Ore 20,00 Amaro Freitas Trio.
È vero il gioco di parole del titolo appare banale e scontato, tutt’altro però è stato il succulento menù proposto dal festival nella sua seconda serata.
Se l’immaginifico concerto di Paolo Fresu si era concluso con un affettuoso e sentito commiato in musica al grande maestro João Gilberto appena scomparso, il Brasile ha subito risposto con una delle grandi promesse del suo immenso patrimonio artistico. Il giovanissimo Amaro Freitas, classe 1991, è ormai una certezza della nuova musica del lussureggiante paese sudamericano e del continente tutto e in un power trio propone un potente, originale e inedito crossover tra musica popular brasileira e jazz dalle mille influenze e venature.
Come ha dichiarato dal palco Max De Tomassi, storico conduttore della trasmissione Brasil di RaiRadioUno e vecchio amico di Udine Jazz tanto che nella scorsa edizione partecipò al festival con il prode e giusto Gianni Minà, Amaro si appresta a esibirsi niente meno che al Montreaux Jazz Festival sotto l’egida di Quincy Jones. Il pianista ha all’attivo solamente due album che però sono immediatamente schizzati al top delle classifiche di vendita con l’assoluto favore di critica e pubblico, Sangue Negro del 2016 e Rasif del 2018, i cui brani ottengono milioni di visualizzazioni su Spotify e You Tube. Provare per credere.
Con una verve davvero fuori dal comune il pianista contamina le particolari, ramificate tradizioni musicali del suo paese d’origine, il Pernambuco (nordeste brasiliano) misconosciuti dagli europei che generalmente li considerano solo un trascurabile esotismo ma che pulsano nel cuore dei brasiliani.
Amaro conosce i ritmi ancestrali della Ciranda, del Samba de Coco e poi ancora del Forrò, Frevo, Maracatù, Capoeira e ancora altri, nei quali si incontrano i ritmi dei riti tribali delle tribù indios della foresta tropicale come quello detto Ouricuri, dei misteriosi Fulni-ô, proibito agli uomini bianchi. A questi si aggiunge per primo il retaggio della musica africana nelle più varie forme meticciate e creole in salsa caraibica e poi la tradizione colta della musica occidentale ed europea e, infine, il grande jazz afroamericano di Thelonious Monk e Chick Corea.
Amaro viene da una famiglia molto semplice e povera della favela di Recife, ha cominciato a suonare il pianoforte in parrocchia ed ha avuto qualche esperienza di conservatorio che ha dovuto abbandonare a causa della miseria. Il suo talento è assolutamente genuino e originale, è una vera forza della natura che non conosce confini e barriere.
La sua esibizione inizia con la mano sinistra che nella cassa armonica disturba l’azione delle meccaniche, mentre la destra batte sui tasti un forsennato ritmo tribale al quale rispondono alternativamente il contrabbasso di Jean Elton e la batteria di Hugo Medeiros dando l’impressione prima di chicchi di grandine su lamiere ondulate e poi di una liberatoria cascata d’acqua lustrale.
Nel pubblico, il piacere dell’ascolto di pancia si trasforma e, immediatamente, sale lungo la colonna vertebrale del ritmo fino alle radici del cuore la cui liquida sostanza finisce per irrorare con rinnovato vigore il sistema limbico del cerebro fin nella sua più riposta mandorla (in greco Amygdala).
Ed è subito memoria dell’Africa, sofisticata vertigine ed intreccio di prospettive e trame inaudite. Il pianista brasiliano è un autentico fenomeno dalla tecnica sofisticata e al tempo stesso selvaggia e straripante.
Non c’è nessuna possibilità di tregua nella sua esecuzione esplosiva, deflagrante e ipnotica così martellante da rivelarsi a tratti implacabile e drammatica.
I suoi sono suoni dolci e feroci ad un tempo, esplosi in una forsennata rincorsa a perdifiato e a rotta di collo. Alla fine dei brani la sua furia pare placarsi ma solo per un breve attimo, per riprendere fiato e poi immediatamente riprendere con il suo incalzare di deflagrazioni ed effetti pirotecnici da tastiera.
Non sono da meno i musicisti che lo affiancano (Hugo Medeiros, Jean Elton) consapevoli ed evidentemente compiaciuti di far parte integrante di un progetto musicale innovativo e di grandissima rilevanza nello scenario del jazz contemporaneo e del prossimo futuro.
Il trio è un Bateau ivre alle prese con acque pericolosissime e agitate. Come dice Rimbaud: Nello sciabordio furioso delle maree…correvo! E le penisole alla deriva mai subirono sconvolgimenti più trionfali…danzavo tra i flutti.
Proprio così danzano le dita di Amaro sulla tastiera mentre incita i suoi musicisti ad avere l’ardore di seguirlo nel suo folle volo tanto da regalare al pubblico la gioia di un’incontenibile felicità che sembra non finire mai.
Tra i tanti brani eseguiti dalle sue incisioni, naturalmente, c’è stato lo spazio anche per un omaggio alla musica italiana che ha visto il pianista accostare alcuni accordi di Con te partirò di Boccelli ad una molto più strutturata e sentita Bella Ciao salutata dagli applausi militanti del pubblico, forse tanto per ricordare che anche il Brasile con Bolsonaro non se la passa benissimo da un punto di vista politico.
