Un gentile omaggio ha accolto la scorsa sera i numerosi spettatori al loro arrivo nel foyer del Nuovo. Una maschera gentile con un grande cesto distribuiva generosamente piccole confezioni di caramelle svizzere alle erbe e oli essenziali, edulcorate e dolcificate alla stevia. È forse la chiave per comprendere l’esecuzione di Allevi e della sua orchestra, tutta armonie zuccherose e suoni canditi, note come caramelle mou gustose ma appiccicose e tanto zucchero filato a intessere le melodie.
Quello di Allevi è apparso fin da subito un pianoforte in precario equilibrio tra sentimento e sentimentalismo. La sua è una musica da cartoni animati per la prima infanzia, tutta colori tenui, sfumature e forme arrotondate, paciose e morbide, ottima per colazioni all’aperto o per generose merende pomeridiane.
Sono composizioni assolutamente perfette per i ritmi della televisione generalista e commerciale e per ricavati jingles pubblicitari. Uno dei più acclamati brani della serata è stato, infatti, Flowers composto per una nota pubblicità, diretta da Gabriele Salvatores (di cui esiste anche una versione speciale natalizia diretta da Pupi Avati con la medesima colonna sonora), ma avrebbe potuto esserci anche lo spot per numerosi altri prodotti e via di seguito.
Ma procediamo con ordine. Alle 21,00 precise appare sul palco correndo il Jerry Lewis del piano italiano. Del comico americano Allevi ha esattamente lo stesso incedere e la stessa voce chioccia e lamentosa, ma allo stesso tempo ilare, cantilenante e infantile. Chi ricordi l’esilarante sketch con Jerry Lewis che esegue il proprio spartito ad un immaginaria macchina da scrivere potrà comprendere agevolmente il riferimento.
Rivolgendosi al pubblico esordisce dicendo: “Sono emozionatissimo, ho la febbre, ieri ho fatto 50 anni e così ho deciso di celebrarli in questo concerto eseguendo brani che hanno significato molto per la mia carriera di musicista”.
Nella sua autobiografia, La musica in testa, ricorda che, al suo primo concerto a Napoli il 9 aprile 1991, il giorno del suo ventiduesimo compleanno ad ascoltarlo c’erano solamente cinque persone: “Buonasera, mi chiamo Giovanni Allevi, grazie per essere venuti al mio primo concerto…Ho la voce tremante. Ho recitato la frase a memoria con il sorriso sulle labbra ma dentro sto morendo”(pag.8) Il teatro Giovanni da Udine, ventotto anni dopo, invece, stasera scoppiava di persone venute ad ascoltarlo e acclamarlo.
In realtà, non è cambiato poi molto dalle prime volte che suonava e riandando con la memoria ancora più lontano nel tempo, lo ricorda lui stesso: la primissima volta che suonò aveva dieci anni e dentro di lui, afferma, c’è ancora quel fanciullino pascoliano che tutto tremante eseguì l’adagio della sonata K545 n° 16 in Do maggiore di W.A.Mozart. Detto questo attacca la sonata ed effettivamente sembra suonata da un bambino, curvo sulla tastiera, dalla sua testa, come uva matura gocciola il folle vino delle chiome, regala un’interpretazione poco più che prepubere.
Da piccolo, scrive ancora in La musica in testa, passavo il tempo chiuso in una scatolone di cartone nel garage sotto casa, per sentirmi protetto dall’ansia e per dirigere, in piena libertà, l’enorme orchestra sinfonica che ha iniziato a suonare ininterrottamente nella mia testa.(pag.23) Anche questo non è sembrato essere cambiato di molto. È proprio in quel modo infantile che dirige ancora i dodici preziosi archi scelti dall’Orchestra Sinfonica Italiana che lo accompagnano.
Dopo il primo brano, si è snocciolata una lunga teoria di brani molto brevi che finivano prima che il pubblico adorante avesse il tempo di annoiarsi e soprattutto di pensare a quello che stava ascoltando. D’altronde, lo scrive lui stesso sempre nell’autobiografia citata che: “Il segreto è non pensare. Il pianista cerca suoni e per farlo deve anche non pensare…quando è abbandonato alla dolce carezza dei tasti, sperimenta la solitudine totale ed è in grado di trascinare l’ascoltatore nella dimensione del non pensare…”
Le sue composizioni sono frammenti musicali cui non viene lasciato il tempo di distendersi nel tempo e nello spazio e che finiscono per diventare dei confusi e distanti balbettii o come diceva il poeta, bubbolii lontani di un temporalino all’orizzonte.
