Straziante. Un solo aggettivo viene pronunciato alla fine della proiezione di Birthday dalla mia vicina di posto, occhi gonfi e naso chiuso, alla serata inaugurale del 21esimo Far East Film Festival. Aggettivo pertinente, come lo sono anche, per descrivere questo film, accurato e compiuto. Accurato nella descrizione delle manifestazioni del lutto, compiuto perché scritto con estrema attenzione, costruito per scene che avanzano a intermittenza intrecciando ricordi ed emozioni come fossero le tessere di un giallo.
Birthday racconta prima di tutto la perdita di un figlio. Lasciando, alla fine, sottotraccia la tragedia nazionale che questa perdita ha provocato. I fatti sono noti: nell’aprile del 2014, in Corea del Sud, per una serie di concause e di responsabilità dell’armatore e dell’equipaggio il traghetto Sewol si inclinò per poi affondare nel mare fra Incheon e l’Isola di Jeju portando con sé 300 ragazzi in gita scolastica.
Birthday racconta a qualche anno di distanza, l’immaginaria famiglia di uno di questi ragazzi, Sun-ho, che ha lasciato soli la madre, il padre e la sorellina. Il padre Jung-Il, assente da molti anni per motivi di lavoro e per una carcerazione di cui poco ci viene svelato, ritorna a casa per ritrovare una bambina che non riconosce più e una moglie Soon-Nam , interpretata da Jeon Do-yeon (ieri, a Udine, premiata con il Gelso d’Oro alla carriera), che non riesce ad accettare la perdita del figlio e cova un giustificato rancore nei confronti del marito.
Il film narra le dinamiche che si creano all’interno della famiglia di Sun-ho e quelle che si vengono via via a creare con le altre famiglie in lutto. Vive i luoghi della commemorazione: il monumento ai ragazzi con i suoi muri grigi, la scuola oramai vuota con i banchi, gli armadietti ed i corridoi abbandonati, le foto ed i biglietti colorati, quei messaggi lasciati a chi non c’è più.
Prosegue alternando rassegnazione ed improvvisi scoppi di rabbia, principalmente in Soon-Nam, dolore e senso di colpa in Jung-Il e spaesamento nella bambina. Cesella alcuni momenti di forte empatia: Jung-Il che prega il funzionario dell’aeroporto di timbrare il passaporto di quel figlio che mai era potuto andare all’estero, la cupa disperazione di Soon-Nam che si riversa in più ondate sulla sua bambina per cause fra le più banali.
La pellicola trascina lo spettatore, atterrito, di fronte ad una madre che non può più trattenersi dall’urlare e, rende incontrollabili quelle urla, così forti da non poter essere ignorate. Così intense che sembrano non accettare consolazione. Eppure una consolazione c’è. La si può forse trovare nella partecipazione al dolore altrui.
Soon-Nam rifiuta a lungo di condividere il suo lutto ed il suo senso di colpa. È Jung Il a cercare una via d’uscita o perlomeno ad accettarne la possibilità. Un gruppo di mutuo aiuto si occupa delle famiglie dei ragazzi morti sul Sewol. E questo gruppo organizza ogni anno, con il beneplacito della famiglia, una festa in occasione del compleanno di ognuno dei ragazzi. È questo il momento della catarsi, che consente di liberarsi per un po’ di quel peso che i sopravissuti trascinano con sè. Il momento in cui mostrare il proprio dolore significa vedere anche quello degli altri e sentirli vicini. E’ uno dei passaggi in cui la regista decide di farci sentire con più intensità la presenza di Sun-ho. Simboleggiato, nel corso del film, da quella luce nell’ingresso della casa di famiglia che si accende un po’ a casaccio, qui rivive nelle parole e nella poesia che gli vengono dedicate.
Se sbavatura c’è in questo Birthday la si trova nel finale, o meglio nei finali. Due volte si va al nero. Cercando una soluzione che non c’è. Come dopo ogni lutto è alla normalità che si aspira o almeno ad una nuova normalità.
Alla fine pare che questa famiglia possa ritrovare un equilibrio purché continui ad accendersi quella luce improvvisa nella loro casa. Una presenza.
© Katia Bonaventura per instArt