirci di continuare a credere nei nostri sogni e nelle nostre speranze; al contrario dobbiamo moltiplicare i nostri sforzi e credere ancora più forte in ciò che ci sembra assurdo, solo così l’impossibile diventa reale e a portata di mano.

Il nostro futuro è prima di tutto nei nostri cuori e nei nostri sogni “fortissimi”, solo in seguito, naturalmente, si manifesta ma solo se noi ci crediamo davvero. E’ vero solo a metà ma quella basta e avanza per ricompensare ogni nostra fatica; quella favola, ogni favola, vale tutta la nostra vita se viviamo nella sua luce respingendo tutta quella violenza che “abbiamo dentro e che si vende nei negozi della città e chiunque la può comprare”, come recitano i versi di “Tu grillo parlante”, il profeta di varietà.

Riarrangiata e tristemente contemporanea, in questo senso, è sembrata “Meno male che adesso non c’è Nerone”, un vero classico della produzione giovanile del musicista che non potrebbe essere più contemporanea e che, con vero spirito satirico, sbeffeggia gli inganni che il Potere mette in atto da sempre per stordire e sottomettere le proprie inconsapevoli vittime che, in definitiva, siamo tutti noi.

E allora ci sarà sempre quello che organizzerà feste per il bel mondo suonando anche lui e imponendo tasse a chi protesta (pensiamo solo alle “feste eleganti” di un nostro vecchio premier e al DJ set di Papeete beach di un altro ex), oppure quelli che per farci dimenticare le cose serie ogni domenica ci fanno mandare in ferie il cervello rimbambendoci con il calcio negli stadi e non serve nemmeno fare degli esempi.

Certo oggi non c’è più Nerone che incendia le città che, per altro, crollano da sole per le speculazioni e il malaffare (Ponte Morandi a Genova Docet) ma ancora qualcuno canta: Meno male che Silvio c’è, ed ogni riferimento e parallelo con l’ex Cavaliere è da ritenersi intenzionale e voluto.

Vero baricentro dell’esibizione è stato l’esplodere della bellissima e urticante: “Mangiafuoco”, rivisitata e corretta in chiave hard rock, tutta fuoco e fiamme rosse come l’inferno in cui bruceranno tutti i Nerone della storia. “Non si scherza, non è un gioco, sta arrivando Mangiafuoco Lui comanda e muove i fili”.

Tra le animazioni che accompagnavano i brani dal mega- schermo dietro il palcoscenico, se ha qualcuno restava qualche dubbio sul significato delle parole di Bennato, è apparso un enorme barbuto “Master of Puppets” che reggeva i fili di tutti quei burattini che vediamo ballare scomposti sulla scena politica dei nostri giorni; chi ha seguito le cronache parlamentari dell’attuale crisi di governo italiana o di quelle sullo scacchiere internazionale, non faticava ad identificarli.

Ce n’era un po’ per tutti e per tutto l’arco istituzionale da Grillo a Renzi, dalla Merkel a Trump, Di Maio, Conte fino al vero convitato di pietra del concerto, l’attuale facente funzione ex ministro degli interni Matteo Salvini, esplicitamente chiamato in causa più volte, sempre con tutto il rispetto dovuto cioè molto poco.

Uno scatenato intervento del percussionista che ha interagito con il pubblico plaudente ha infuocato ancora di più l’Arena Alpe Adria che per un momento è sembrata Woodstock durante la torrida esibizione dei fratelli Santana, ma è stato solo un momento.

E’ nella recentissima Ho fatto un selfie” che Bennato ha dimostrato che la sua carica di irriverenza non si è per niente smorzata negli anni e che la sua impudenza sa ancora mordere le parti molli dei belli e dei brutti del nostro tempo che usano le nuove tecnologie e i social network per i propri bassi interessi.

Ogni riferimento è esplicito e voluto visto che un eccezionale verso della canzone recita: “Ho fatto un selfie con un certo Salvini ad un concerto di Edoardo Bennato”. Un non sense che, nella sua paradossalità, dice tutto.

Divertente in modo imprevedibile anche un elemento dello show legato a quest’ultimo brano che prevedeva che ogni selfie scattato dal pubblico durante l’esibizione e inviato via Whatsapp ad un numero indicato, fosse pubblicato immediatamente sui social dell’artista ed una scelta di essi venisse mandata a rotazione sullo schermo a fine concerto. Sembrava una cosa da finti giovinastri e, invece, è stato molto coinvolgente e simpatico vedere le facce felici del pubblico come sfondo all’ultima canzone.

Moltissimi sono stati ancora i brani in scaletta ed ognuno meriterebbe di essere analizzato a fondo come “Mastro Geppetto” che completa la galleria collodiana dell’opera “Burattino senza fili”; la struggente “Quando sarai grande”, “La calunnia è un venticello” rossiniana e dedicata alle sfortune di Enzo Tortora e a Mia Martini, La torrida, autobiografica “A Napoli 55è ‘a musica” e ancora “Vendo Bagnoli”, “Rinnegato”, “Capitan Uncino”, “La Luna”, “In prigione in prigione”, “Venderò”, “La Fata”, e altre, molte delle quali sono state cantate a squarciagola da tutto pubblico in modo perfino commovente.

Vale la pena però di soffermarsi su alcune parole di grande significato poetico e politico, le due cose dovrebbero sempre andare insieme, pronunciate da Bennato. Alludendo alle metafore che si celano dietro il suo storico lavoro dedicato a Pinocchio, ha sottolineato il circolo vizioso che nutre e genera il Potere più dissoluto: Quanto più è perverso crudele e feroce il Mangiafuoco che tiene i fili del potere, tanto più i burattini si sentiranno deboli e fatalisti; tanto più quest’ultimi si crederanno impotenti e vittime, tanto più spietato e malvagio sarà Mangiafuoco e via di seguito.

Il significato è davvero carico di senso di responsabilità per ognuno di noi, soprattutto in questi tempi in cui il cosiddetto sovranismo e l’autoritarismo sembrano di nuovo, letteralmente, farla da padroni. Sono gli schiavi a dar forza ai loro padroni con la loro sottomissione e con il credersi impotenti e senza speranze. Quando smettiamo di dar forza ai nostri sogni di libertà e, per qualunque motivo, deleghiamo a chicchessia i nostri doveri e responsabilità di esseri umani, allora alimentiamo l’odio che genera i mostri del potere che non faranno altro che nutrirsi delle nostre paure ed omissioni.

E’ una grande lezione d’etica e di morale quotidiana che dovremmo tenere sempre ben presente. A questo proposito la canzone “Pronti a salpare” dell’omonimo album del 2015 dedicato all’amico Fabrizio De André, ci avverte di stare tutti pronti a “salpare” dai nostri pregiudizi e dalle nostre comode poltrone (mentre sul grande schermo campeggia la sacrosanta scritta: “Nessuno è straniero nel mio paese”) per andare incontro a tutta quella umanità di veri eroi che rischia il tutto per tutto, salpando fisicamente nel mare nero della disperazione, per garantire a se e ai propri figli un futuro di speranza. Noi tutti dobbiamo fare in modo che quelle “anime salve” trovino un porto sicuro d’attracco nei nostri cuori e nelle nostre braccia.

L’utopia è qui ed è adesso, non lasciamo naufragare il nostro futuro con i nostri fratelli nel mare dell’indifferenza e dell’opportunismo.

E allora: “Ciurmaa! Ma sono o no il comandante di questa lurida nave? Pronti a salpare” verso l’isola che C’E’.

© Flaviano Bosco per instArt