Nella prima parte del concerto, a parte gli aneddoti al piano, ha eseguito alcuni brani di sua composizione, ma soprattutto una scelta dei migliori momenti del Concerto a Kyoto di Keith Jarret cui continuamente Allevi si paragona con falsa modestia. Dice di averne incontrato la musica quasi per caso mentre già faceva il conservatorio ed aveva già inciso alcuni album. Non lo conosceva per niente e non ne aveva mai sentito parlare e per uno che studia pianoforte non dovrebbe essere un vanto. Ringrazia di averlo conosciuto tardi altrimenti oggi sarebbe uno dei tanti cloni del maestro afroamericano.
Durante l’esecuzione si capisce benissimo che non è in grado nemmeno di copiare Jarret, non gli somiglia nemmeno da lontano e con tutta la buona volontà non ha minimamente lo stesso tocco e nemmeno lo stesso magico senso del tempo e tanto meno la medesima tensione mistico religiosa.
Ancora altri brani nella seconda parte e ancora racconti lacrimevoli di vita passata che hanno lo scopo di intenerire ed irretire il pubblico, già parecchio predisposto alla lacrima facile, e spiegare l’ispirazione dei brani. Si passa dal lettino dello psicologo ad alcuni gravi interventi di chirurgia oftalmica, fino agli attacchi di panico e agli svenimenti in stile ottocentesco. Afferma che la sua psicoterapeuta gli dice sempre che non vive nel presente, ma pensando sempre ai problemi del passato e a quelli che verranno. È una tecnica retorica antica quella di impietosire il pubblico facendo compatire le proprie miserie, ma Allevi sembra un tantino cresciutello per continuare a fare la parte del ragazzino timido, introverso e problematico, eterno perdente come il piccolo Schroeder con il suo pianoforte giocattolo o Linus con l’immancabile coperta di sicurezza nei Penuts di Charles M. Schulz
È anche un modo per far passare in secondo piano la musica che altrimenti, tra il dolciastro e il melenso dei suoi accordi, rischierebbe di portare l’uditorio a pericolosi picchi iperglicemici fino a rischiare il coma diabetico, tanto per restare nell’ambito medico patologico che sembra tanto interessare il pianista piceno.
A parte ogni sarcasmo, quella di Allevi è sicuramente una formula vincente e le sue doti virtuosistiche fanno esplodere letteralmente il pubblico d’entusiasmo ad ogni suo minimo accenno o capriccioso ricciolo. Il continuo tiro al bersaglio della rancorosa critica musicale italiana fino all’accanimento terapeutico non sembra danneggiarlo minimamente, anzi, nel perverso gioco mediatico, nel quale siamo tutti immersi e coinvolti, la sua notorietà pare giovarsene. Il clamore negativo ne fa una eroica vittima sacrificale innocente e immacolata e gli fa acquistare presso la pubblica opinione ancora più smalto.
Tutto perfettamente a tema con la temperie culturale degli ultimi anni dove la fama e il grande successo di pubblico sembrano essere inversamente proporzionali al merito e alla reale qualità artistica delle proposte.
Allevi, laureato in filosofia che cita Aristotele con proprietà, sicuramente conosce bene una delle Odi Oraziane più celebri (2,10,5) che contiene una locuzione latina altrettanto nota che però molto spesso viene mal interpretata e mal compresa. Con Aurea Mediocritas non s’intende nulla di dispregiativo, anzi è vero il contrario. Nel sentire epicureo cui Orazio faceva riferimento, il mediocre è colui che è in grado di trovare il giusto equilibrio tra gli estremi, tra ottimo e pessimo, tra massimo e minimo, tra orribile e miserrimo come dice Woody Allen. Esiste una via mediana che, se percorsa con il giusto spirito di leggerezza, ci risparmia ogni affanno e preserva i nostri sensi e la nostra intelligenza da ogni usura.
Non a caso questo ultimo tour del pianista che ha calcato le assi dei teatri in Italia e all’estero negli ultimi due anni si chiama Equilibrium.
Tutto questo non vuol dire che non si possa godere fino in fondo della musica caramellosa del pianista ascolano, se quello che si vuole è un intrattenimento leggero, spensierato, disimpegnato che metta piacevolmente in pausa sinapsi e neuroni, questo è il concerto perfetto e ce lo possiamo giustamente permettere, è più che legittimo e comprensibile. Se è così, parafrasando il Poeta, possiamo dire che: Ce lo meritiamo Giovanni Allevi!
Se invece quello che vogliamo è Musica con la maiuscola e non jingles pubblicitari o pianoforti di marzapane, è altrove che dobbiamo rivolgerci. Come scrive lo stesso Allevi in altro contesto: Un concerto affascinante. Ma la musica…dov’è?
Flaviano Bosco per instArt