Sabato 11 maggio ore 20.30
Massimo Zamboni, Anime galleggianti concerto -recital,
Museo Carnico delle arti popolari Michele Gortani, Centro servizi museali.
Tre uomini in barca.
Nel 1981 a Berlino ovest, due ragazzi, Zamboni e Ferretti, diedero vita ad uno dei sodalizi musicali più fecondi del rock italiano: CCCP-Fedeli alla linea.
Lo scorso gennaio, nell’ambito del cartellone MusiCarnia, al Teatro Candoni di Tolmezzo si spegnevano con un sentito omaggio al vecchio gruppo punk filosovietico, Le luci della centrale elettrica, il progetto musicale del giovane poeta Vasco Brondi.
A far da minimo comun denominatore alle due esperienze così apparentemente distanti l’una dall’altra nel tempo e nello spazio, l’elegante, raffinata, preziosa creatività del chitarrista emiliano Massimo Zamboni.
Ancora una volta grazie a Euritmica, al Maggio letterario e ad una splendida idea di Anna Marzona, il folto pubblico di Tolmezzo ha potuto godere della presenza e dell’arte di uno dei musicisti più importanti della scena italiana degli ultimi trent’anni.
Zamboni si è esibito in un reading tratto dalla sua ultima fatica letteraria, Anime galleggianti, dalla pianura al mare tagliando per i campi (ed.La nave di Teseo) scritto a quattro mani con Vasco Brondi. Dai furori postpunk alla placida deriva di una zattera canale su un fiume, ed è stato dolce naufragar in quel mare di note, parole e immagini.
L’esibizione è stata preceduta da un breve interessante dialogo tra il musicista e l’emozionatissima tolmezzina Marzona che ha espresso perfettamente quello che tutti i presenti sentivano cioè l’emozione di trovarsi davanti ad un artista che ha inciso profondamente nell’immaginario di tutti i presenti e oltre.
Anime galleggianti è un bizzarro, affascinante diario di viaggio padano in forma di lettura scenica, tra parole, musica e immagini, lungo il canale artificiale Tartaro situato nella pianura emiliana tra il Mincio e il Po.
L’estemporanea idea di Zamboni di navigarne i 130 km da Mantova al mare stuzzicò la curiosità del giovane collega Brondi e dalla sera alla mattina, affittata un barca d’alluminio e reclutato anche Piergiorgio Casotti filmaker e fotografo, i nostri eroi partirono per un viaggio che aveva lo scopo di osservare la pianura padana da un’altra prospettiva quella del silenzio e della solitudine di un fiume che placido scende verso la sua foce, un’occasione, insomma, per vivere ad un’altra velocità.
Il loro entusiasmo e il loro desiderio fu immediatamente frustrato da un particolare che non avevano minimamente considerato: il canale ha argini altissimi che impediscono completamente, a chi naviga, di guardare il paesaggio circostante, bisogna accontentarsi del fiume e della fitta vegetazione a riva, solo acqua verde e cielo.
Il viaggio assunse così tutta un altro senso e tutta un’altra direzione; il paesaggio da esplorare divenne quello interiore e la navigazione un’allegoria di un confronto con se stessi. La terra così vicina eppure velata diventò una meravigliosa occasione per riscoprire, guardare, riandare con la memoria quei luoghi ben conosciuti e, visto che l’orizzonte era precluso, inventarne uno nuovo con la fantasia e la musica.
Zamboni ha raccontato divertito tutto questo anche attraverso alcuni aneddoti di navigazione. Prima di tutto la diversa percezione del viaggio da parte sua e del suo compagno d’avventura. Zamboni dopo le fughe giovanili intende il viaggio soprattutto come ritorno e sappiamo bene quale significato culturale abbia per noi il concetto di Nostos, il ritorno degli eroi greci in patria dopo la guerra.
Brondi, al contrario, concepisce questa esperienza solamente come un mollare gli ormeggi verso qualcosa che potrebbe rapirci definitivamente. Nessun contrasto tra i due, naturalmente, ma solo una giusta tensione creativa che si è trasformata in musica e versi.
Il fiume Tartaro porta immediatamente alla memoria visioni infernali ma, per chi ha una formazione classica più lacunosa, è solo il risultato di una cattiva igiene orale. In questa solitudine ulteriore nel cuore della Valle Padana per Zamboni la guida è una frase di Joseph Brodskij che in Le fondamenta degli incurabili sostiene che la felicità è trovare elementi di cui si è fatti allo stato libero. Esiste, in questo senso una perfetta corrispondenza tra il nostro mondo interiore e il paesaggio che ci abita, si ricordi l’opera poetica di Andrea Zanzotto e alle sue topografie del cuore.
Ai racconti e alle letture, alle immagini del fiume sullo schermo girate da Casotti, si sono alternate le splendide canzoni del musicista, completamente acustiche con un effetto sul pubblico davvero straniante e suggestivo.
La prima canzone è stata Gloria gracile dell’album L’inerme è L’imbattibile del 2008. Il testo straordinariamente evocativo merita di essere riportato integralmente anche per la sua brevità e concisione: Mi parlano di te, ti dipingono. S’intingono di te, ti sovrastano. S’incantano di te, ti ricalcano. S’incarnano di te, ti dividono, Gloria gracile.
Quello che emerge dalle acque del canale solcate con estrema lentezza dalla barca di Zamboni rievocato nell’esibizione, è un mondo fragile dai colori sfumati che appare come un sogno di un’ombra tra la vegetazione dell’argine che, a questo punto del racconto, sembra davvero essere diventato paragonabile alla siepe de l’Infinito di Leopardi che preclude la vista dell’orizzonte.
Zamboni mentre le immagini del fiume scorrono alle sue spalle, a questo punto, canta un’altra delle sue magnifiche canzoni. È la volta di Prove tecniche di Resurrezione con la sua onda improvvisa di calore che incalza sui rilievi che non dormono. Tutto, a questo punto, si fa ancora più intimo e riflessivo e la sala sembra avvertire il lento scorrere dell’acqua di quel fiume.
C’è lo spazio anche per una riflessione mistica con la coinvolgente reinterpretazione del brano di Claudio Rocchi, La realtà non esiste: Quando stai mangiando una mela tu e la mela siete parti di dio .Quando pensi a dio sei una parte di ogni parte e niente è fuori dal tutto.
In fine la barca di Zamboni, dopo due giorni di navigazione riassunti in poco più di un’ora di intimo spettacolo, attracca.
Due intensi bis hanno fatto la gioia del pubblico. Il primo è l’ispirato capolavoro dei C.SI. Irata che cita alcuni versi del Pasolini friulano e poi si chiude con una tanto atteso brano dei CCCP del primissimo periodo berlinese, l’epocale Trafitto che a distanza di tre decenni non ha perso niente della sua forza originaria anche nella versione lieve e rallentata per chitarra solista ed effetti. Alla fine, dopo un lungo meritato applauso, quelli che restano sono solo Fragili desideri, fragili desideri, a volte indispensabili a volte no.
© Flaviano Bosco per instArt