La performance del trio è stata adrenalinica ed è sembrata sostenersi su di una forza ancestrale, un energia ctonia che portata alla luce dai loro suoni si è riversata sul pubblico come una scarica elettrica ad alto voltaggio, un fulmine del cielo.
Paradossalmente l’esecuzione, pur essendo muscolare e sempre sopra le righe e fuori dal rigo musicale, non è mai sembrata eccessiva, una sorta di caos calmo che si riversa per ondate successive concedendo la possibilità di prepararsi al prossimo impatto.
L’unica ballad dell’intero set non è sembrata per nulla una tregua; pur essendo un brano intimo e raccolto dalle emozioni nostalgiche, suadenti e tristi era anche così carico di energia trattenuta da risultare ancora più elettrizzante.
Amaro si è anche divertito non poco a giocare con le voci del pubblico e a ritmarne gli applausi scandendo il tempo.
Fuori dalla tenso-struttura coperta sotto la quale si è svolto il concerto, nel frattempo si scatenavano i tuoni e i fulmini di uno spavento temporale ma anche lo scrosciare della pioggia sul telone sembrava far parte del medesimo contesto. Non c’è niente di più dolce, squisito ed evocativo che starsene al coperto a naufragare in musica con il battello ebbro dell’Amaro Freitas Trio che beccheggia sulle onde del ritmo.
Per definizione il Pianoforte è uno strumento a percussione di corde come il suo lontano antenato la Kora africana. Su questo argomento, dopo aver assistito all’esibizione di Amaro al parco delle Rose non può più sussistere alcun dubbio. Una novo astro del pianismo mondiale irradia la sua luce.
Intanto, sempre per restare in tema di forze della natura, l’altra sera il Brasile, battendo nettamente il Perù in una partita al cardiopalma, ha vinto la coppa America di calcio.
Ore 21,30 North East Ska Jazz orchestra. Ska Jazz Party
Da tutto un altro nord est provengono i diciotto elementi della prodigiosa NESJO cui è toccato il non facile compito di proseguire la serata aperta dal portento brasiliano. Sale subito sul palco il batterista del gruppo, l’ottimo Marco D’Orlando, che drumlando chiama gli altri suoi compagni di merende. Quest’ultimi alla spicciolata prendono posizione aggiungendo il suono dei loro strumenti a quello delle pelli sapientemente percosse. Sono troppi e troppo bravi per nominarli tutti perciò ci scuseranno gli esclusi.
Appare poi uno dei personaggi più rappresentativi, carismatici e insoliti dell’intera orchestra, l’acrobatico cantante Freddy Frenzy che con il suo incedere dinoccolato e divertente incita il pubblico scatenandone la voglia di partecipare e il divertimento. Sono esplosi subito i ritmi travolgenti dello Ska Jazz in salsa North East.
L’ispirato trombonista Max Romanello, schierato in linea con la corposa sezione d’ottoni dell’orchestra, è il cervello dell’operazione come compositore e arrangiatore di tutti i brani in scaletta. Sornione, da una posizione quasi di retroguardia, tira i fili dello spettacolo facendo risaltare al meglio le grandi doti d’intrattenimento degli musicisti suoi pari.
La band con il suo incedere fa venire in mente un torpedone sobbalzante sulle strade polverose, assolate e ridenti del ritmo e, parafrasando il refrain di un loro brano, i colori sono brillanti come diamanti (Oh Mama, your colors are bright, your colours are diamonds).
La NESJO è ormai, da alcuni anni, una realtà consolidata nel panorama della musica regionale e italiana che frequenta assiduamente le sale da concerto, i locali e, in questo momento, le arene estive con una fitta serie di esibizioni in tutta Italia con qualche puntatina all’estero.
Sempre con il patrocinio di Euritmica hanno presentato recentemente la loro ultima incisione in un caloroso, entusiasmante concerto al Teatro Pasolini di Cervignano del Friuli, recensito su questa stessa rivista a tempo debito. In regione li si è visti da poco nell’insolita, splendida cornice del PraCastello Live 2019 di Tolmezzo (UD).
La stupenda serata alpina era sembrata un sogno in musica, con l’Orchestra che suonava invasata, con le creste dei monti a far da scenografia, su un palcoscenico ricavato tra le rovine di un antico castello inerpicato su di un costone, con la vallata sottostante piena di luci nella notte della città.
Averli visti anche nella marina di Grado Jazz cantare e suonare la loro gioia davanti al mare scuro, fa davvero un certo effetto, come dire: Dalle montagne al mare, dal Manzanarre al Reno, senza essere troppo dissacratori e considerando la geografia europea della tournée dell’Orchestra.
Nel finale due generosi bis a grande richiesta con tutto il pubblico in piedi scatenato a ballare. Non se ne ha mai abbastanza della NESJO, le sue good vibrations creano immediata dipendenza, mettono in circolo un’energia vitale cui è difficile fare a meno una volta dato il primo assaggio.
Siamo sicuri che la danza del sole delle due incantevoli voci femminili della band (Rosa Mussin e Michela Grena) officiata davanti al pubblico, è servita a scongiurare la maledizione atmosferica che sembra gravare sul festival, sferzato, fino ad ora, immancabilmente da avversità metereologiche di spiacevole intensità.
D’ora in poi, grazie alla North East Ska Jazz Orchestra, nelle ultime meravigliose giornate del festival, potremmo godere ancora della Sunny Side of our Hearts.
© Flaviano Bosco per instArt